In quanto tale, il giudice deve tenerla in considerazione anche senza un'espressa richiesta in tal senso.
La Corte d'Appello di Venezia respingeva il gravame proposto dagli attori riconoscendo ai medesimi il diritto al pagamento dell'onorario spettante al loro dante causa, ridotto di una somma a titolo di risarcimento per i danni causati nell'esecuzione dell'opera in quanto era stato omesso di controllare l'attività dell'impresa appaltatrice.
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Svolgimento del processo
La Corte di appello di Venezia, con la sentenza impugnata, per quanto ancora interessa, ha respinto il gravame proposto da D.M.A., D.M.V. e G.S. (tutti eredi di D.M.C.) e da V.A. nei confronti del Comune di Vicenza, con il quale avevano chiesto di dichiarare inammissibile e infondata nel merito la domanda riconvenzionale risarcitoria per danni proposta già in primo grado dal Comune di Vicenza nei confronti del de cuius D.M.C., nel giudizio da questi promosso per conseguire la liquidazione del compenso professionale. A parere degli appellanti la domanda risarcitoria era stata proposta, in cause separate, per lo stesso fatto contro due soggetti diversi (i professionisti D.M. - V., direttori dei lavori, da un lato; l'impresa Costruzioni Sacramati, dall'altro) e la valutazione della prova era errata.
La Corte di appello, respingendo l'appello, ha confermato la decisione di primo grado che aveva liquidato il compenso professionale per la direzione dei lavori in Euro 60.474,97 =, aveva accolto la domanda riconvenzionale di danni proposta dal Comune liquidando Euro 47.467,82 = e determinato, previa compensazione, in Euro 13.010,15 = l'indennizzo cui veniva condannato il Comune in favore di D.M.C. e V.A..
La Corte di appello, esaminati i motivi di gravame ha osservato che il giudice di primo grado aveva accolto la domanda riconvenzionale risarcitoria senza escludere la concorrente responsabilità dell'impresa appaltatrice per vizi diversi, alcuni dei quali addebitabili in via esclusiva all'appaltatrice e che dalla sentenza n. 2334/2016 resa dalla Corte di appello nella diversa causa tra il Comune di Vicenza e l'impresa esecutrice dei lavori, questa era stata condannata al risarcimento di un ben più importante danno (Euro 83.269,69=); ha quindi affermato che il titolo "omesso controllo da parte della direzione dei lavori" era diverso e che, quindi, i fatti presupposti erano differenti nelle due cause. Ha quindi ribadito la compensabilità del credito per compenso professionale, vantato dai professionisti, con il debito risarcitorio accertato nei confronti del Comune.
D.M.A., D.M.V., G.S. e V.A., hanno proposto ricorso per cassazione con tre mezzi. Il Comune di Vicenza ha replicato con controricorso I ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 124, nonchè dell'art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c. in merito alla statuizione con cui la Corte di appello ha accertato la responsabilità della direzione dei lavori per violazione del citato D.P.R. n. 554 del 1999, art. 124, per non avere adottato la stessa una qualsivoglia iniziativa o ordine di servizio in merito ai vizi di cedimento del sottofondo stradale del Viale X Giugno durante l'appalto de quo.
A parere dei ricorrenti la Corte distrettuale avrebbe male interpretato e male applicato la norma in esame in relazione ai fatti accertati nel procedimento, dai quali sarebbe, invece, emersa l'adozione di ogni iniziativa ritenuta necessaria ed opportuna ai fini del controllo della conformità del progetto all'opera via via realizzata, integrativa della diligenza professionale richiesta.
1.2. Il motivo è inammissibile.
Va rimarcato che la questione circa la esatta applicazione del citato D.P.R. n. 554 del 1999, art. 124, non risulta essere sollevata in appello.
Dalla sentenza impugnata si evince, infatti, che già la sentenza di primo grado aveva accertato le responsabilità dei professionisti incaricati della direzione dei lavori per aver omesso l'effettuazione dei dovuti controlli in corso d'opera del citato D.P.R. n. 554 del 1999, ex art. 124, ed essersi limitati a contestazioni generiche, senza adottare iniziative ed ordini di servizio ed infine accettando l'opera, come eseguita, inserendola in contabilità: pur tuttavia, alcuna censura in appello - alla stregua dello stesso ricorso e della sentenza impugnata - ha riguardato questa statuizione, focalizzata sul titolo della responsabilità ascritta alla direzione dei lavori, in quanto gli appellanti avevano censurato la prima decisione sostenendo la pretesa ricorrenza di una identità di petitum e causa petendi tra la domanda risarcitoria proposta in via riconvenzionale dal Comune nei confronti dei professionisti e la distinta domanda risarcitoria proposta dall'Ente in via diretta nei confronti della impresa appaltatrice, censura, peraltro, disattesa dalla Corte di appello. Ne consegue la formazione di un giudicato interno intangibile sulla responsabilità dei professionisti per violazione dei doveri del citato D.P.R. n. 554 del 1999, ex art. 124 così come accertata in primo grado e non impugnata in appello.
Sotto altro aspetto, la prima censura è inammissibile perchè i ricorrenti, pur proponendo una violazione di norme di legge, in realtà, mirano ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. Sez. U. n. 34476 del 27/12/2019; Cass. n. 8758 del 04/04/2017), come si evince dalla ampia trascrizione delle prove testimoniali, che contrariamente a quanto assumono i ricorrenti - non integrano i "fatti accertati" dal giudice di merito, ma costituiscono il compendio probatorio di cui i ricorrenti propongono una personale valutazione ed interpretazione, alternativa a quella compiuta in sede di merito in relazione alla diligenza tenuta in concreto dai professionisti, su cui insistono anche in memoria.
2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge in ordine alla mancata ammissione dell'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. avente ad oggetto "la produzione e/o esibizione in giudizio da parte del Comune di Vicenza degli atti e dei documenti della causa precedentemente incardina tra il Comune di Vicenza e l'impresa Sacramati SPA, definita con la sentenza d'appello della Corte veneziana n. 2334/2016, con accoglimento della domanda di risarcimento del danno per il cedimento del sottosuolo stradale del Viale X giugno..." (fol. 17 del ricorso), all'esito del quale sarebbe emerso- a parere dei ricorrenti - che in questa il Comune aveva proposto una domanda di identico petitum e causa di quella svolta in via riconvenzionale dal Comune nei confronti della direzione dei lavori. Si denuncia altresì la violazione dell'art. 2697 c.c..
I ricorrenti sostengono che la Corte di appello, obliterando il principio di responsabilità solidale tra i diversi attori del medesimo appalto ha violato il diritto della direzione dei lavori di dare la prova "di un intervenuto fatto estintivo della presunta responsabilità risarcitoria alla stessa ascritta".
A loro parere, il pagamento della somma di Euro 47.464,82=, al quale l'impresa Sacramati SPA era tenuta a titolo di risarcimento per lo stesso danno - evento, sarebbe già avvenuto e ciò avrebbe integrato il fatto storico estintivo di analoga richiesta risarcitoria formulata dall'ente nei confronti dei professionisti e fatta valere a fini di compensazione.
2.2. Il motivo è fondato e va accolto, laddove è volto a denunciare il mancato accoglimento della richiesta istruttoria in ragione della funzionalità dei documenti - nella prospettiva dei ricorrenti - a provare sia l'identità del danno - evento, oggetto della pretesa risarcitoria del Comune, sia l'avvenuto pagamento da parte del condebitore solidale.
2.3. La decisione impugnata risulta erronea laddove ha ritenuto di focalizzare l'attenzione, nel respingere implicitamente la domanda di esibizione ex art. 210 c.p.c., sul fatto che il titolo della pretesa risarcitoria riconosciuta dal primo giudice a favore del Comune era diverso rispetto a quello fondante la condanna posta a carico dell'impresa e pronunciata nella diversa sentenza di appello n. 2334/2016 (fol. 3-4 della sent. imp.), in quanto non considera che la regola secondo la quale "Se il fatto danno è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno" (art. 2055 c.c., comma 1) trova applicazione anche nell'ipotesi in cui un medesimo danno sia conseguenza delle azioni od omissioni imputabili a più soggetti, anche tra loro indipendenti ed anche a titolo diverso, ma insieme concorrenti nella sua produzione.
E' decisivo ricordare, infatti, che l'unicità del fatto dannoso, richiesta dall'art. 2055 c.c. al fine della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell'illecito, va intesa in senso non assoluto, ma relativo, in coerenza con la funzione propria di tale istituto di rafforzare la garanzia del danneggiato, sicchè ricorre tale responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni od omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni od omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del medesimo evento di danno (Cass. n. 1842 del 28/01/2021, cfr. anche Cass. n. 12957 del 13/05/2021).
2.4. Va aggiunto che ciò assume particolare rilievo perchè, in tema di obbligazioni solidali passive, per le quali costituisce regola fondamentale che tutti i debitori siano tenuti ad una medesima prestazione in modo che l'adempimento di uno di loro libera tutti i coobbligati (art. 1292 c.c.), l'avvenuto pagamento determina l'estinzione ipso iure del debito anche nei confronti di tutti gli altri coobbligati (Cass. n. 11051 del 02/07/2012) e il pagamento non costituisce eccezione in senso proprio, ma integra una mera difesa, della quale il giudice deve tener conto ove la circostanza risulti comunque provata, anche in mancanza di un'espressa richiesta in tal senso (Cass. n. 17598 del 14/07/2017).
2.5. Nel caso di specie la Corte di appello, che ha proceduto anche alla conferma della compensazione del credito dei ricorrenti con il debito a favore del Comune, così parzialmente estinguendolo, avrebbe dovuto accogliere l'istanza istruttoria volta a provare la identità del danno evento e l'eventuale adempimento da parte del condebitore solidale.
Da ciò discende la fondatezza del motivo.
3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell'art. 91 c.p.c., in relazione alla condanna alle spese comminate all'esito del giudizio di appello.
3.2. Il motivo è assorbito a seguito dell'accoglimento del secondo motivo.
4. In conclusione il secondo motivo va accolto, assorbito il terzo ed inammissibile il primo; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione per il riesame e la statuizione anche sulle spese del presente grado.
P.Q.M.
- Accoglie il secondo motivo, assorbito il terzo ed inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata con rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del presente grado.