L'imputato chiede il riconoscimento della non menzione della condanna, ma la Corte territoriale omette di pronunciarsi sulla questione. Per la Cassazione la sentenza deve essere annullata.
La Corte d'Appello di Ancona confermava la sentenza di primo grado con la quale il Tribunale di Macerata aveva condannato l'imputato per aver reso, come parte in un giudizio civile, un giuramento non genuino.
Avverso tale decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i motivi di gravame, l'errata determinazione del trattamento...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Ancona confermava la pronuncia di primo grado del 13 settembre 2017 con la quale il Tribunale di Macerata aveva condannato A. T. in relazione al reato di cui all'art. 371 cod. pen., per avere, il 9 ottobre 2013, rendendo come parte in un giudizio civile un giuramento non genuino, dichiarato di aver pagato alla controparte, l'avv. M. M., la somma di euro 5.081 oltre iva, sulle somme imponibili di cui alla scrittura del 16 marzo 2006.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il T., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale, con molteplici punti (risultando saltata nella numerazione ordinaria il punto n. 2), ha dedotto i seguenti otto motivi, così sintetizzabili.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 546 e 125 cod. proc. pen., 111 Cost., 371 cod. pen., e vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento del motivo di appello, per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla doglianza relativa alla mancata esposizione dei fatti, in specie sulle caratteristiche della prestazione professionale, così determinando la nullità della sentenza; nonché per avere erroneamente confermato la pronuncia di condanna in assenza di elementi di prova della colpevolezza del T., per inesistenza del fatto oggetto della denuncia-querela del M. (avendo l'imputato provveduto ad effettuare il pagamento in contanti di quanto dovuto, senza avere in consegna una ricevuta; ed avendo poi ricevuto una nuova richiesta di pagamento dal liquidatore dello studio M. e associati) e per omessa pronuncia della credibilità delle deposizioni della persona offesa e della teste C..
2.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 546 cod. proc. pen., e vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento del motivo di appello, per avere la Corte distrettuale disatteso l'eccezione di nullità della sentenza per descrizione sommaria dei fatti di causa.
2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen., 371 cod. pen., e vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento del fatto e della prova, per avere la Corte di merito confermato la pronuncia di primo grado valorizzando esclusivamente (ed anche in maniera parziale) le dichiarazioni accusatorie della persona offesa, invero irreali e inattendibili, senza considerare le ragioni di interesse economico e di malanimo dalla stessa maturate verso l'imputato, e senza valutare la versione di quest'ultimo, che aveva inteso avvalersi della c.d. prescrizione presuntiva del debito e carico del quale non poteva essere posto alcun ulteriore onere probatorio; nonché valorizzando l'inattendibile deposizione della teste C. (parente della persone offesa e che, peraltro, aveva ammesso che la sua postazione nello studio non le aveva permesso di vedere l'incontro avvenuto nella stanza dell'avvocato), in una situazione nella quale era stato dimostrato il totale pagamento di quanto preteso dal M..
2.4. Violazione di legge, e vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento del motivo di appello e delle prove, per avere la Corte territoriale erroneamente confermato la sentenza di condanna in totale assenza degli elementi costitutivi oggetti e soggettivo del reato contestato.
2.5. Violazione di legge e vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento del motivo di impugnazione, per avere la Corte di appello omesso di rispondere alla doglianza relativa alla inattendibilità della deposizione della persona offesa e sui motivi di malanimo dalla stessa nutriti verso l'imputato.
2.6. Violazione di legge, in relazione all'art. 131-bis cod. pen., e vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento del fatto e degli atti, per avere la Corte ingiustificatamente rigettato la richiesta difensiva di riconoscimento della non punibilità per la particolare tenuità del fatto, in concreto caratterizzato dall'assenza di abitualità della condotta.
2.7. Violazione di legge, in relazione agli artt. 133 e 62-bis cod. pen., e vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento del fatto e degli atti, per avere la Corte di merito errato nella determinazione del trattamento sanzionatorio, omettendo di pronunciarsi sulla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche e degli altri benefici di legge, in specie della non menzione della condanna.
2.8. Violazione di legge e vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento del motivo di appello, per avere la Corte distrettuale omesso di pronunciarsi ovvero errato nella determinazione dei danni al cui risarcimento l'imputato era stato condannato.
Motivi della decisione
1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di A. T. vada accolto, sia pur nei limiti e con gli effetti di seguito precisati.
2. I pnm1 cinque motivi del ricorso non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché in parte manifestamente infondati e in parte presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Il ricorrente solo formalmente ha indicato come motivi della sua impugnazione - peraltro in maniera molto confusa e, spesso, con una mera elencazione di massime giurisprudenziali - una serie di vizi della motivazione della decisione gravata, non avendo prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell'argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né essendo stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.
Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello di Ancona aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite, senza proporre un reale 'travisamento delle prove', vale a dire una incompatibilità tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione: l'impugnazione è stata avanzata per sostenere, in pratica, una ipotesi di 'travisamento dei fatti' (peraltro, talora espressamente indicata come tale) oggetto di analisi, sollecitando un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale d'indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell'ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili lacune o vizi di contraddittorietà e di manifesta illogicità: avendo la Corte territoriale chiarito come la prova della colpevolezza del T. per avere, rendendo un giuramento decisorio in una causa civile che lo vedeva come parte, falsamente dichiarato, con piena consapevolezza del proprio mendacio, di aver effettuato il pagamento di quanto dovuto all'avv. M. (per l'attività professionale da questi in precedenza svolta in favore dell'imputato), fosse desumibile non solamente dalla poco credibile versione offerta dall'interessato, ma soprattutto dalle precise, coerenti e lineari, perciò attendibili, dichiarazioni del M., sul punto riscontrate dalla documentazione acquisita e dalla deposizione testimoniale di D. C., segretaria di quello studio professionale. D'altro canto, nella motivazione della sentenza di primo grado - che in presenza di una doppia conforme serve ad integrare l'apparato argomentativo della decisione di secondo grado - era stato spiegato che il T. non poteva beneficiare del riferimento alla disciplina civilistica della prescrizione presuntiva, dato che il pagamento della somma dovuta era stato differito nel tempo; che il prevenuto non aveva dimostrato di aver effettuato alcun prelevamento in banca che servisse a riscontrare l'asserito avvenuto pagamento in contanti della somma dovuta; e che la C. aveva ricordato che il T., recatosi presso lo studio legale, le aveva espressamente riferito "di essere passato... per quella posizione", ammettendo implicitamente la pendenza del rapporto debitorio.
In tale contesto, nel quale non è ravvisabile alcuna omessa risposta alle doglianze formulate con l'atto di appello ed è pure irrilevante che la causa civile fosse stata formalmente intentata dal liquidatore di quello studio professionale (a conferma che non vi era alcun interesse personale del M.), non è neppure riconoscibile alcuna violazione di legge.
Non quella prospettata con riferimento alle norme del codice di rito penale, perché è pacifico che la violazione degli artt. 192, 530 o 546 cod. proc. pen. non comporta ex se la operatività di alcune delle sanzioni processuali previste dall'art. 606, comma 1, lett. c) dello stesso codice di rito (così, tra le tante , Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; conf. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, B., Rv. 258153, per la quale è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censura l'erronea applicazione dell'art. 192 cod. proc. pen. quando è fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti dalla lett. e) dell'art. 606, comma 1, cod. proc. pen.).
E neppure è riconoscibile alcuna falsa applicazione o inosservanza della norma incriminatrice contestata, dato che le censure difensive, lungi dall'individuare una reale violazione di quella disposizione, risultano chiaramente finalizzate - come innanzi si è già illustrato - a sollecitare un'inammissibile rilettura delle emergenze processuali, avendo la Corte territoriale adeguatamente giustificato e logicamente approfondito le ragioni per le quali il prevenuto dovesse ritenersi responsabile del delitto ascrittogli.
3. Il sesto motivo del ricorso è manifestamente infondato ed in parte pure generico, in quanto il T. si è limitato a dolersi della motivazione della sentenza impugnata perché mancante di ogni riferimento alla abitualità della condotta, nella fattispecie assente: laddove la Corte di appello non aveva affatto valorizzato tale requisito come elemento ostativo all'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen., impegnandosi, invece, a puntualizzare - con considerazioni con le quali il ricorrente ha finito per non confrontarsi - che le modalità della condotta, l'intensità del dolo manifestato e l'oggettiva entità del danno cagionato alla vittima erano, in ogni caso, dati fattuali idonei ad escludere che il reato commesso fosse di scarsa ovvero di ridotta entità offensiva.
4. Anche il settimo motivo è, nella parte relativa alla prospettata violazione degli artt. 133 e 62-bis cod. pen., del tutto privo di pregio.
Il ricorrente ha preteso che, in questa sede di legittimità, si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali i giudici di merito avevano esercitato il potere discrezionale loro concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche e della determinazione della pena finale da infliggere all'imputato. Esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'esistenza dei presupposti di applicazione delle relative norme di riferimento.
Nella specie del tutto legittimamente la Corte di appello ha ritenuto di negare al T. le attenuanti generiche e una riduzione della pena irrogata dal giudice di primo grado, avendo - con motivazione sintetica, ma sufficientemente congrua - richiamato le ragioni della gravità della condotta accertata e del danno provocato, in uno con la genericità delle argomentazioni difensive, per giunta erroneamente riferite a tutt'altra fattispecie incriminatrice e, dunque, verosimilmente collegabili ad una differente vicenda giudiziaria.
5. L'ottavo e ultimo motivo del ricorso è inammissibile per genericità del suo contenuto e, comunque, per manifesta infondatezza, essendosi l'imputato doluto della mancata indicazione delle ragioni giustificatrici della quantificazione del danno che egli era stato condannato a risarcire in favore della costituita parte civile. Laddove, a fronte di un danno patrimoniale palesemente riferibile all'entità della somma dovuta e non pagata, la determinazione, da parte dei giudici di merito, del danno da risarcire in misura leggermente superiore - evidentemente riferibile anche al pregiudizio non patrimoniale, liquidato in termini equitativi - non viola alcun criterio di correttezza motivazionale, né alcuna specifica disposizione di legge: la decisione gravata è, infatti, coerente all'insegnamento di questa Corte di cassazione che ha sottolineato come, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, la valutazione del giudice, affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, sia censurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio della motivazione solo se essa difetti totalmente di giustificazione o si discosti macroscopicamente dai dati di comune esperienza o sia radicalmente contraddittoria (così, tra le altre, Sez. 5, n. 7993 del 09/12/2020, dep. 2021, P., Rv. 280495).
6. Il suddetto settimo motivo è, invece, fondato nella parte in cui la difesa si è doluta della mancata risposta al motivo dell'atto di appello con cui era stato espressamente sollecitato il riconoscimento del beneficio della non menzione della condotta nel certificato del casellario giudiziale. Ed infatti, nella motivazione della sentenza gravata difetta ogni riferimento a tale specifica richiesta difensiva. La sentenza impugnata va, dunque, annullata limitatamente alla omessa valutazione della doglianza concernente la richiesta del beneficio della non menzione, con rinvio alla Corte di appello di Perugia che, nel nuovo giudizio, porrà rimedio all'indicata lacuna motivazionale.
7. L'imputato va condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile M. M., che, in ragione dell'attività svolta, si liquidano come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al giudizio relativo alla concessione del beneficio della non menzione e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto e irrevocabile il giudizio di responsabilità penale.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile M. M., che liquida in complessivi euro duemilaseicentoquarantacinque, oltre accessori di legge.