Con l'ordinanza in oggetto, gli Ermellini richiamano una serie di recenti principi in materia di ascolto del minore, di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e di esperibilità delle azioni risarcitorie da illecito endofamiliare.
La Corte d'Appello di Bari confermava il decreto emesso dal Tribunale con il quale il minore, nato fuori dal matrimonio, era stato affidato in via esclusiva alla madre. Nella stessa pronuncia, la Corte territoriale aveva condiviso le valutazioni del Tribunale circa l'inammissibilità della domanda risarcitoria da illecito endofamiliare svolta dalla madre, asserendo che la stessa non poteva...
Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Bari ha confermato integralmente il decreto del Tribunale di Bari del 13.11.2018 con cui il minore C. M., nato fuori dal matrimonio, è stato affidato in via esclusiva alla madre nonché collocato presso la stessa, con la previsione per il minore di poter incontrare il padre con le modalità di tempo e di luogo ritenute opportune alla luce delle sue esigenze scolastiche e di vita.
Il giudice di secondo grado ha rigettato la domanda della sig.ra L. C. di rimodulazione degli incontri tra padre e figlio alla luce dell'età (15 anni) del minore, che suggerisce di non imporre né al minore né al genitore una rigida predeterminazione degli incontri dopo anni che tale rapporto è stato vissuto e consumato in completa autodeterminazione.
La Corte d'Appello ha, altresì, condiviso la valutazione del giudice di primo grado di inammissibilità della domanda risarcitoria da illecito endofamiliare svolta dalla odierna ricorrente nei confronti del C. M., sul rilievo che tale domanda non può essere proposta nell'ambito di un procedimento camerale di volontaria giurisdizione, ma solo spiegata in un giudizio contenzioso a cognizione piena.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione L. C. affidandolo a cinque motivi.
C. G. ha resistito in giudizio con controricorso.
Motivi della decisione
1. E' stata dedotta la violazione dell'art. 337 octies per omesso ascolto del minore ultradodicenne nonché la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sulla richiesta di ascolto formulata nelle conclusioni dell'atto di reclamo, adempimento previsto a pena di nullità, che può essere escluso dal giudice solo con esauriente motivazione.
2. Il motivo è fondato.
Va osservato che, anche recentemente, questa Corte (vedi Cass. n. 1474 del 25/01/2021) ha enunciato il principio di diritto, in tema di ascolto di minore infradodicenne capace di discernimento - principio applicabile a maggior ragione anche al minore ultradodicenne - che l'audizione del minore costituisce adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, in relazione al quale incombe sul giudice che ritenga di ometterlo un obbligo di specifica motivazione, non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore, ma anche qualora opti, in luogo dell'ascolto diretto, per quello effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che solo l'ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda.
Nel caso di specie, non risulta che la Corte d'Appello abbia provveduto all'audizione del minore, né è stata fornita dal giudice di secondo grado alcuna spiegazione (nei termini di superfluità) per non provvedere a tale incombente, e ciò nonostante che, secondo quanto allegato dalla ricorrente, una richiesta in tal senso fosse stata espressamente formulata nel primo motivo dell'atto di reclamo, con cui aveva, altresì, censurato" la natura meramente apparente sul punto della motivazione con'11 giudice di primo grado aveva rigettato l'istanza di audizione.
Ne consegue che la Corte d'Appello è incorsa in un vizio che rende nullo sotto questo profilo il decreto.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 337 ter comma 2° cod. civ., in quanto il regime di visita previsto non realizza gli interessi del minore, nonché la violazione degli artt. 132, 134 e 135 cod. proc. civ., per essere il decreto impugnato privo di argomentazioni idonee a rivelare la ratio decidendi del disposto regime di visita.
Lamenta la ricorrente che errano i giudici di merito nel ritenere che il regime di visita rimesso all'accordo padre-minore già quattordicenne realizzi l'interesse del minore, il quale deve comunque essere sentito in merito ai fini della concreta fattibilità di tale regime.
4. Il motivo è assorbito per effetto dell'accoglimento del primo.
5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 337 ter comma 2° cod. civ. nonché violazione degli artt. 132, 134 e 135 cod. proc. civ., per essere il decreto impugnato privo di argomentazioni idonee a rivelare la ratio decidendi del disposto affido esclusivo.
Lamenta la ricorrente che il regime di affido esclusivo stabilito nel decreto della Corte d'Appello non realizza gli interessi del minore.
Evidenzia, inoltre, che la Corte ha confusamente associato il tema dell'affido a quello del regime di visita e della collocazione del minore, inerendo l'affido alla responsabilità genitoriale.
6. Il motivo è fondato.
Va preliminarmente osservato che questa Corte (Cass. n. 6535 del 06/03/2019), in tema di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, ha recentemente enunciato il principio di diritto secondo cui alla regola dell'affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l'interesse del minore", con la duplice conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitore, e che l'affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso dalla oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore.
Tale orientamento si fonda sul chiaro disposto dell'art. 337 comma 1° quater cod. civ., ai sensi del quale il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore.
Nel caso di specie, la Corte d'Appello non ha assolto in alcun modo all'obbligo motivazionale richiesto sia dal legislatore che dalla giurisprudenza di questa Corte per giustificare l'affidamento esclusivo ad un solo genitore.
Posto che tale decisione deve fondarsi sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza del genitore non affidatario, di talchè il coaffidamento a quest'ultimo verrebbe ad essere contrario all'interesse del minore, la Corte d'Appello di Bari ha fondato la propria decisione sull'età del minore (15 anni), che sconsiglierebbe un cambiamento radicale del modulo di affido, associando tale istituto ad altri elementi, quali il regime del diritto di visita (che, ad avviso del giudice d'appello, sconsiglia una rigida regolamentazione degli incontri) e la collocazione del minore, che ad esso sono completamente estranei.
L'affidamento condiviso - che secondo il disposto dell'art. 337 ter comma 2° cod. civ. deve rappresentare la soluzione prioritaria - consente a ciascun genitore di essere compartecipe delle scelte riguardanti la vita dei minori (salvo le scelte della vita quotidiana che possono essere adottate separatamente), fatto salvo il diritto di entrambi, anche in caso di affidamento esclusivo, di concorrere alle decisioni di maggiore importanza per il minore, a norma dell'art. 337 quater comma 3° cod. civ..
Tale disciplina, attinente alla regolamentazione dei poteri dei genitori sull'esistenza dei figli, non deve essere in alcun modo sovrapposta al regime del diritto di visita ed al collocamento "fisico" del minore presso un genitore o l'altro.
Peraltro, la Corte d'Appello, non solo non ha evidenziato aspetti che denotino l'inidoneità educativa del padre, ma ha, viceversa, sottolineato profili da cui si dovrebbe desumere il contrario, come i rapporti continui e non sporadici padre-figlio, la frequentazione da parte del minore del nucleo famigliare del padre e dei fratelli ex patre anche in occasione delle vacanze.
Né, infine, la scelta del giudice di merito di affidamento esclusivo del minore ad uno solo dei genitori può essere giustificata dalla sola circostanza che - come emergerebbe nel caso di specie, in cui il C. M. si è espresso per il mantenimento dell'affidamento esclusivo in capo alla madre del minore, resistendo sulla richiesta di affidamento condiviso formulata da quest'ultima - ciò corrisponda alla precisa volontà del genitore designato come non affidatario.
La scelta sull'affidamento (condiviso o esclusivo) dei figli compete esclusivamente al giudice, che deve decidere sulla base del solo interesse del minore e non può essere influenzata dalla volontà espressa dai singoli genitori. Tale scelta, se non si appalesano elementi che inducano a ritenerla contraria all'interesse del minore (a norma dell'art. 337 quater cod. civ.), deve essere prioristicamente indirizzata verso la soluzione dell'affido condiviso, e ciò in quanto il minore è titolare del diritto, sancito ora espressamente dall'art. 337 ter comma 1° cod. civ., di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, e di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi (c.d. diritto alla bigenitorialità).
In conclusione, spetta solo al giudice decidere di disporre l'affido esclusivo sulla base di circostanze concrete, dettagliate e specifiche tali da poter stabilire che l'interesse dei figli sia pregiudicato dal comportamento di uno dei genitori e, nel caso di specie, tali circostanze non sono state minimamente indicate dalla Corte d'Appello.
7. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 710 e 709 ter comma 2° n. 2 cod. proc. civ.. Lamenta il ricorrente che erroneamente la Corte d'Appello ha escluso che nel presente procedimento in camera di consiglio non fossero consentite le azioni risarcitorie da illecito endofamiliare (in particolare per i pregiudizi arrecati dall'abbandono del minore), atteso che anche il procedimento in camera di consiglio disciplinato dall'art. 710 comma 2° cod. proc. civ. garantisce una cognizione piena, contemplando la possibilità che possa svolgersi l'attività istruttoria del caso.
8. Il motivo è fondato.
Va osservato che presupposto per l'applicabilità dell'art. 709 ter cod. proc. civ. nelle azioni risarcitorie da illecito endofamiliare è che sia insorta tra i genitori di un minore una controversia in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità di affidamento. Ne consegue che le misure ex art. 709 ter c.p.c. possono essere emanate o nel corso di un procedimento già instaurato avente ad oggetto l'esercizio della responsabilità genitoriale o le modalità di affidamento o - come nel caso di specie - nell'ulteriore giudizio di revoca o modifica delle precedenti statuizioni. Peraltro, il provvedimento emesso ex art. 709 ter cod. proc. civ. riveste i caratteri della decisorietà, incidendo su posizioni di diritto soggettivo (vedi Cass. n. 18977/2013), con conseguente idoneità al passaggio in giudicato. Ne consegue che non vi è motivo per imporre al genitore che voglia svolgere una domanda risarcitoria nell'interesse del figlio minore, per gli atti pregiudizievoli commessi dall'altro genitore ai danni dello stesso minore, la proposizione di un'autonoma azione da illecito aquiliano.
L'art. 709 ter c.p.c. è una norma processuale che, in via eccezionale, consente al giudice del procedimento, avente ad oggetto l'esercizio della responsabilità genitoriale o le modalità dell'affidamento, di trattare una domanda ordinaria con un rito speciale, per preminenti ragioni di celerità e di efficacia del mezzo di tutela, con ciò derogando alla regola generale che vieta il cumulo in un unico processo di domande soggette a riti diversi (salvo che non vi sia una connessione qualificata a norma degli artt. 31,32, 33, 43, 35 e 36 cod. proc. civ.).
Infine, non persuade la motivazione generica fornita dalla Corte d'Appello per giustificare la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria, ovvero che il procedimento camerale ex art. 709 ter cod. proc. civ., nell'ambito del quale si propone la domanda risarcitoria, sarebbe contraddistinto da una fase istruttoria solo sommaria, a differenza della domanda spiegata in un giudizio contenzioso a cognizione piena.
Come emerge dall'art. 710 cod. proc. civ., nei procedimenti in oggetto non vi sono limitazioni nello svolqimento dell'attività istruttoria (la quale può essere eventuali' delegata ad uno dei componenti del collegio), la quale, oltre a potersi estrinsecare nell'assunzione di prove testimoniali o nello svolgimento di consulenze tecniche d'ufficio (anche in campo psicologico), è caratterizzata, anche,, da maggiori poteri istruttori in capo al giudice (come il potere di far svolgere indagini di polizia tributaria).
9. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 337 comma 4° ter cod. civ., per l'illegittimo diniego dell'aumento del contributo mensile al mantenimento del figlio, nonché dell'art. 337 ter comma 6° e l'omessa pronuncia sulla richiesta degli accertamenti di polizia tributaria.
Lamenta la ricorrente che in relazione al suo attuale stato di disoccupazione, alle accresciute esigenze del minore, attualmente quindicenne, nonché al tenore di vita del C. M., sono mutate le condizioni patrimoniali dei genitori del minore in senso per la stessa peggiorativo, imponendosi, pertanto, un aumento del contributo mensile al mantenimento a carico dello stesso C. M..
10. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.
In primo luogo, la deduzione della ricorrente secondo cui all'udienza del 25.09.2018 nel giudizio di primo grado avrebbe allegato il suo stato di disoccupazione è priva di autosufficienza, non essendo stato trascritto nel contesto del ricorso il verbale della predetta udienza da cui sarebbe risultata tale affermazione (la cui corrispondenza al vero avrebbe dovuto, peraltro, essere comunque vagliata dal giudice di merito) e non risultando neppure la evidenziazione di tale circostanza al giudice di appello.
Altrettanto prive di autosufficienza sono le deduzioni con cui la ricorrente assume che il C. M. avesse migliorato la propria posizione economica rispetto alle precedenti statuizioni, facendosi meramente riferimento a documenti (relativi a fatti successivi al 2015) di cui si allega la produzione innanzi ai giudici di merito senza, tuttavia, che risulti l'avvenuta illustrazione del contenuto di tali documenti negli atti processuali dei precedenti gradi.
Va, peraltro, osservato, quanto al tenore di vita del C. M., che il giudice d'appello ha giustificato il rigetto dell'istanza di aumento dell'assegno di mantenimento, precisando che erano immutate le condizioni economiche del padre del minore, svolgendo così una valutazione in fatto che è di pertinenza del giudice di merito e non può essere sindacata in sede di legittimità, se non a norma dell'art. 360 comma 1° n. 5 (profilo non censurato).
Ne consegue che le odierne censure della ricorrente si appalesano inammissibili in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dai giudici di merito.
Proprio la precisa affermazione della Corte d'Appello in ordine alla circostanza che la posizione economica del C. M. era rimasta inalterata presuppone l'implicito rigetto della richiesta di accertamenti di polizia tributaria, la quale, alla luce di quanto sopra illustrato, è stata formulata in modo generico.
Infine, in ordine alle accresciute esigenze del minore, va osservato che, secondo la ricostruzione della Corte d'Appello, tali esigenze erano già state considerate in proiezione futura dal Tribunale di Bari, affermazione che non è stata specificamente censurata.
P.Q.M.
Accoglie il primo, il terzo ed il quarto motivo, assorbito il secondo, inammissibile il sesto, cassa il decreto impugnato limitatamente ai motivi accolti, rinvia per nuovo esame alla Corte d'Appello di Bari in diversa composizione, che dovrà, altresì, statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.