Gli Ermellini ribadiscono che al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente sono inapplicabili i limiti previsti dagli artt. 545 e 546 c.p.c..
Il Tribunale del riesame di Roma annullava il decreto di sequestro preventivo di una somma di denaro presente sul conto corrente dell'indagato pari al triplo dell'assegno sociale, ordinandone la restituzione all'avente diritto. Con lo stesso decreto, il Giudice confermava il sequestro preventivo finalizzato alla confisca sui beni diretti della società fino ad una certa somma e per...
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 16 settembre 2020 il Tribunale del riesame di Roma ha annullato il decreto di sequestro preventivo, limitatamente alla somma di€ 1.379,49, pari al triplo dell'assegno sociale, presente sul cc n. 2603 della U. Banca ordinandone la restituzione all'avente diritto, ed ha confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca fino alla concorrenza della somma di euro 1.232.000,00, diretta sui beni della società e per equivalente sui beni di S. B., indagato per il reato dell'art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000.
2. Con il primo motivo di ricorso l'indagato deduce la violazione di legge con riferimento ai criteri di calcolo seguiti per individuare l'importo erogato a titolo di emolumento pensionistico, non suscettibile di sequestro. Espone che con memoria del 16 settembre 2020 contenente i motivi a sostegno dell'istanza di riesame del decreto di sequestro preventivo, la difesa aveva evidenziato che il conto corrente personale n. 2603 acceso presso l' U. Banca era alimentato anche da emolumenti pensionistici, come da documentazione depositata. Aveva quindi chiesto l'annullamento del decreto del Giudice per le indagini preliminari e la restituzione dell'emolumento mensile nella quota prevista dalla legge. Lamenta che il Tribunale aveva quantificato la somma a lui spettante in € 1.379,49, pari al triplo della misura dell'assegno sociale di€ 459,83. Osserva che tale computo era corretto solo con riferimento agli accrediti effettuati prima dell'apposizione del vincolo, non per quelli successivi. Precisa che per le somme già percepite alla data di apposizione del vincolo vigeva il limite stabilito dall'art. 545, comma 8, cod. proc. civ., da computare una sola volta perché le somme erano già confuse nel patrimonio dell'indagato; con riferimento alle somme accreditate alla data di sequestro o successivamente vigevano i diversi criteri di cui ai commi 3, 4, 5 e 7 della medesima disposizione, perché si applicava per ogni singola mensilità (e non già una sola volta), trattandosi di somme giuridicamente non confuse con il patrimonio, il limite della misura massima dell'assegno sociale aumentato della metà. Era evidente che il Tribunale si fosse limitato ad applicare solo il primo criterio di calcolo, sottoponendo al medesimo limite del triplo dell'assegno sociale, indistintamente tutte le somme confluite sul conto a titolo di pensione. In questo modo, il Tribunale aveva di fatto mantenuto il sequestro sulle somme che dovevano essere ancora corrisposte, con la conseguenza, ad esempio, che gli importi già accreditati a titolo di pensione, in data successiva all'ordinanza impugnata, erano rimasti sottoposti a sequestro in violazione di legge, non potendosi certamente ipotizzare che per ogni mensilità accreditata fosse necessario proporre specifica istanza di revoca del sequestro.
Con il secondo denuncia la violazione di legge con riferimento alla possibilità di mantenere il sequestro preventivo del Giudice per le indagini preliminari sull'intera somma di denaro rinvenuta sul conto corrente n. 2603 e con riferimento alla motivazione apparente in merito alle ragioni del mantenimento del vincolo sull'intera somma. Il conto personale n. 2603 era stato alimentato da finanziamenti prevalentemente pubblici, con la conseguenza che i relativi importi non potevano essere considerati come derivanti da reato. La difesa aveva evidenziato come su tale conto, in data 26 marzo e 29 maggio 2020, l'Artigiancassa avesse accreditato somme rispettivamente di € 50.000,00 e di € 47.678,00 come misura "agevolativa Fondo rotativo piccolo credito", nonché di€ 10.000,00, nell'ambito della linea di finanziamenti RotCovid, messi a disposizione della Regione Lazio. Tali circostanze erano state documentate mediante allegazione delle missive e delibere di approvazioni dei finanziamenti, oltre che dello stesso estratto conto. Aggiunge che aveva espressamente evidenziato che la somma di€ 12.926,91 costituiva non già il profitto del reato di cui all'art. 322-ter. cod. pen., bensì la residua parte di un flusso di liquidità giunta in epoche assai recenti e ampiamente successive al fatto, peraltro provenienti da finanziamenti legittimi. Censura la decisione nella parte in cui aveva affermato apoditticamente che si trattava di un sequestro per equivalente.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è infondato.
La difesa non contesta il fumus commissi delicti, ma la qualificazione del sequestro preventivo ai fini della confisca nei confronti della persona fisica come sequestro per equivalente, dal momento che il sequestro del denaro che costituisce il prezzo o il profitto cosiddetto accrescitivo derivante da reato è sempre in funzione di una confisca diretta. Il Tribunale del riesame ha ricostruito in fatto che è stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca diretta sui beni della società e per equivalente sui beni della persona fisica. Siccome, all'esito delle verifiche effettuate, è stato impossibile procedere al sequestro diretto, il GIP ha disposto su richiesta del Pubblico ministero il sequestro per equivalente. Trattandosi di sequestro per equivalente, non è necessario motivare sul vincolo di pertinenzialità. La decisione è in linea con il consolidato orientamento di questa Sezione, ben compendiato da ultimo nella sentenza n. 6163 del 20/10/2020, G., Rv. 281048, che ha ricordato che se il denaro, che affluisca sul conto corrente successivamente alla commissione del reato, non può costituire il profitto del reato tributario, rappresentato infatti dal risparmio di imposta conseguente all'omissione di versamento del quantum corrispondente (si vedano, tra le altre, Sez. 3, n.8995/18 del 30/10/2017 B., Rv. 272353; n. 41104 del 12/07/2018, V., Rv.274307; n. 6348/19 del 04/10/2018, T., Rv. 274859), ciò non toglie che questo stesso denaro sia suscettibile di confisca (e, corrispondentemente, di sequestro ad essa finalizzato) per equivalente, assumendo, in tal caso, le caratteristiche di valore corrispondente al profitto non rinvenuto e, dunque, come tale non sottoponibile, in prima battuta, secondo il "meccanismo" forgiato dall'art. 322-ter cod. pen., a sequestro in via diretta. La circostanza, non contestata dal ricorrente, che nel caso in esame si tratti di un sequestro per equivalente rende superflua l'analisi della natura di bene fungibile propria del denaro, che, nella prospettiva ricostruttiva della decisione delle Sez. U., n. 10561 del 30/01/2014, G., Rv. 258648, e Sez. U., n. 31617 del 26/06/2015, L., Rv. 264437, giustifica la confisca diretta del denaro, quando sia profitto accrescitivo derivante dal reato ed esonera dalla prova del nesso di pertinenzialità. Infatti, trattandosi di confisca di valore, non è necessaria la prova della pertinenzialità, dovendosi solo verificare l'impossibilità di esecuzione del sequestro funzionale alla confisca diretta del profitto, prodotto o prezzo del reato (Cass., Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018, C., Rv. 274561). Peraltro, non può non evidenziarsi che, anche a voler ritenere la confisca diretta del denaro, il ricorrente non ha offerto la prova dell'assoluta assenza del collegamento tra il denaro in deposito e il profitto del reato, come quando la rimessa provenga da un terzo estraneo alla società, ad esempio per finanziare il concordato preventivo (sentenza B., cit.), o quando si tratti di somme apprese dalla curatela fallimentare (sentenza V., cit., e nello stesso anche la più recente Cass., Sez. 3, n. 31516 del 29/09/2020, Casa di cura T., Rv. 280152-01).
Pertanto, corretta è la motivazione del Tribunale del riesame che ha confermato il sequestro per equivalente delle giacenze del conto corrente, essendo il ragionamento svolto idoneo a giustificare il sequestro anche della somma di euro 12.926,91, relativa alla residua parte di un flusso di liquidità giunta in epoche assai recenti.
Quanto ai limiti di pignorabilità delle somme con riferimento ai ratei pensionistici, il Tribunale del riesame ha pronunciato l'annullamento del sequestro preventivo limitatamente alla somma di euro 1379,49, pari al triplo dell'assegno sociale. Anche sotto tale profilo la decisione è immune da censure. Infatti, al sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sono inapplicabili i limiti previsti dagli art. 545 e 546 cod. proc. civ. - come modificati dall'art. 13, comma 1, lett. I) ed m), d.l. 27 giugno 2015 n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132 -, atteso che le norme in materia di impignorabilità attengono ai rapporti tra privati, determinando eccezioni al principio generale della responsabilità patrimoniale in ragione del contemperamento tra l'interesse del creditore e del debitore, mentre l'interesse pubblicistico tutelato in sede di confisca o sequestro per equivalente, come pure nel caso di confisca o sequestro in via diretta, esclude la possibilità di considerare la pretesa conseguente come di natura ordinariamente civilistica (tra le più recenti, Cass., Sez. 2, n. 16055 del 02/10/2019, dep. 2020, PMT, Rv. 279461 - 01, che richiama la giurisprudenza costituzionale e la Direttiva UE 2014/42/UE). Pertanto, la circostanza che il Tribunale del riesame abbia applicato a livello interpretativo il criterio parametrico dei limiti di pignorabilità dell'art. 545 cod. proc. civ. non significa che il sistema dell'esecuzione civile debba essere integralmente esteso ai sequestri penali.
Generica infine è la doglianza relativa al sequestro dei ratei di pensione accreditati in data successiva al sequestro di cui non v'è menzione nell'ordinanza impugnata. Non è chiaro nella prospettazione difensiva se si tratti di una questione teorica o relativa a un concreto interesse della parte.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali