L'imputato suggeriva agli indagati di mentire all'A.G. per eludere le investigazioni. Per la Cassazione, tale condotta non integra la fattispecie di favoreggiamento in quanto fornire dichiarazioni false rientra nella facoltà di mentire degli stessi indagati.
La Corte territoriale di Trieste confermava la sentenza di primo grado con cui l'imputato era stato ritenuto responsabile del reato di favoreggiamento aggravato per aver aiutato degli indagati per ricettazione di timbri ad eludere le investigazioni dell'Autorità suggerendogli di fornire dichiarazioni false.
Avverso tale sentenza il reo propone ricorso per...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trieste, a seguito di gravame interposto dall'imputato M. P., ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Udine in data 19/2/2019 con al quale il predetto imputato è stato riconosciuto responsabile del reato di favoreggiamento aggravato ai sensi dell'art. 61 n.9 cod. pen. e condannato a pena di giustizia perché quale pubblico ufficiale, dirigente veterinario dell' ASS. n.4,dopo che furono commessi il reato di ricettazione di timbri a fuoco falsi da parte di M. S.,M. L. e M. A., aiutava gli stessi ad eludere le investigazioni dell'Autorità, attraverso incontri con M. S. e M. L., suggerendo loro di fornire false dichiarazioni alla A.G. sulla detenzione dei timbri, chiedendo loro del magistrato che seguiva le indagini per influenzarne le decisioni, chiedendo informazioni sulle indagini, esaminandone la documentazione e redigendo scritti per memorie difensive, riferendo di aver conoscenze presso ,gli organi inquirenti (personale della Guardia di Finanza) e che si sarebbe recato presso gli uffici della Procura per acquisire notizie sulla istanza di dissequestro dello stabilimento della M. S. S.r.l., secondo quanto emerso nelle captazioni indicate in imputazione, nell'ambito delle quali i Giudici di merito valorizzavano anche il disvelamento ai M. da parte dell'imputato delle operazioni di intercettazione in corso. In (omissis) tra il 7 e 24 maggio 2013.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato che, a mezzo del difensore, deduce:
2.1. Con il primo motivo, nullità della sentenza di primo grado e mancanza della motivazione della sentenza di appello in ordine all'eccepita mancanza di correlazione tra accusa e sentenza ai sensi dell'art. 522 cod. proc. pen., essendosi proceduto alla condanna del ricorrente in relazione ad una condotta - quella del disvelamento delle intercettazioni in corso - non ricompresa nella imputazione mossa né oggetto di contestazione suppletiva. Non risulta sufficiente la doppia conforme decisione in relazione al mero riferimento fatto dalla prima sentenza al contenuto delle captazioni indicate in imputazione, non essendosi considerata la deduzione difensiva di merito circa la travisante interpretazione del contenuto della captazione n. 407 del 7/5/2013,che ha fondato la condanna, in assenza della emersione della ritenuta condotta nell'ambito della istruttoria dibattimentale, che risulta in sostanza l'unica condotta ritenuta di penale rilevanza. dell'imputato con riferimento al contenuto della captazione n. 407 del 7/5/2013 che risulta esprimere solo una frase ipotetica, inidonea a cagionare ostacoli alla indagine e, comunque, riconducibile a consigli dati dal difensore (v. prog. 822 allegato al ricorso).
2.3. Con il terzo motivo, inosservanza o erronea applicazione dell'art. 378 cod. pen., trattandosi di condotte del tutto compatibili con quelle del difensore, potendosi al più contestare al ricorrente di aver esercitato abusivamente la professione di avvocato, non involgendo la comunicazione a contenuto non informativo alcun profilo di rilevanza penale, avendo - invece - la Corte erroneamente dato rilievo alla istigazione al compimento di un fatto lecito, quale è quello del diritto a mentire da parte dei M., indagati per la ricettazione dei timbri. Quanto al preteso disvelamento delle intercettazioni in corso il ricorrente non risulta aver mai saputo della loro attivazione. Quanto, poi, al contestato ridimensionamento del ruolo dei M., la relativa condotta non solo non ha prodotto alcun ostacolo alle investigazioni (v. deposizione teste G.) ma è stata posta in essere da soggetto che non rivestiva la qualifica di ausiliario di p.g., precedente al sequestro dei timbri - e quindi al di fuori del perimetro temporale segnato dalla imputazione - ed alla stessa commissione del reato presupposto.
2.4. Con il quarto motivo, inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 61 n. 9 cod. pen. in quanto entrambe le sentenze di merito si limitano a riconnettere la sussistenza della aggravante al mero possesso della qualità da parte del ricorrente, senza che lo stesso di essa ne abbia fatto un uso distorto.
2.5. Con il quinto motivo, erronea applicazione degli artt. 132 e 133 cod. pen. essendo assente la motivazione sulla dosimetria della pena, notevolmente discostata dal minimo edittale, oggetto di specifico motivo di appello.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
2. Il primo e secondo motivo sono fondati.
La condotta disvelatoria delle captazioni oggetto delle censure del ricorrente non risulta contestata in fatto tra le condotte analiticamente indicate nella imputazione, ancorchè posta a fondamento della condanna dopo essere rinvenuta dal primo giudice con riferimento alla captazione n. 407 ed avendo ritenuto che il riferimento della imputazione a detta captazione costituisse specifica contestazione in ragione della indicazione degli estremi della captazione (v. pg.9 della prima sentenza). Alla specifica censura in appello circa la violazione della correlazione tra accusa e sentenza la sentenza di appello è del tutto silente, come pure è silente in relazione alla censura in fatto sulla interpretazione della captazione in questione che ha dato luogo alla accusa, assumendosi, anzi, che nessuna contestazione è dedotta in relazione alla obiettività delle condotte (v. pg.4 della sentenza).
In tal modo il Giudice di appello è incorso in una duplice violazione del diritto della difesa che si era vista addebitare, in base ad una interpretazione di una conversazione, una ulteriore condotta criminosa con una sua specifica valenza - che a monte avrebbe dovuto far ipotizzare una violazione del segreto di ufficio da parte di soggetti terzi, mai adombrato dall'accusa.
Pertanto, deve essere rilevata la conseguente nullità della sentenza sullo specifico punto in tema di responsabilità.
3. Anche il terzo motivo è fondato.
Quanto alla attività "difensiva" realizzata dal ricorrente in favore dei M. la Corte ha rigettato la prospettazione difensiva che faceva leva sulla istigazione lecita ad un autofavoreggiamento dei M., attribuendo senz'altro al ricorrente l'aiuto prestato a questi ultimi a " "creare/inventare" delle giustificazioni...così aiutando gli indagati a eludere le investigazioni dell'Autorità". Quanto al disvelamento dell’attività captativa la Corte rigetta la deduzione difensiva escludendo che la mancata conoscenza delle date e dei contenuti dei decreti da parte del ricorrente potesse elidere l'aiuto dato con la "soffiata" fatta ai M. sulla segreta attività tecnica. Infine, quanto all'operato ridimensionamento da parte del ricorrente della posizione dei M. presso gli inquirenti, la Corte rigetta la rilevanza dell'argomento difensivo ai fini della consumazione del reato.
Le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata non possono essere condivise tenendo conto dei principi di diritto costantemente affermati da questa Corte in materia di favoreggiamento, non avendo il Giudice di merito neanche fatto buon governo dei pur enunciati principi di diritto sul profilo oggettivo e soggettivo del reato de qua.
In particolare, è stato affermato che non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo ritualmente preso visione di atti processuali dai quali emergano gravi indizi di colpevolezza a carico del proprio assistito, lo informi della possibilità che nei suoi confronti possa essere applicata una misura cautelare (nella specie effettivamente disposta e non eseguita per la latitanza dell'indagato), atteso che la legittima acquisizione di notizie che possono interessare la posizione processuale dell'assistito ne rende legittima la rivelazione a quest'ultimo in virtù del rapporto di fiducia che intercorre tra professionista e cliente e che attiene al fisiologico esercizio del diritto di difesa; qualora, invece, l'acquisizione di notizie avvenga in maniera illegale - come nel caso di concorso nel delitto di rivelazione o di utilizzazione di segreti d'ufficio o nella fraudolenta presa visione o estrazione cli copie di atti che devono rimanere segreti - si verifica una sorta di "solidarietà anomala" con l'imputato in virtù della quale l'aiuto del difensore è strumentale non già alla corretta, scrupolosa e lecita difesa ma alla elusione o deviazione delle investigazioni e, quindi, al turbamento della funzione giudiziaria rilevante ai sensi dell'art. 378 cod. pen.(Sez. 6, n. 7913 del 29/03/2000, F., Rv. 217188); ancora, non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo fortuitamente acquisito la notizia dell'emissione nei confronti del proprio assistito di una misura cautelare, lo informi, consentendo così la sua latitanza, atteso che non esorbita dalla funzione del difensore partecipare al proprio assistito quanto possa aiutarlo a mantenere la propria libertà personale (Sez. 6,n. 20813 del 18/05/2010, V.,Rv. 247349);infine, l'imputato è libero di mentire a fine difensivo e il giudice non è tenuto a prestare fede incondizionata alle sue dichiarazioni ma ad indagare, indipendentemente da esse, per accertare la verità. Pertanto non integra gli estremi del reato di favoreggiamento personale il suggerimento dato all'imputato di rendere dichiarazioni mendaci al magistrato, mancando la idoneità a fuorviare l’attività Giudiziaria.
Pertanto, esula dalla condotta di favoreggiamento l'attività di consulenza fornita dal ricorrente agli indagati sulla base della conoscenza lecita degli atti redatti a loro carico e, specificamente, il sugqerimento dato agli stessi in ordine alle dichiarazioni da fare alla A.G. rientrando nella facoltà degli stessi indagati quella di mentire. Deve, inoltre, essere censurata, la motivazione resa dalla Corte sulla conoscenza da parte del ricorrente dell'effettiva attività captativa, non risultando pertinente il riferimento alla conoscenza dei relativi provvedimenti, in assenza di qualsiasi elemento che fondi la conoscenza illecita dell’attività captativa, al di là della mera supposizione.
Quanto al ridimensionamento dell'attività dei M. - oggetto di specifica ascrizione da parte del primo Giudice (v. pg. 9 della prima sentenza) - la sentenza non risponde alla deduzione difensiva sulla inidoneità delle indicazioni date dal ricorrente nel corso del colloquio informale con la polizia giudiziaria, nell'ambito del quale - al di là della generica affermazione che delineava un più grave contesto attribuibile ad altri - non è delineato alcun effettivo depistaggio dal giudice di merito.
Deve, infine, essere rilevato che non concorre a dare sostanza criminosa alle condotte materiali individuate dall'accusa la veste pubblica rivestita dal ricorrente - della quale, peraltro, non è dato riscontrare l'abuso non essendosi data ragione, nonostante la deduzione difensiva, da parte del giudice di merito dello specifico esercizio funzionale - non potendo, ovviamente, il dato circostanziale sostituirsi alla condotta principale, nella specie insussistente sul piano penale.
4. Il quarto motivo e quinto motivo sono assorbiti dall'accoglimento dei precedenti motivi.
5. In conclusione, in ragione dei radicali vizi riscontrati in ordine alla affermazione di responsabilità la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. Così deciso il 14/9/2021.