La Cassazione accoglie il ricorso di un professionista in quanto gli importi indicati per la liquidazione del compenso erano notevolmente inferiori rispetto a quelli derivanti dalla corretta applicazione dei parametri tabellari in relazione all'attività espletata dal legale.
Il Consorzio di sviluppo industriale della Provincia di Potenza chiedeva al Tribunale di Potenza di dichiarare la nullità del mandato professionale e della richiesta stragiudiziale di pagamento di un avvocato, posto che quest'ultimo non aveva titolo a ricevere compensi ulteriori per l'attività svolta dinanzi al TAR Basilicata e al Consiglio di...
Svolgimento del processo
Il Consorzio di sviluppo industriale della Provincia di Potenza ha convenuto dinanzi al tribunale di Potenza l'avv. E. B., chiedendo di dichiarare che il difensore non aveva titolo ad alcun compenso ulteriore per l'attività svolta dinanzi al Tar Basilicata e al Consiglio di Stato per l'impugnativa di taluni provvedimenti amministrativi, eccependo la nullità del mandato professionale e l'infondatezza di una richiesta stragiudiziale di pagamento dell'importo di f. 411.460.000, inoltrata dal convenuto in data 27.7.1999.
Costituitosi il contraddittorio e spiegata dal B. domanda riconvenzionale di pagamento del compenso, all'esito il tribunale ha dichiarato che nulla era dovuto al difensore, regolando le spese.
Su appello del convenuto, la Corte potentina ha confermato la decisione.
Pur dichiarando che il rilascio della procura aveva validamente costituito il rapporto di mandato professionale, il giudice distrettuale ha rilevato che il B., all'epoca procuratore legale, non era abilitato al patrocinio dinanzi al Consiglio di Stato e non aveva titolo ad alcun compenso.
Per i giudizi svoltisi dinanzi al Tar, la sentenza, dato atto che non era contestata la spettanza dei diritti, ha quantificato gli onorari in base al valore indeterminabile della causa, in applicazione del d.m. 127/2004, osservando però che l'importo di f. 16.881300 ,spettante al difensore, era stato integralmente corrisposto e che non residuava alcun credito.
La cassazione della sentenza è chiesta da E. B. con ricorso in tre motivi.
Il Consorzio per lo sviluppo industriale della Provincia di Potenza resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 19 e 28 L: 1034/1971, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., sostenendo che, stante l'appellabilità delle ordinanze cautelari adottate nel giudizio amministrativo di primo grado e l'applicabilità
- in appello- delle disposizioni processuali per i giudizi dinanzi al Tar, il ricorrente era abilitato a patrocinare, per tali cause, dinanzi al Consiglio di Stato ed aveva titolo al pagamento degli onorari, considerato inoltre che l'irregolarità della costituzione in giudizio non era stata rilevata nel giudizio amministrativo e che la questione era coperta dal giudicato.
Il motivo è infondato.
Come ha ricordato la sentenza, l'art. 4 R.D.L. 1578/1933 consentiva l'esercizio del patrocinio dinanzi al Consiglio di Stato solo ai difensori iscritti all'albo speciale per la difesa nei giudizi di legittimità.
Anche a norma dell'art. 35 del R.D. n. 1054/24, applicabile all'atto di appello in forza del principio "tempus regit actum", i ricorsi presentati al Consiglio di Stato dovevano essere firmati da un avvocato ammesso al patrocinio in Corte di cassazione. Analogamente disponeva infine l'art. 6 del regolamento di procedura emanato con R.D. n. 642/1907, oltre che il nuovo codice del processo amministrativo (art. 22, co,, 2 c.p.a.), ove prevede che" per i giudizi davanti al Consiglio di Stato è obbligatorio il ministero di avvocato ammesso al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori". In tal senso si era infine espressa anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato con specifico riferimento all'appello avverso provvedimenti cautelari, proposto nel regime processuale qui applicabile (Consiglio di Stato n. 1009/1994).
Stante il difetto di abilitazione, accertato dalla Corte di merito, il difensore non poteva pretendere alcun compenso.
Per il disposto dell'art. 2231 cod. civ., l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, dando luogo a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente (art. 1418 c. 1, cod. civ.), priva il contratto di qualsiasi effetto.
Pertanto, nel caso di esercizio della professione forense in difetto dell'iscrizione all'albo professionale al momento in cui il contratto di patrocinio è stato stipulato e sono state poste in essere le relative attività, nulla può essere preteso dal cliente (Cass. 3740/2007; Cass. 13214/2006).
2. Il secondo motivo deduce l'omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., sostenendo che il ricorrente aveva svolto il patrocinio in favore di due diverse società - la H. s.p.a. e la C. s.p.a. - ma che la Corte di merito abbia liquidato il compenso per l'attività svolta in favore di una sola di esse, pur essendo ammissibile liquidare un unico corrispettivo solo per le attività svolte dopo la riunione delle cause. Inoltre, dopo aver dichiarato di voler applicare i valori tariffari massimi, la sentenza avrebbe contraddittoriamente fatto applicazione dei valori medi.
Il motivo è fondato nei termini che seguono.
La Corte distrettuale ha sicuramente inteso applicare i valori tariffari medi, come si evince dal prospetto riepilogativo delle singole voci, con l'indicazione degli importi liquidati (cfr. sentenza, pagg. 12-13) e dalla nota esplicativa dei criteri adottati (nota 3, pag. 12).
L'incidentale menzione dei valori massimi, presente nel punto in cui è richiamato il decreto ministeriale applicabile ratione temporis (D.M. 585/1994), appare il frutto di un mi ro refuso materiale, privo di incidenza sul decisum.
Circa la correttezza della liquidazione, deve considerarsi invece che i valori finali riportati nel prospetto delle singole voci prese in esame (cfr. sentenza, pagg. 12-13) espongono importi significativamente inferiori a quelli derivanti dalla corretta applicazione dei parametri tabellari ex D.M. 585/1994, in relazione al numero complessivo di ricorsi presentati (6) e al numero delle parti rappresentate in giudizio (2).
Talvolta le singole voci sono moltiplicate per tre (ad es., per lo studio della controversia e redazione memorie), in altri casi per sei (ad es. per consultazioni). Per altre attività (ad es. ricerca documenti, memoria conclusionale, discussione, discussione sospensive), è riportato l'importo finale - inferiore o comunque diverso da quello derivante dalla corretta applicazione del criterio di cui alla nota in calce alla pag. 12) - senza ulteriori indicazioni.
La quantificazione delle spettanze non appare - in definitiva - adeguata al numero dei ricorsi elaborati e alle attività concretamente svolte, nel rispetto dei principi cui lo stesso giudice di merito ha dichiarato di volersi conformare.
3. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 2225 e.e., 5 e 6 D.M. 585/1994, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., sostenendo che, avendo il difensore proposto domanda di annullamento di un provvedimento amministrativo, la causa doveva ritenersi di valore indeterminato e quindi, ai sensi dell'art. 6, comma quinto della tariffa, erano applicabili i valori minimi per le cause di valore compreso tra f. 50.000.000 e f. 100.000.000 e gli onorari massimi previsti per le cause di valore fino a un miliardo di lire, con un aumento del 500% di quelli di cui alla lettera b) dei coefficienti di applicazione.
Il motivo è infondato.
L'art. 6 D.M. 585/1994 dispone che nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del codice di procedura civile e che, in quelli da liquidare a carico del cliente, può aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile.
Il comma quinto statuisce che qualora, secondo criteri di cui ai precedenti commi, il valore della controversia non sia suscettibile di determinazione, si applicano gli onorari minimi previsti per le cause di valore da oltre lire 50 milioni a lire 100 milioni e gli onorari massimi previsti per le cause di valore fino a lire 1 miliardo (tab. A - par. VI), ma tenuto conto dell'oggetto e della complessità della controversia, delle questioni trattate e della rilevanza degli effetti di qualunque natura che possano conseguire alla declaratoria della illegittimità dell'atto amministrativo o del comportamento dell'amministrazione.
Nell'individuare i coefficienti di applicazione per i valori di cui alla tariffa, compresi tra il n. 1 ed il n. 40 (tra cui sono inclusi anche quelli vigenti per i giudizi amministrativi di primo grado), il paragrafo sei della tabella A, specifica che "per le cause di valore indeterminabile gli onorari minimi sono quelli previsti per le cause di valore da L. 10.000.000 fino a L. 50.000.000, mentre gli onorari massimi sono quelli previsti per le cause di valore superiore a L. 100.000.000 fino a L. 200.000.000 a seconda del.l'entità dell'interesse dedotto nel processo; qualora le cause siano di particolare importanza per l'oggetto, per le questioni giuridiche trattate, per i rilevanti risultati utili di qualunque natura, anche se non di carattere patrimoniale, il giudice può liquidare onorari nei limiti previsti nelle lettere da D) a G).
Dal coordinamento delle due disposizioni si evince che l'aumento dei valori di riferimento (e in particolare, quanto ai massimi, fino al 500% degli onorari di cui alla lettera b), per i giudizi amministrativi di primo grado non è automatico, ma discrezionale e che il giudice può applicarlo alla luce della particolare importanza della causa, in relazione alle questioni esaminate o per i risultati ottenuti.
La relativa valutazione, afferendo al giudizio di fatto, è insindacabile,
ove congruamente motivata.
Consegue accoglimento del secondo motivo di ricorso, con rigetto delle altre censure.
La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Potenza, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, respinge ogni altra censura, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Potenza, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.