Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza in commento, precisando che la gestione dei rifiuti rientra tra le funzioni assegnate dal Codice dell'ambiente alle Regioni.
Con sentenza n. 189 del 7 ottobre 2021, la Consulta dichiara l'incostituzionalità dell'art. 6, c. 2, lett. b) e c) della legge regionale del Lazio sulla gestione dei rifiuti per contrasto con l'
Al riguardo, la Corte precisa che «la dichiarazione di illegittimità costituzionale decorre dal 29 aprile 2006, data in vigore del Codice dell'ambiente, con il quale i principi della riforma del titolo V della Costituzione – successiva alla norma censurata – si sono tradotti in una specifica disciplina del reparto delle funzioni amministrative, rendendo attuale la discrasia della distruzione delle competenze disposta dalla legge regionale censurata».
La vicenda tra origine dal rigetto di Roma Capitale della richiesta di autorizzazione ad esercitare l'attività di smaltimento e recupero rifiuti pericolosi da parte di due società di autodemolizione di autoveicoli. Avverso tale decisione le istanti propongono ricorso al TAR Lazio.
Sulla questione la Corte Costituzionale ha stabilito che, in forza dell'attuale assetto costituzionale delle competenze sulla gestione dei rifiuti, appartenente alla materia della tutela ambientale, le Regioni non possono delegare ai Comuni le funzioni amministrative ad esse conferite dallo Stato in forza del Codice dell'ambiente.
Pertanto, la Regione Lazio non poteva delegare ai Comuni l'approvazione di progetti aventi ad oggetto le questioni predette.
Svolgimento del processo
1.– Con due ordinanze dell’8 luglio 2020, iscritte al n. 181 e al n. 185 del registro ordinanze del 2020, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, lettere b) e c), della legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti) nella parte in cui dispone che «[s]ono delegate ai comuni: […] b) l’approvazione dei progetti degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi, dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati ed obsoleti e la relativa autorizzazione alla realizzazione degli impianti, nonché l’approvazione dei progetti di varianti sostanziali in corso di esercizio e la relativa autorizzazione alla realizzazione; c) l’autorizzazione all’esercizio delle attività di smaltimento e recupero dei rifiuti di cui alle lettere a) e b)», in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
1.1.– Il giudice a quo riferisce che nei giudizi principali le ricorrenti hanno impugnato la determinazione dirigenziale con la quale Roma Capitale ha concluso negativamente la conferenza di servizi decisoria indetta ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio delle attività di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, ai sensi dell’art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dalle stesse avanzata in relazione ai rispettivi impianti di autodemolizione gestiti in forza di autorizzazioni provvisorie.
Il rimettente espone che a sostegno dei ricorsi, formulati in termini pressoché coincidenti, le società ricorrenti hanno chiesto, in via principale, di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, nella parte in cui stabilisce che l’approvazione dei progetti per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi, dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati e obsoleti e l’autorizzazione alla realizzazione e gestione di detti impianti sono delegate ai Comuni, perché in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., come sostituito dall’art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), che assegna allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, in relazione agli artt. 196, comma 1, lettere d) ed e), e 208 del d.lgs. n. 152 del 2006, che attribuiscono tali competenze alle Regioni.
Il TAR riferisce che le ricorrenti hanno censurato la determinazione gravata anche sotto altri profili, deducendo in particolare: a) l’incompetenza assoluta di Roma Capitale al rilascio dell’autorizzazione richiesta, in relazione agli artt. 196 e 208 del d.lgs. n. 152 del 2006, sul presupposto che il contrasto tra la delega ai Comuni stabilita all’art. 6, comma 1, lettere b) e c), della legge regionale n. 27 del 1998 e la successiva normativa nazionale di cui agli artt. 196, comma 1, lettere d) ed e), e 208 del d.lgs. n. 152 del 2006, attributivi delle medesime funzioni alle Regioni, sarebbe risolvibile in favore di queste ultime, con conseguente nullità di tutti i provvedimenti impugnati; b) l’illogicità e contraddittorietà della determinazione dirigenziale di «conclusione negativa» del procedimento autorizzativo, in quanto la rilevata illegittimità delle preesistenze, così come l’incompatibilità urbanistica, poste a fondamento del diniego, non sarebbero ostative al rilascio dell’autorizzazione richiesta, potendo l’amministrazione condizionare l’emissione di tale provvedimento al rispetto di determinate prescrizioni edilizie o all’esito del procedimento di condono, nonché procedere alla necessaria variante urbanistica; c) la violazione dell’art. 14-bis (Conferenza semplificata) della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), in relazione ai termini perentori di durata massima ivi previsti e al termine entro il quale le amministrazioni partecipanti avrebbero dovuto rendere le loro valutazioni, con conseguente formazione del silenzio assenso con riferimento al parere del Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica, al parere dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale del Lazio (ARPA Lazio) e al parere espresso da Roma Capitale, in quanto reso successivamente alla riunione simultanea del 4 febbraio 2019; d) la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 per mancato preavviso di conclusione negativa; e) la violazione degli artt. 14-bis e 14-ter della legge n. 241 del 1990, per avere l’amministrazione procedente prorogato, pur non essendo titolare di un siffatto potere, i termini per la trasmissione dei pareri di competenza mediante l’assegnazione di un termine superiore a quello previsto dall’art. 14-bis; f) in via subordinata, la violazione dell’art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006, per avere la stessa amministrazione omesso di designare il responsabile del procedimento e per il mancato rispetto dei termini previsti sia per la convocazione della conferenza di servizi, sia per la conclusione dell’istruttoria, nonché per difetto di motivazione.
2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo ritiene, anzitutto, che la questione di legittimità costituzionale meriti considerazione prioritaria, rispetto alle altre censure formulate dalle parti private, in ragione del carattere pregiudiziale del vizio di incompetenza ad essa sotteso, in forza del quale il positivo scrutinio, da parte di questa Corte, delle censure di legittimità costituzionale condurrebbe necessariamente all’accoglimento del ricorso con assorbimento degli altri motivi.
Esclude, in particolare, il rimettente che la questione di legittimità costituzionale sia logicamente recessiva rispetto al secondo motivo di ricorso, con il quale le ricorrenti denunciano un’antinomia tra la disposizione regionale censurata e la successiva disciplina statale dettata dagli artt. 196, comma 1, lettere d) ed e), e 208 del d.lgs. n. 152 del 2006, idonea a determinare l’abrogazione tacita della prima.
Secondo il TAR, la persistente vigenza della norma indubbiata deriverebbe dalla sua implicita «convalida» operata dalla legge della Regione Lazio 5 dicembre 2006, n. 23, recante «Modifiche alla legge regionale 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti e successive modifiche)», con la quale sono state apportate specifiche modifiche alla disciplina introdotta dalla legge regionale n. 27 del 1998 finalizzate all’adeguamento dell’assetto organizzativo delle funzioni in materia di bonifica dei siti contaminati alle nuove procedure previste dal codice dell’ambiente.
3.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente sostiene, anzitutto, che la normativa regionale censurata, nell’attribuire ai Comuni le funzioni amministrative dalla stessa specificate, introduce un modello di distribuzione delle competenze decisionali che violerebbe la riserva allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, per contrasto con l’art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale, nel disciplinare il procedimento di autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, assegna alla Regione territorialmente competente – quella in cui ricade l’impianto – il compito di approvarne il progetto e di autorizzarne la realizzazione e la gestione.
Secondo il giudice a quo, l’attribuzione di tali funzioni ai Comuni pregiudicherebbe l’esigenza di fissazione di livelli di tutela uniformi «proprio in considerazione dei valori della salute e dell’ambiente che si intendono tutelare in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale» (è citata, al riguardo, la sentenza di questa Corte n. 249 del 2009). Di conseguenza, il conferimento, da parte del legislatore statale, della competenza alle Regioni non consentirebbe l’allocazione della stessa a un livello amministrativo diverso e, quindi, la delega di tali funzioni ai Comuni presenti nei rispettivi territori.
Deporrebbe in tal senso la lettura combinata delle disposizioni del Titolo V della Parte II della Costituzione e, in particolare, dell’art. 118 Cost., secondo il quale le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, a meno che le stesse, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
In questo modo, soggiunge il TAR, il legislatore costituzionale «ha inteso introdurre un elemento di elasticità nell’attribuzione delle funzioni amministrative correlate alle esigenze unitarie di esercizio “sovraterritoriale” delle medesime, attraverso la valorizzazione dei canoni di sussidiarietà verticale, differenziazione e adeguatezza, quali criteri guida della diversa distribuzione delle competenze». Ne deriverebbe che nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema – alla quale si ascrive anche quella dei rifiuti – il legislatore regionale non potrebbe, nel proprio ambito territoriale, introdurre una regolamentazione delle funzioni amministrative modificativa dell’assetto delle competenze delineato dalla legge statale, ponendosi quest’ultima come limite insuscettibile di deroga (si citano, al riguardo, le sentenze di questa Corte n. 314 del 2009 e n. 62 del 2008). Da qui il dubbio di illegittimità costituzionale della disciplina di cui si tratta.
Motivi della decisione
1.– Con due ordinanze dell’8 luglio 2020 (reg. ord. n. 181 e n. 185 del 2020), di analogo tenore, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, lettere b) e c), della legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti), nella parte in cui dispone che «[S]ono delegate ai comuni: […] b) l’approvazione dei progetti degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi, dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati ed obsoleti e la relativa autorizzazione alla realizzazione degli impianti, nonché l’approvazione dei progetti di varianti sostanziali in corso di esercizio e la relativa autorizzazione alla realizzazione; c) l’autorizzazione all’esercizio delle attività di smaltimento e recupero dei rifiuti di cui alle lettere a) e b)», in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Secondo il rimettente, la disciplina censurata, delegando ai Comuni il rilascio dell’autorizzazione per la realizzazione e gestione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti derivanti dalla demolizione di veicoli e dalla rottamazione di macchinari e apparecchiature deteriorati e obsoleti, introdurrebbe un modello di attribuzione delle competenze che viola la riserva allo Stato della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema perché in contrasto con l’art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il quale assegna le funzioni amministrative in questione alla Regione senza, tuttavia, legittimarla all’ulteriore allocazione delle stesse presso un diverso ambito di autonomia.
2.– In considerazione dell’identità delle disposizioni censurate e della coincidenza delle ragioni svolte dal rimettente a sostegno della sollevata questione di legittimità costituzionale, i giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.
3.– Preliminarmente, in stretta correlazione con le fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, le censure devono intendersi limitate al riferimento alla sola lettera b), e non anche alla lettera a), operato dall’art. 6, comma 2, lettera c), della legge regionale in esame, essendo solo questa la norma di cui i giudici devono fare applicazione. I processi principali, infatti, hanno ad oggetto il diniego di autorizzazione alla realizzazione e gestione degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione di autoveicoli.
3.1.– Sempre in via preliminare, in ordine al requisito della rilevanza, si osserva che la valutazione prognostica del giudice a quo circa l’applicabilità delle disposizioni sospettate di illegittimità costituzionale alle fattispecie sottoposte al suo esame è adeguatamente motivata e quindi idonea a superare lo scrutinio “esterno” demandato a questa Corte (tra le molte, sentenze n. 59 e n. 32 del 2021).
In particolare, nelle ordinanze di rimessione si sottolinea che la normativa denunciata disciplina la competenza a emettere i provvedimenti autorizzatori ex art. 208 cod. ambiente, nel cui novero si ascrivono le determinazioni dirigenziali impugnate nei giudizi a quibus. In tali giudizi la legittimità di queste ultime è contestata anche per il vizio di incompetenza, la cui deduzione deve ritenersi sottesa alla stessa eccezione di illegittimità costituzionale. Ne deriva che lo scrutinio positivo, da parte di questa Corte, della questione di legittimità costituzionale condurrebbe senz’altro all’accoglimento dei ricorsi, con assorbimento delle altre censure articolate dalle ricorrenti.
Né la plausibilità della valutazione compiuta dal rimettente può ritenersi scalfita dalla formulazione, in entrambi i giudizi principali, di un motivo di ricorso con il quale è denunciata un’antinomia – tra la legge reg. Lazio n. 27 del 1998 e la successiva disciplina dettata dagli artt. 196, comma 1, lettere d) ed e), e 208 cod. ambiente – in forza della quale la sopravvenuta normativa statale avrebbe determinato l’abrogazione tacita delle norme della legge regionale qui censurata.
Il rimettente giustifica la persistente vigenza delle disposizioni censurate assumendone l’implicita “convalida” ad opera della legge della Regione Lazio 5 dicembre 2006, n. 23, recante «Modifiche alla legge regionale 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti e successive modifiche)», la quale, pur non essendo intervenuta sulle competenze in tema di autorizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti, ha apportato specifiche rettifiche alla disciplina introdotta dalla legge regionale n. 27 del 1998 al fine di adeguare l’assetto organizzativo delle funzioni in materia di bonifica dei siti contaminati alle nuove procedure previste dal codice dell’ambiente.
Tale argomentazione appare idonea a suffragare la rilevanza del dubbio di legittimità costituzionale, giacché, come chiarito da questa Corte, il controllo sull’attuale vigenza della norma sospettata di illegittimità costituzionale «spetta istituzionalmente al giudice comune e precede ogni possibile valutazione sulla legittimità costituzionale della medesima norma» (sentenze n. 272 del 2010 e n. 222 del 2007), con la conseguenza che, ove il rimettente escluda espressamente, con affermazione non palesemente infondata, la ricorrenza di un fenomeno abrogativo, la Corte non può che rilevare come «“ragioni essenziali di certezza del diritto” impongano di scrutinare nel merito le questioni di legittimità costituzionale proposte» (sentenza n. 33 del 2015).
3.2.– Poiché le ordinanze di rimessione sono sorrette da ampia motivazione anche in ordine alla ritenuta non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale, la questione con esse sollevata è ammissibile.
4.– Lo scrutinio nel merito impone una preliminare descrizione della disciplina normativa statale sopravvenuta alla norma regionale denunciata.
4.1.– L’art. 196, comma 1, lettere d) ed e), cod. ambiente ha assegnato, senza altra precisazione, alle Regioni la competenza all’approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti, anche pericolosi, al rilascio dell’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti – fatte salve le competenze statali di cui al precedente art. 195, comma 1, lettera f) (relative alla definizione dei metodi, delle procedure e degli standard per il campionamento e l’analisi dei rifiuti), e di cui all’art. 7, comma 4-bis del medesimo codice (relative ai progetti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale statale) –, nonché dell’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, anche pericolosi, fatte salve le competenze statali di cui al richiamato articolo 7, comma 4-bis, mentre l’art. 208 del medesimo codice ha confermato la competenza regionale con specifico riferimento al procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.
4.2.– La scelta allocativa compiuta dal legislatore statale trova fondamento nell’assetto istituzionale configurato dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, nel quale la potestà legislativa in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema – cui la costante giurisprudenza di questa Corte riconduce la disciplina della gestione dei rifiuti (tra le tante, sentenze n. 86 del 2021 e n. 227 del 2020) – è riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in via esclusiva allo Stato.
La legislazione statale, anche in attuazione degli obblighi comunitari, rappresenta, infatti, «un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenza n. 58 del 2015).
Questa Corte ha anche precisato che si tratta di una «materia naturalmente trasversale, idonea perciò a incidere sulle competenze regionali» (sentenza n. 289 del 2019 che richiama le sentenze n. 215 e n. 151 del 2018, n. 54 del 2012, n. 380 del 2007 e n. 259 del 2004; più recentemente, la sentenza n. 86 del 2021), nel senso che interseca materie di competenza concorrente o residuale delle Regioni e, in particolare, quelle del governo del territorio, della tutela della salute, della protezione civile e dell’agricoltura e foreste.
Non di meno, ferma restando la riserva allo Stato del potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, le Regioni possono esercitare competenze legislative proprie per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, purché l’incidenza nella materia di competenza esclusiva statale sia solo in termini di maggiore e più rigorosa tutela dell’ambiente (ex multis, sentenze n. 86 del 2021, n. 227, n. 214, n. 88 del 2020 e n. 289 del 2019).
5.– Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale è fondata.
5.1.– La potestà legislativa esclusiva nelle materie indicate nell’art. 117, secondo comma, Cost. comporta la legittimazione del solo legislatore nazionale a definire l’organizzazione delle corrispondenti funzioni amministrative anche attraverso l’allocazione di competenze presso enti diversi dai Comuni – ai quali devono ritenersi generalmente attribuite secondo il criterio espresso dall’art. 118, primo comma, Cost. – tutte le volte in cui l’esigenza di esercizio unitario della funzione trascenda tale ambito territoriale di governo.
Il principio di legalità, quale canone fondante dello Stato di diritto, impone che le funzioni amministrative siano organizzate e regolate mediante un atto legislativo, la cui adozione non può che spettare all’ente – Stato o Regione, «secondo le rispettive competenze» (art. 118, secondo comma, Cost.) – che ha inteso dislocare la funzione amministrativa in deroga al criterio generale che ne predilige l’assegnazione al livello comunale.
Tanto conduce logicamente a escludere che le funzioni amministrative riconducibili alle materie di cui all’art. 117, secondo comma, Cost. – che, sulla base di una valutazione orientata dai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, siano state conferite dallo Stato alla Regione – possano essere da quest’ultima riallocate presso altro ente infraregionale, comportando un’iniziativa siffatta una modifica, mediante un atto legislativo regionale, dell’assetto di competenze inderogabilmente stabilito dalla legge nazionale. Tale deve ritenersi quello in materia di autorizzazione alla gestione e al trattamento dei rifiuti delineato dagli artt. 196, comma 1, lettere d) ed e), e 208 cod. ambiente sulla base di una ragionevole valutazione di congruità dell’ambito regionale rispetto alla dimensione degli interessi implicati.
5.2.– La potestà legislativa esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. risponde, del resto, a ineludibili esigenze di protezione di un bene, quale l’ambiente, unitario e di valore primario (sentenze n. 246 del 2017, n. 641 del 1987), che risulterebbero vanificate ove si riconoscesse alla Regione la facoltà di rimetterne indiscriminatamente la cura a un ente territoriale di dimensioni minori, in deroga alla valutazione di adeguatezza compiuta dal legislatore statale con l’individuazione del livello regionale.
5.3.– In linea con tale esegesi, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 7, della legge della Regione Marche 15 novembre 2010, n. 16 (Assestamento del Bilancio 2010), in quanto, nel modificare l’art. 4 della legge della Regione Marche 12 ottobre 2009, n. 24 (Disciplina regionale in materia di gestione integrata dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati), aveva previsto che il compito di curare le procedure per l’affidamento del servizio di gestione dei rifiuti di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182 (Attuazione delle direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico), fosse assegnato ai Comuni territorialmente competenti, pur a fronte di una normativa statale – l’art. 5, comma 4, del medesimo d.lgs. n. 182 del 2003 – che aveva conferito tale funzione amministrativa alla Regione (sentenza n. 187 del 2011).
Questa Corte ha ritenuto che l’evidenziata discrasia normativa giustificasse di per sé la pronuncia di illegittimità costituzionale, senza che la facoltà della Regione di riallocare presso il Comune, con un proprio atto legislativo, la funzione amministrativa di cui all’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 182 del 2003 potesse ricavarsi dal riconoscimento, ad opera della legislazione statale, della sua legittimazione «ad intervenire sulla disciplina relativa all’affidamento del servizio di gestione dei rifiuti in questione, col potere di arrecarvi modifiche rispetto al modello fornito dal legislatore statale, sul contenuto degli artt. 196 e 199 del decreto legislativo n. 152 del 2006».
5.4.– Sempre in materia di rifiuti portuali, questa Corte, ribadendo che il legislatore nazionale, nel dettare, all’art. 5 del d.lgs. n. 182 del 2003, la disciplina relativa ai piani di raccolta e di gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico, ha previsto che le funzioni relative all’affidamento del servizio di gestione di tale tipo di rifiuti siano allocate presso le singole Regioni ove sono ubicati i porti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Toscana 5 agosto 2011, n. 41, recante «Modifiche alla legge regionale 18 maggio 1998, n. 25 (Norme per la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati)», nella parte in cui aveva stabilito che la predetta funzione fosse svolta dalla Comunità d’ambito in «avvalimento e per conto della stessa Autorità marittima» (sentenza n. 159 del 2012).
Nell’ occasione questa Corte ha sottolineato che «[p]oiché […] la legge regionale – invece di limitarsi a disciplinare materie rientranti nelle sue competenze legislative – ha provveduto, al contrario, ad attribuire nuovi compiti alla Autorita` marittima, essa ha, in tal modo, illegittimamente modificato l’assetto delle competenze delineato sul punto dalla legge dello Stato (che […] attribuisce il compito di curare le procedure di affidamento del servizio di gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e dei rifiuti del carico alla Regione)».
6.– Ciò premesso, con la disposizione ora in scrutinio la Regione Lazio, delegando ai Comuni la funzione amministrativa – attinente alla cura del procedimento di autorizzazione alla realizzazione e gestione degli impianti di smaltimento e recupero di rifiuti derivanti dall’autodemolizione e rottamazione di macchinari e apparecchiature deteriorati e obsoleti – ad essa conferita con legge nazionale, ha inciso, senza esservi abilitata da tale fonte normativa, su una competenza istituita dallo Stato nell’esercizio della sua potestà legislativa esclusiva ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
6.1.– Infatti, con la delega di funzioni amministrative il soggetto titolare del potere di provvedere su determinati interessi conferisce ad altro soggetto la legittimazione ad adottare atti che rientrano nella propria sfera di attribuzione, così dando luogo a una competenza di carattere derivato, ancorché limitata al solo esercizio della funzione e non incidente sulla sua titolarità.
Posto che la predeterminazione normativa della distribuzione dei compiti costituisce una proiezione del principio di legalità, che, ai sensi dell’art. 97 Cost., regola l’agire amministrativo, l’attitudine della delega a modificare la competenza ne giustifica il condizionamento al duplice presupposto della titolarità originaria, in capo al conferente, del potere che ne forma oggetto e dell’espressa previsione e delimitazione ad opera della stessa fonte normativa che attribuisce la competenza a delegare (si veda, sul tema, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 29 novembre 2012, n. 6042).
6.2.– La modifica della competenza regionale fissata dall’art. 196 cod. ambiente, operata dall’art. 6, comma 2, lettere b) e c), della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, attraverso la delega ai Comuni della funzione autorizzatoria ivi indicata, contrasta con il parametro evocato perché introduce una deroga all’ordine delle competenze stabilito dalla legge statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in assenza – sia nell’ordito costituzionale, sia nel codice dell’ambiente – di una disposizione che abiliti alla descritta riallocazione.
6.2.1.– La mancata riproduzione, nel testo dell’art. 118 Cost. introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), del riferimento, presente nella formulazione originaria dello stesso art. 118, alla delega come strumento di “normale” esercizio delle funzioni amministrative regionali induce, infatti, a ritenere che tale istituto non sia più configurabile come ordinario strumento di allocazione di competenze da parte del legislatore regionale, in assenza di una specifica abilitazione da parte della fonte a ciò competente.
Nel previgente assetto ordinamentale, in cui la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, improntata al principio del parallelismo tra funzioni legislative e amministrative, era assistita da una presunzione di adeguatezza, la delega, comportando la scissione tra titolarità ed esercizio della funzione, rispondeva a un’essenziale esigenza di flessibilità, sicché si prevedeva che, ove l’ente individuato dalla Costituzione si fosse rivelato inadeguato rispetto alle concrete esigenze della collettività di riferimento, lo svolgimento delle funzioni amministrative sarebbe stato demandato all’ente ritenuto più idoneo a garantirne il soddisfacimento.
Per contro, nel modello delineato dalla riforma costituzionale del 2001, in linea con il principio di sussidiarietà, la valutazione di adeguatezza informa di sé l’individuazione, ad opera del legislatore statale o regionale, dell’ente presso il quale allocare, in termini di titolarità, la competenza. Infatti, muovendo dalla preferenza accordata ai Comuni, cui sono attribuite, in via generale, le funzioni amministrative, la Costituzione demanda al legislatore statale e regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, la facoltà di diversa allocazione di dette funzioni, per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (art. 118, primo comma, Cost.).
7.– In conclusione, l’art. 6, comma 2, lettere b) e c), quest’ultima limitatamente al riferimento alla lettera b), della legge reg. Lazio n. 27 del 1998, confliggendo con l’assetto di competenze delineato dal codice dell’ambiente, dà corpo alla dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Per questo deve esserne dichiarata l’illegittimità costituzionale.
7.1.– Va, peraltro, evidenziato che le disposizioni in esame si pongono in contrasto con i parametri costituzionali, e relative norme interposte, sopravvenuti alla loro entrata in vigore, con la conseguenza che la declaratoria di illegittimità costituzionale non può investirne l’intero arco di vigenza. Come questa Corte ha chiarito, «“la modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione non [ha] determinato l’automatica illegittimità costituzionale delle norme emanate nel vigore dei vecchi parametri costituzionali”, cosicché “tali norme [...] adottate in conformità al preesistente quadro costituzionale, mantengono, in applicazione del principio di continuità, la loro validità fino al momento in cui non vengano sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema” (sentenza n. 401 del 2007; nello stesso senso sentenza n. 376 del 2002)» (sentenza n. 244 del 2020).
Con specifico riferimento alla materia di cui si tratta, soltanto con il codice dell’ambiente i nuovi principi regolatori risultanti dalla riforma costituzionale del 2001 si sono tradotti in una specifica disciplina del riparto delle funzioni amministrative, così rendendo attuale la discrasia, rispetto a tale assetto, della distribuzione delle competenze disposta dalla normativa regionale anteriore qui denunciata.
L’illegittimità costituzionale della disciplina censurata decorre, pertanto, dal 29 aprile 2006, data di entrata in vigore degli artt. 196 e 208 cod. ambiente.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale, a far data dal 29 aprile 2006, dell’art. 6, comma 2, lettere b) e c), quest’ultima limitatamente al riferimento alla lettera b), della legge della Regione Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti).