Per la Cassazione rileva il fatto che lo straniero vivesse in Italia da molti anni insieme alla madre e ai fratelli e non avesse alcun rapporto con il paese d'origine, di cui non parla nemmeno la lingua.
Uno straniero proponeva opposizione al decreto con cui il Magistrato di sorveglianza aveva disposto la sua espulsione quale sanzione alternativa alla detenzione. Il Tribunale di sorveglianza di Ancora rigettava la richiesta attorea ritenendo privo di rilievo il fatto che lo straniero si fosse integrato nel territorio italiano dove vivono la...
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 29 aprile 2020 il Tribunale di sorveglianza di Ancona ha rigettato l'opposizione proposta da R. J. avverso il decreto, emesso dal Magistrato di sorveglianza di Ancona, con cui è stata disposta la sua espulsione, quale sanzione alternativa alla detenzione, ai sensi dell'art. 16, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ed in relazione alla pena indicata nel provvedimento di cumulo emesso dal Procuratore generale della Repubblica presso il Tribunale di Ancona il 29 giugno 2017.
Ha, a tal fine, rilevato che non sussiste alcuna delle cause ostative previste dall'art. 19 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e, in particolare: che J., privo di permesso di soggiorno, ben avrebbe potuto, ad onta di quanto eccepito in sede di opposizione, attivarsi per il suo rilascio anche in costanza di detenzione; che in concreto, resta privo di rilievo il fatto che egli sia integrato nel territorio italiano, ove vivono la madre ed i suoi tre fratelli minori.
2. R. J. propone, con l'assistenza dell'avv. M. R., ricorso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei quali deduce violazione di legge, lamentando che il Tribunale di sorveglianza non abbia debitamente considerato la sostanziale impossibilità di avviare, dal carcere, la procedura finalizzata al rinnovo del permesso di soggiorno.
Ulteriormente, obietta, in forza di argomenti che sostengono anche il secondo motivo, che il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto prendere atto di una causa ostativa all'espulsione, connessa alla sua condizione di soggetto che, arrivato in Italia all'età di cinque anni, non hai più alcun legame con il paese di provenienza, di cui non parla la lingua, e che, se ivi forzatamente condotto, si troverebbe sfornito dei più elementari presidi, anche di natura economica, necessari per l'inserimento in quel tessuto sociale, lontano dall'Italia, ove invece risiedono, con regolare titolo amministrativo, tutti i suoi cari.
3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento.
2. L'espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, prevista dall'art. 16, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, riservata alla competenza del giudice di sorveglianza ed avente natura amministrativa, costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento carcerario, della quale è obbligatoria l'adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge e fatta salva la ricorrenza di una tra le cause ostative previste dal successivo art. 19 del medesimo plesso normativo (Sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, T., Rv. 249175).
L'art. 16, comma 5, prevede che tale espulsione possa essere disposta nelle ipotesi previste dal precedente art. 13, comma 2, e, dunque, al cospetto di una delle seguenti condizioni: a) l'ingresso da parte del detenuto straniero nel territorio dello Stato mediante sottrazione ai controlli di frontiera senza essere stato respinto ai sensi dell'art. 10 del decreto; b) il trattenimento nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all'art. 27, comma 1-bis, o senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o rifiutato o è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, o, ancora, se lo straniero si è trattenuto sul territorio dello Stato in violazione dell'art. 1, comma 3, legge 28 maggio 2007, n. 68; c) l'appartenenza ad una delle categorie indicate negli artt. 1, 4 e 16 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
L'istituto ha ricevuto l'avallo della giurisprudenza costituzionale, che ha, tra l'altro, sottolineato (Corte cost., ord. n. 226 del 2004) come, trattandosi di una misura amministrativa, l'espulsione debba essere assistita, in fase di applicazione, «dalle garanzie che accompagnano l'espulsione disciplinata dall'art. 13 d.lgs. n. 286 del 1998», sicché il magistrato di sorveglianza, prima di emettere il decreto di espulsione, può acquisire dagli organi di polizia «qualsiasi tipo di informazione necessaria o utile al fine di accertare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni che legittimano l'espulsione ... », così come il questore, nel disporre l'analoga misura di cui all'art. 13 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, può «evidentemente avvalersi di informazioni a tutto campo sullo straniero... ».
3. Il regime dell'espulsione amministrativa contempla, come sopra anticipato, una serie di limiti all'adozione della misura, previsti dall'art. 19, commi 1 e 2, d.lgs. 25 luglio 1998, n 286, e pacificamente applicabili anche all'espulsione quale misura alternativa alla detenzione.
Tra le situazioni che impediscono l'adozione del provvedimento espulsivo è compresa la convivenza con parenti entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalità italiana, cui in via interpretativa si equipara la convivenza more uxorio con un cittadino italiano, alla luce della parificazione del «contratto di convivenza» al matrimonio civile, operata dalla legge 20 maggio 2016, n. 76, e del convivente di fatto al coniuge, ai fini dell'esercizio delle facoltà previste dall'ordinamento penitenziario, operata dall'art. 1, comma 38, della citata legge (Sez. 1, n. 16385 del 15/03/2019, C., Rv. 276184; Sez. 1, n. 44182 del 27/06/2016, Z., Rv. 268038).
Più in generale, in materia di condizioni ostative all'espulsione, hanno a lungo convissuto, nella giurisprudenza di legittimità, due orientamenti parzialmente divergenti.
Quello più rigoroso e, in passato, prevalente, riteneva, valorizzando il tenore letterale delle norme di interesse, che «le cause ostative all'espulsione previste dal comma 9 del medesimo articolo, che fa rinvio ai casi di cui al successivo art. 19, hanno carattere eccezionale e non possono, pertanto, essere oggetto di applicazione analogica, con la conseguenza che, ai fini dell'applicazione della misura in questione, non rilevano legami familiari diversi da quelli espressamente contemplati dal comma 2, lett. c), del suddetto art. 19, quand'anche contemplati, a differenti fini, dagli artt. 5, comma 5, e 13, comma 2-bis, d.lgs. n. 286 del 1998» (Sez. 1, n. 10846 del 19/12/2019, dep. 2020, O., Rv. 278892; Sez. 1, n. 48684 del 29/09/2015, B., Rv. 265387).
Stando a questo indirizzo, dunque, gli unici legami rilevanti sarebbero quelli di convivenza con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana.
Altre pronunzie avevano, invece, stabilito che, ai fini dell'applicazione dell'espulsione dello straniero come misura alternativa alla detenzione, il giudice di sorveglianza non deve limitarsi a verificare che non sussista alcuna delle condizioni ostative previste dall'art. 19 del d.l1 s. 25 luglio 1998, n. 286, ma - acquisendo, ove occorra, informazioni - deve procedere, dandone conto in motivazione, ad un'attenta ponderazione della pericolosità concreta ed attuale dello straniero in rapporto alla sua complessiva situazione familiare, alla luce della natura e dell'effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno in Italia e dell'esistenza di legami familiari, culturali e sociali con il paese di origine (Sez. 1, n 45973 del 30/10/2019, R., Rv. 277454; Sez. 1, n. 48950 del 07/11/2019, M. Fernando, Rv. 277824).
4. Il dilemma ermeneutico testé sinteticamente evocato deve essere, nondimeno, riconsiderato alla luce della modifica normativa introdotta con il d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla Le 18 dicembre 2020, n. 173 («Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche aç1li artt. 131-bis, 391-bis, 391-ter 588 c.p., nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai. locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale»), che ha novellato il terzo periodo dell'art. 19, comma 1.1., d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, indicando, quale ulteriore causa ostativa all'espulsione, l'esistenza di fondati motivi che inducano a ritenere «che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica, nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea ed aggiungendo, al periodo successivo, che, «Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d'origine».
Così facendo, il legislatore - con disposizione senz'altro rilevante nella fattispecie, in forza sia del principio generale per cui le modifiche normative che incidono in bonam partem sull'applicazione della legge penale hanno effetto sui procedimenti in corso che dell'espressa previsione dell'art. 15, comma 1, del citato decreto legge - ha stabilito che,, nel valutare l'adozione del provvedimento di espulsione ex art. 16, comm21 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, l'autorità giudiziaria deve tener conto delle conseguenze che l'allontanamento del condannato dal territorio nazionale determinerebbe sulla sua vita privata e familiare e, dunque, riconosciuto la rilevanza, tra l'altro, di legami affettivi non inquadrabili nelle ipotesi tipizzate all'art. 19, comma 2, lett. e).
5. L'applicazione dei canoni ermeneutici testé enucleati induce a ritenere l'illegittimità, quantomeno sopravvenuta, del provvedimento impugnato.
Se infondata si palesa l'obiezione relativa alla carenza di permesso di soggiorno che, come correttamente indicato dal Tribunale di sorveglianza, deve imputarsi all'omissivo contegno di J. il quale ben avrebbe potuto attivarsi in tale direzione anche nel corso dell'esecuzione della pena, non altrimenti può dirsi in relazione alla residua censura.
In proposito, il ricorrente ha, invero, eccepito: di avere vissuto in Italia dall'età di cinque anni; di avere ivi frequentato la scuola; che la madre ed i fratelli vivono stabilmente in Italia; di non avere alcun rapporto con il paese natio, del quale non parla neanche l'idioma.
Al cospetto di tali deduzioni, il Tribunale di sorveglianza ha lapidariamente affermato che «il motivo allegato non vale ad integrare alcuno dei presupposti di divieto di espulsione codificati dall'art. 19 comma 2 T.U. Immigr. La clausola codificata dalla lett. C, invero, ha la finalità di salvaguardare l'unità familiare in favore di soggetti che abbiano un rapporto di convivenza però con soggetti, cittadini italiani, legati da vincoli di parentela o coniugio con l'interessato. Così però non è nel caso di specie».
Il tema introdotto da J., che il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto non decisivo, è tuttavia suscettibile, all'evidenza, di diverso inquadramento per effetto della mutata cornice normativa, che impone uno sforzo istruttorio ed argomentativo supplementare, da condursi nel rispetto dei canoni descritti dal legislatore.
Le circostanze dedotte appaiono, infatti, idonee, secondo uno dei citati indirizzi ermeneutici ed il testo novellato dell'art. 19 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, a precludere, almeno in potenza, l'adozione del provvedimento espulsivo, laddove - anche in assenza di relazione di convivenza con parenti in possesso della cittadinanza italiana - determinino un vulnus del diritto del ricorrente al rispetto della sfera familiare e sociale, da apprezzarsi alla stregua dei criteri delineati dalla recente novella.
6. Le precedenti considerazioni impongono, in conclusione, l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Ancona per un nuovo giudizio che, libero nell'esito, tenga conto del mutato quadro normativo e dei principi sopra affermati.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Ancona.