La Cassazione prende in esame la «speciale autorizzazione» del fideiussore di cui all'art. 1956 c.c. nel caso in cui la banca abbia concesso un credito al debitore nella conoscenza del sopravvenuto peggioramento delle condizioni finanziarie di quest'ultimo.
Il Tribunale di Bologna emetteva decreto ingiuntivo anche nei confronti dell'odierna ricorrente, nella qualità di fideiussore della debitrice principale della società attrice.
Opposto il decreto, il Tribunale lo revocava in quanto non risultava alcuna specifica autorizzazione del fideiussore, né informazioni dalla stessa rese in relazione al peggioramento delle...
Svolgimento del processo
1. - Su ricorso di Fino 1 s.r.l. (come all'epoca diversamente denominata), nel febbraio 2000 il Tribunale di Bologna ha emesso decreto ingiuntivo nei confronti, tra gli altri soggetti, di A.M.G., quale fideiussore della s.r.l. Sassi, debitore principale.
2. - Opposto il decreto, con sentenza pubblicata in data 18 aprile 2011 il Tribunale lo ha revocato con riguardo alla persona della signora A..
Al riguardo, la decisione ha riscontrato che dalla documentazione in atti risultava che, nell'arco di poco più di un anno e mezzo (dal marzo 1998 all'ottobre 1999), l'esposizione di uno dei conti correnti della s.r.l. Sassi era "aumentata di oltre sette volte" e che, peraltro, non risultava "alcuna specifica richiesta di autorizzazione alla A., nè alcuna informazione resa alla stessa circa il peggioramento delle condizioni economiche della debitrice principale".
3. - La pronuncia del Tribunale è stata impugnata e l'appello accolto dalla Corte di Bologna, con sentenza depositata in data 11 marzo 2020.
4. - "Non si comprende" - così ha dichiarato la sentenza della Corte territoriale - come A.M.G. "abbia potuto invocare nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la propria liberazione ai sensi dell'art. 1956 c.c.".
"E' infatti evidente che l'odierna appellata fosse perfettamente consapevole dell'andamento degli affari della debitrice principale". Perchè il fideiussore risulta essere affine dell'amministratore unico della società debitrice principale ("tenuto conto del rapporto di coniugio che lega" A.M.G. "a L.C. e di quello di affinità che la lega a L.E.", amministratore della s.r.l. Sassi). E perchè, nel corso del 2000, ha formulato due "offerte all'azienda di credito di ipoteca volontaria onde garantire la pretesa di quest'ultima, riconoscendo contestualmente l'ammontare del credito vantato dall'odierna appellante".
"Se la liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c. costituisce conseguenza della violazione del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) e se l'onere a carico del creditore di richiedere l'autorizzazione del fideiussore prima di fare credito al terzo assolve alla finalità di consentire al garante di sottrarsi, negando l'autorizzazione, all'adempimento di un'obbligazione divenuta senza sua colpa più gravosa" - ha precisato la pronuncia -, "è evidente che nessuna liberazione può essere avvenuta nella presente fattispecie, poichè le prove documentali confermano la conoscenza da parte di A. della situazione debitoria della s.r.l. Sassi e del suo peggioramento, nonchè la volontà della stessa odierna appellata di continuare a garantire la Banca", "attraverso l'offerta di una garanzia reale sui propri beni personali".
5. - Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione A.M.G., affidandosi a due motivi.
Resiste, con controricorso, la s.r.l. Fino 1.
6. - Il ricorrente ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione
7. - Col primo motivo, il ricorrente assume la violazione della norma dell'art. 1956 c.c..
Nel caso in esame - si rileva - il fideiussore non era assolutamente a conoscenza delle condizioni economiche della società debitrice principale: in "nessuno dei due gradi del giudizio sono stati forniti elementi istruttori, nè orali, nè documentali, idonei a dimostrare la conoscenza o la conoscibilità in capo alla stessa delle reali condizioni economiche e finanziare della società debitrice principale Sassi s.r.l.".
Nessuna informazione al riguardo le era stata mai fornita. A nulla può rilevare il mero fatto del legame di parentela o di affinità: "ben si sa come i rapporti tra i parenti a volte possono essere anche estremamente distanti ovvero addirittura conflittuali".
Quanto poi all'offerta di ipoteca, questa nel concreto è seguita nel 2000, "a seguito del grave peggioramento delle condizioni economiche della s.r.l. Sassi, di cui il fideiussore non era prima a conoscenza".
Tale offerta esprimeva, peraltro, un "mero approccio di risoluzione stragiudiziale e bonaria della vicenda, di una anziana signora e non certo un riconoscimento di debito" da parte sua: l'iniziativa era dettata dal "solo fine di evitare azioni esecutive giudiziarie", perchè mossa da "semplice spirito conciliativo".
D'altra parte - si nota ancora, "all'offerta (di costituzione di ipoteca) non è seguita l'accettazione e pertanto tamquam non esset".
8. - Il motivo non può essere accolto, pur se va in parte corretta, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 3, la motivazione addotta al riguardo dalla sentenza impugnata.
9. - Per impostare in modo corretto la trattazione del motivo, appare opportuno richiamare due distinti ordini di principi, che sono stati enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte sul tema della "speciale autorizzazione" del fideiussore richiesta dalla norma dell'art. 1956 c.c. per il caso di credito fatto al debitore nella conoscenza (da parte del relativo creditore) del sopravvenuto, e significativo, peggioramento delle condizioni patrimoniali e/o economiche di questi.
10. - Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dunque, la "banca che concede finanziamenti al debitore principale, pur conoscendone le difficoltà economiche, fidando nella solvibilità del fideiussore, senza informare quest'ultimo dell'aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, incorre in violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e buona fede contrattuale".
Non è coerente con i principi di corretta e buona fede nell'esecuzione del contratto il fatto che "la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debito, sì che possa ritenersi che la banca abbia agito nella consapevolezza di un'irreversibile situazione di insolvenza e, quindi, senza la dovuta attenzione anche all'interesse del fideiussore" (cfr., in particolare, Cass., 9 agosto 2016, n. 16827; Cass., 16 maggio 2013, n. 11979; Cass., 11 gennaio 2006, n. 394).
Resta inteso - si aggiunge altresì nel contesto di queste osservazioni - che "è onere della parte, che deduca la violazione del canone della buona fede dimostrare, non solo che la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento della condizioni economiche e finanziarie del debitore principale, ma anche che la banca abbia agito nella consapevolezza di una irreversibile situazione di insolvenza" del debitore principale (cfr., in specie, Cass., n. 394/2006).
11. - L'altro principio enunciato da questa Corte in materia, che qui viene in specifica considerazione, attiene direttamente alla conformazione dell'atto di "speciale autorizzazione", che è previsto dalla norma dell'art. 1956 c.c..
Quest'atto - secondo l'orientamento costantemente seguito non deve per legge rivestire una forma particolare; e neanche essere manifestato a mezzo di peculiari formule (il ricorrente, del resto, neppure contesta questi aspetti).
Secondo le pronunce emesse, anzi, l'atto autorizzativo può anche risultare in modo implicito (bensì univoco) dal comportamento tenuto dal fideiussore, ove nel concreto ricorrano determinate condizioni: dunque, l'autorizzazione può risultare rilasciata pure per il mezzo, come si usa dire, di comportamenti concludenti.
Esemplare al riguardo appare la pronuncia di Cass., 23 marzo 2017, n. 7444, per cui nel caso in cui "nella stessa persona coesistano le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della società debitrice principale", "la richiesta di credito da parte della persona obbligatasi a garantirlo comporta di per sè la preventiva autorizzazione del fideiussore alla concessione del credito" (cfr., in termini non diversi, Cass., 29 novembre 2019, n. 31227; si tratta, peraltro, di una prospettiva stabile nella giurisprudenza della Corte, seppure non sempre sviluppata con espressioni così puntuali, sotto il profilo tecnico, come quella che appena sopra si è trascritta).
12. - Al fondo di questa opinione sta, com'è del resto evidente, il convincimento che non solo la banca è soggetta al rispetto del canone fondamentale della buona fede oggettiva, ma lo è pure - e, si ritiene, in termini del tutto speculari - il fideiussore: in particolare venendo qui in considerazione, soprattutto, il principio di buona fede nell'interpretazione dei negozi di cui all'art. 1366 c.c. (posta la manifesta natura negoziale dell'atto unilaterale di rilascio della speciale autorizzazione ex art. 1956 c.c.).
Alla base della ridetta opinione sta, altresì, il convincimento che per taluni versi si lega a quello appena richiamato - che la protezione accordata dalla norma dell'art. 1956 c.c. al fideiussore deve rispondere a una situazione di oggettiva esigenza di quest'ultimo (di permanente sua estraneità rispetto ai reali termini dello svolgimento del rapporto garantito, cioè), senza spingersi oltre o in altre direzioni.
13. - Ciò posto, va adesso osservato - con riferimento alla fattispecie che qui è concretamente in esame - che la nuda circostanza della sussistenza di un legame parentale o di affinità (com'è nel caso) non si manifesta fenomeno in sè stesso espressivo di nessun comportamento concludente: nè autorizzativo di concessioni di credito ex art. 1956 c.c., nè di altro.
Tale circostanza neppure indica, a ben vedere, che il fideiussore - perchè appunto parente o affine del debitore principale o di chi ne gestisce le sorti (come nel caso) - sia edotto dei termini effettivi dello svolgimento dei rapporti bancari in essere, nè delle condizioni patrimoniali (stabili, migliorate o invece peggiorate) in cui viene a versare il debitore principale (non diversamente, è da aggiungere, avviene per il nudo fatto della parentela o affinità corrente con uno dei soci dell'ente debitore).
Ciò non esclude, naturalmente, che nel ricorrere di determinate e rilevanti circostanze ulteriori - anche la sussistenza di un rapporto parentale o di affinità possa eventualmente partecipare alla formazione di una prova relativa alla significatività e "concludenza" di un dato comportamento che sia stato tenuto dal fideiussore. Nella specie in esame, tuttavia, è stato evocato - si ripete - il puro e semplice fatto dell'esistenza di un legame di affinità: senza dati ulteriori.
Nemmeno è stato addotto - va pure messo in distinta e adeguata evidenza - un argomento a supporto di una affermazione di simile portata. Per questo specifico angolo visuale, per la verità, la decisione della Corte di Bologna si manifesta come sostanzialmente autoreferenziale.
14. - Opposta valutazione va data, però, all'altra circostanza distintamente valorizzata dalla Corte territoriale per il riscontro, in fattispecie, di una "speciale autorizzazione" del fideiussore: come rappresentata dalle (due) offerte di ipoteca volontaria presentate - nella non contestata consapevolezza dell'attuale misura dell'esposizione debitoria - dal fideiussore A..
Per questo proposito a contare non è tanto il fatto - su cui si ferma il ricorrente - della sopravvenuta conoscenza, da parte del fideiussore, della realtà dei termini di svolgimento del rapporto garantito. Chè, nel contesto in discorso, detta conoscenza si pone solo come presupposto (di significatività) del comportamento che in concreto è stato posto in essere dal fideiussore.
Secondo quanto riscontrato dal giudice del merito - con apprezzamento di fatto che, per sua propria natura, sfugge al sindacato di legittimità (di là dal fatto che il ricorrente non sembra contestare, per sè, questo aspetto) -, infatti, gli atti di offerta delle ipoteche volontarie proposti dal fideiussore manifestano, nel concreto, la "volontà" di questi di "continuare a garantire la banca" pur in presenza della esposizione debitoria all'epoca raggiunta.
Non può, poi, fare venire meno presenza e valore di questa volontà - è appena il caso di precisare - il fatto che la Banca non abbia "accettato" l'offerta delle ipoteche, secondo quanto assume, per contro, il ricorrente: per i fini della norma dell'art. 1956 c.c. a venire in rilievo è il comportamento del fideiussore - come espressivo del rilascio di una "speciale autorizzazione" - indipendentemente dal comportamento che nel concreto tenga in proposito il creditore garantito.
15. - Di fronte al complesso di osservazioni sin qui svolte, non vale obiettare che, nel caso in esame, la speciale autorizzazione è stata rilasciata dal fideiussore non già prima della concessione di "nuovo credito" (evento verificatosi tra il 1998 e il 1999), bensì dopo di questa (le offerte di ipoteca collocandosi nel corso del 2000).
Nella prospettiva in cui questa Corte prende in considerazione la normativa dettata nell'art. 1956 c.c., la disciplina della "speciale autorizzazione" comporta sì obblighi di buona fede oggettiva a carico della Banca (di informazione, in sostanza, con annesso onere di richiesta; cfr. sopra, parte iniziale del n. 10), ma ciò pur sempre avviene - lo si è ampiamente visto nel corso del precedente n. 11 (parte finale) - per il soddisfacimento di un interesse puramente personale del fideiussore. Si tratta, cioè, di un interesse che ha tratto solamente privato.
Ora, in una simile prospettiva non compaiono ragioni oggettive atte a escludere che la "speciale autorizzazione" prevista dall'art. 1956 c.c. non possa anche essere postuma, nei termini propri della ratifica del comportamento nel concreto tenuto dalla Banca: a condizione, naturalmente, che emerga nitida in proposito la volontà del fideiussore che sia a conoscenza delle effettive connotazioni del rapporto intercorso tra il creditore garantito e il debitore principale (secondo quanto non contestato, si è visto, nella fattispecie qui concretamente esaminata).
16. - Il secondo motivo di ricorso assume "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia: risultanze probatorie".
Nei fatti, il motivo censura la decisione del giudice dell'appello, perchè "non ha tenuto in alcun modo conto delle risultanze probatorie del primo grado del giudizio, considerato che non è stata eseguita alcuna ulteriore fase istruttoria". Più in particolare, si segnala e si critica la "totale mancanza di riferimenti in sentenza alle prove assunte in primo grado, a cui non solo non si fa mai rinvio, ma che non vengono nemmeno citate genericamente, omettendo del tutto la motivazione sul punto".
17. - il motivo è inammissibile.
Nel sistema attualmente vigente, il vizio c.d. motivazionale rileva solo nella misura in cui consista nell'omesso esame di un fatto storico, che sia stato discusso dalle parti e che risulti decisivo per l'esito del giudizio.
D'altra parte, il motivo chiede una inammissibile rivisitazione degli elementi di fatto della fattispecie, posto che lo stesso si risolve nell'affermazione della "non spiegabilità" del fatto che la "Corte di Appello abbia potuto porre a fondamento della propria decisione, del tutto di segno opposto a quella di primo grado, una circostanza reperita in atto introduttivo di opposizione e non più discussa (presunta offerta di ipoteca)", "ma non già tutte le risultanze probatorie emerse in fase istruttoria, non rilevando nemmeno il mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte della Banca opposta".
18. - In conclusione, il ricorso dev'essere respinto.
Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 9.100,00 (di cui Euro 100,00, per esborsi), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.