Con la sentenza depositata oggi, la Cassazione ribadisce i principi che chiariscono l'ambito di applicazione del reato di minaccia condizionata ex art. 612 c.p..
In un giudizio vertente la contestazione del reato di minacce in capo all'imputato, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 37438 del 14 ottobre 2021, accoglie il ricorso presentato dalla parte civile e ribadisce la ricorrente punibilità della fattispecie di minaccia condizionata ad eccezione del caso in cui le espressioni intimidatrici siano finalizzate a descrivere la...
Svolgimento del processo
1. M. C., parte civile nel procedimento a carico di G. G., ricorre contro la sentenza del Tribunale monocratico di Lecce che ha confermato la sentenza del Giudice di Pace della medesima città, assolvendo l'imputato dal reato di minacce.
2. Quest'ultimo si era rivolto alla ricorrente, che dagli atti si evince essere stata maestra in un asilo o in una scuola elementare frequentati dalla figlia dell'imputato, con l'espressione in dialetto "iou ti canoscu bona, se tocchi gli agnuni ti ciu, si morta" che corrisponde alla frase italiana "io ti conosco bene, se tocchi i bambinic{i uccido, sei morta".
3. Il Tribunale ha ritenuto che tale espressione non integrasse il contestato reato di minaccia, non avendo capacità intrinsecamente intimidatoria, ma rappresentando un invito, sebbene espresso in modo grossolano ed aggressivo, a non maltrattare i bambini a lei affidati, tra i quali la figlia dell'imputato, e dipendendo l'avveramento del male prospettato da una condotta ascrivibile unicamente alla parte lesa.
4. In altri termini, l'imputato non avrebbe inteso minacciare un male ingiusto alla parte lesa, realizzabile esclusivamente sulla base della volontà del primo, ma le avrebbe prospettato un male ingiusto solo in risposta ad un comportamento eventualmente tenuto dalla parte lesa, integrante a sua volta un illecito.
5. Se la parte lesa si fosse astenuta da tale comportamento, di per sé illecito, non sarebbe incorsa in alcuno dei mali prospettati dall'imputato.
6. Ricorre contro l'assoluzione la parte civile deducendo erronea applicazione dell'art. 612 c.p. ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p.
7. Evidenzia che elemento essenziale della minaccia è la limitazione della libertà psichica della parte lesa mediante la prospettazione del pericolo, essendo irrilevante che la stessa sia espressa in forma condizionata.
8. Anche se la minaccia avesse la funzione di prevenire un'azione illecita, la stessa sarebbe comunque integrata se la reazione prospettata consista in un atto chiaramente illegittimo, quale la privazione della vita.
9. Il sostituto pg T. E. ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto di accogliere il ricorso e, dichiarata la prescrizione del reato, rimettere gli atti al giudice civile competente per materia in grado di appello, ai soli effetti civili.
10. Il difensore dell'imputato ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso della parte civile è fondato.
1.1. Peraltro, come eccepito dal difensore dell'imputato in memoria, l'accoglimento del ricorso non comporta la declaratoria di prescrizione del reato, e solo in questo senso va disattesa la richiesta della Procura Generale.
1.2. L'impugnazione della parte civile (la sola impugnazione proposta contro la sentenza in questione) è, infatti, evidentemente, ai soli fini civili, come del resto il ricorso chiarisce in apertura ,evidenziando che tutte le impugnazioni proposte anche nei gradi precedenti dalla parte civile erano unicamente ai fini civili.
1.3. Questo, se da un lato comporta che, in effetti, non debba essere emessa una sentenza ai fini penali sulla eventuale estinzione del reato, dall'altro rende l'impugnazione del tutto ammissibile, sia perché, come detto, essa, pur essendo incentrata sulla sussistenza del reato, è però chiaramente proposta "ai soli effetti civili", sia perché, alla luce di ciò, non si tratta di ipotesi di "reformatio in pejus", come prospettato dal difensore dell'imputato.
1.4. Il precedente citato dal difensore dell'imputato in ricorso (sez. 4, n. 48781 del 23/9/2016) è solo in parte pertinente con la presente vicenda, perché diversa è la situazione processuale, in quanto in quel caso l'imputato era stato assolto in primo grado ed in appello era stata dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione (mentre nella presente vicenda è stato assolto sia in primo che in secondo grado), e comunque, se si vuole, conforme nelle conclusioni a quanto si statuisce nella presente decisione, dove, come detto, non si concorda con la richiesta del P.G. di dichiarare l'estinzione del reato, ma la pronuncia ha effetto unicamente ai fini civili.
1.5. In merito alla forma del ricorso, questa Corte ha affermato che l'impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni, è ammissibile anche quando non contenga l'espressa indicazione che l'atto è proposto ai soli effetti civili (Sez. U., n. 6509 del 20-12-2012, C., Rv. 254130; sez. 4, n. 29154 del 25/6/2018, Rv. 272976-01).
1.6. Inoltre, va sottolineato che, nel caso di specie, era stata sempre la parte civile ad appellare la sentenza di primo grado, e sez. 3, n. 16492 del 27/11/2020, dep. 2021, ha affermato che la parte civile è legittimata a ricorrere in cassazione contro la sentenza di appello di assoluzione anche se non aveva proposto l'appello stesso contro la sentenza di assoluzione di primo grado, purché la costituzione di parte civile non sia stata revocata; a maggior ragione deve, quindi, ritenersi che sia legittimata a ricorrere quando essa stessa aveva impugnato in appello la sentenza di primo grado.
1.7. D'altra parte, nel caso di specie, più ancora che all'art 578 c.p.p., citato dal difensore dell'imputato in memoria, è all'art. 576 c.p.p. che occorre fare riferimento, secondo cui, ai soli fini della responsabilità civile, la parte civile può proporre ricorso contro la sentenza di proscioglimento, ed all'art. 622 c.p.p. che regola espressamente l'accoglimento del ricorso della parte civile contro il proscioglimento dell'imputato, fermi restando gli effetti penali della sentenza.
1.8. Nella presente vicenda processuale, posto che il fatto storico certamente sussiste, vi è l'interesse della parte civile ad impugnare - sempre ai soli fini civili - il proscioglimento, perché dall'eventuale accoglimento discendono conseguenze sul piano civile.
1.9. L'impugnazione, quindi, non è inammissibile, riguardando solo gli effetti civili ed essendo tale ipotesi prevista e regolata dalla legge.
1.10. Del resto, la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 176 del 2019, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 576 c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione.
2. Nel merito, come detto, il ricorso è fondato.
3. Per quanto rileva ai fini di un'analisi del fatto ai sensi dell'art. 2043 c. c., anche alla luce dei principi espressi di recente da Corte Cost. n. 182 del 30 luglio 2021 - seppure relativa a fattispecie diversa da quella che si configura nel presente caso -, si possono ravvisare gli estremi dell'illecito civile.
2.1. Al riguardo, va osservato che il male prospettato alla parte lesa nella specie riguardava la privazione di un bene primario, la vita ("sei morta"), in un contesto che certamente non lasciava intendere in alcun modo intenti scherzosi, fantasiosi o irrealizzabili, e ciò rileva ai fini dell'idoneità a cagionare effetti intimidatori.
4. Non vi è dubbio, infatti, che la minaccia della vita, in particolare quando posta in essere con modalità aggressive come emerge nel caso di specie e, come detto, al di fuori di qualunque contesto che la faccia apparire un'espressione inoffensiva, sia del tutto idonea a ledere un bene primario della vittima, ingenerando in essa timore, con lesione di un diritto individuale, in particolare un diritto della personalità, e creando quindi un danno ingiusto in violazione del generale principio civilistico del "neminem leadere".
5. Esso si pone, infatti, come atto "non iure" e "contra ius", non trovando giustificazione in alcuna norma, ma ponendosi, anzi, in diretto contrasto con i principi di tutela della persona.
6. L'unico aspetto che viene addotto nella specie per contrastare il giudizio di antigiuridicità della condotta è il fatto che la minaccia in questione fosse condizionata ed avesse carattere preventivo, per impedire un eventuale previo atto a sua volta illecito da parte della vittima.
6.1. Al riguardo, il principio elaborato in sede penalistica (sez. 5, n. 14054 del 7/2/2014), ma che appare applicabile anche ai fini della valutazione sulla sussistenza dell'illecito civile, in particolare, afferma: "la minaccia condizionata è sempre punibile, tranne che con essa l'autore intenda non già restringere la libertà psichica del minacciato, bensì prevenire un'azione illecita dello stesso, rappresentandogli tempestivamente quale reazione legittima il suo comportamento determinerebbe (Sez. 5, n. 3186 del 4 marzo 1997, PM in proc. G., Rv. 207811)". Principio questo non contraddetto dal precedente citato dal ricorrente, che anzi a sua volta l'ha ribadito avendo affermato, per l'appunto, che «non integrano il delitto di minaccia le locuzioni intimidatrici espresse in forma condizionata quando siano dirette, non già a restringere la libertà psichica del soggetto passivo, ma a prevenirne un'azione illecita o inopportuna e siano rappresentative della reazione legittima determinata dall'eventuale realizzazione di dette azioni» (Sez. 5, n. 29390 del 4 maggio 2007, M., Rv. 237436)".
6.2. Di conseguenza, o emerge che la minaccia aveva effettivamente una funzione anticipatoria perché legata a fatti concreti che permettono di attribuirle funzione preventiva di un illecito, oppure non può neppure più considerarsi una minaccia condizionata, ma si trasforma in una minaccia pura e semplice, e quindi in un illecito di rilievo anche sul piano civilistico.
6.3. Per di più, come già rilevato in precedenza - e questo dettaglio non è affatto trascurabile - la minaccia in questione ha riguardato la vita, e quindi certamente un bene primario.
7. La sentenza impugnata non si è attenuta a questi principi, essendosi limitata a negare l'efficacia intimidatoria della frase, avendola interpretata come un invito alla parte lesa a non commettere atti illeciti, facendo, inoltre, dipendere la insussistenza dell'illecito dalla volontà di quest'ultima, alla quale sarebbe bastato astenersi dalla commissione degli stessi.
7.1. In tal modo, però, non ha colto l'antigiuridicità della condotta, avendo, in primo luogo, svalutato il fatto che la frase minacciosa riguardasse la vita della persona offesa, e non avendo esplorato la eventuale ricorrenza della minaccia condizionata, sulla base dei fatti concreti.
8. Il provvedimento censurato deve, pertanto, essere annullato, sempre ai fini civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per una nuova analisi della vicenda, alla luce dei principi di cui a Sez. un., n. 22065 del 28/1/2021, C., Rv. 281228-02.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.