Con la sentenza in esame, la Cassazione riflette sulla portata dell'art. 140 c.d.s., affermando che non si tratta di una norma a diretto contenuto cautelare in quanto prescrive un generico obbligo di adottare comportamenti cautelari la cui specifica definizione è rimandata ad altre disposizioni e all'esperienza.
La Corte d'Appello di Roma confermava la decisione con la quale il Tribunale aveva ritenuto l'imputato responsabile del reato di cui all'
Sulla base degli accertamenti svolti in sede di merito, la vicenda può essere così riassunta: l'imputato si trovava alla guida di un autobus urbano...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Roma nei confronti di M. D., ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 589 cod. pen., e condannato alla pena ritenuta equa.
Secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito il M. D., alla guida di un autobus urbano nel perimetro della città di Roma, partendo da una condizione di sosta all'impianto semaforico che presidiava l'incrocio, avendo avuto la segnalazione di luce di luce verde eseguiva una manovra di svolta a destra per immettersi in via (omissis). Nel compiere tale manovra il M. D. non si accorgeva della presenza del pedone L. M. che stava attraversando la carreggiata di via (omissis) sulle strisce pedonali o in zona molto prossima alle stesse e la investiva con la parte anteriore destra del veicolo. A causa delle lesioni patite nella collisione e in quel che ne seguiva la L. M. veniva a morte.
La Corte di Appello ha rilevato che l'imputato aveva effettuato la manovra di svolta rispettando la segnaletica stradale e ad una velocità che, per quanto non determinata con certezza, rientrava certamente nei limiti stabiliti nello specifico tratto stradale e che, più in generale, doveva ritenersi adeguata. Risultava altresì pacifico che il M. D. si era avveduto della presenza del pedone solo dopo l'investimento. Tema controverso nel. processo era invece quello della impossibilità o della notevole difficoltà per l'imputato di scorgere il pedone prima e durante la manovra di svolta, stante la presenza di un tubolare di acciaio che fungeva da montante per la paratia che separava l'autista dai passeggeri e che frapponendosi tra questi ed il pedone avrebbe, secondo la prospettazione difensiva, impedito al M. D. la vista della L. M..
Al riguardo, la Corte di Appello ha rilevato che il Tribunale aveva escluso la fondatezza di tale prospettazione, perché il pedone non era rimasto fermo nella medesima posizione durante la manovra del M. D.; essa era variata, in quanto la donna aveva camminato dal marciapiede verso la parte opposta della carreggiata e la stessa visuale dell'autista era cambiata continuamente man mano che si svolgeva la manovra, che aveva richiesto la percorrenza di circa 15 metri e pertanto un lasso di tempo durante il quale non era ipotizzabile che il pedone fosse rimasto sempre nascosto dal montante.
Siffatta ricostruzione è stata ritenuta fondata dalla Corte di appello; la quale ha aggiunto che se anche l'imputato si fosse trovato in una situazione momentanea di mancanza di visibilità del pedone, ciò avrebbe determinato un ulteriore profilo di colpa, perché egli avrebbe dovuto osservare la previsione dell'articolo 141 del Codice della strada e quindi, considerata la presenza di un pedone in attraversamento sulle strisce pedonali avendo avuto il segnale verde, il M. D. avrebbe dovuto ridurre la velocità o addirittura fermassi non avendo piena visibilità del pedone.
2. Il M. D. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza a mezzo del difensore di fiducia avv. G. M. articolando un primo motivo, con il quale ha lamentato il vizio della motivazione. Infatti, ad avviso dell'esponente, la sentenza è illogica e contraddittoria laddove afferma che, essendo variata nel corso della manovra di svolta sia la posizione del pedone che quello dello stesso mezzo condotto dall'imputato, non sarebbe ipotizzabile che il pedone sia rimasto costantemente al di fuori del campo visivo dell'autista. Tenuto conto che nell'eseguire la manovra di svolta il M. D. aveva percorso un tratto rettilineo e un ulteriore tratto in curva, e quindi tenuto conto della necessità di volgere lo sguardo verso il percorso stradale che si accingeva ad attraversare, l'unico momento in cui l'imputato avrebbe potuto avvistare il pedone sarebbe stato quello in cui si accingeva ad effettuare la manovra di svolta e quindi durante la percorrenza della curva, perché in tale frangente lo sguardo del conducente era necessariamente rivolto verso la parte laterale del parabrezza. Ora, se si considera che il giudice di primo grado aveva determinato in 5,5 secondi il tempo necessario a percorrere i 15 metri, risulta evidente che la percorrenza del solo tratto curvilineo era avvenuto in un tempo che si può stimare di circa 2,5 secondi. Pertanto, ha concluso l'esponente, è verosimile che il pedone possa essersi mosso solo di poche decine di metri in questo arco temporale e così non rendersi visibile dalla cabina di guida dell'autista.
Dagli atti processuali è emerso che il pedone al momento dell'urto si trovava in corrispondenza del punto angolare destro del parabrezza, cioè il punto in cui la visuale dell'autista risulta ostruita dalla presenza di un montante metallico.
Pertanto, l'omessa considerazione di tale profilo si risolve in un palese vizio di motivazione.
2.2. Con un secondo motivo viene dedotta la violazione degli articoli 140, 141 e 191 del Codice della strada, in relazione all'articolo 589 cod. pen.
Premesso che l'articolo 140 non impone specifici obblighi a carico dei conducenti di autoveicoli, la precisa individuazione dei singoli comportamenti cautelari è rimessa ad altre specifiche disposizioni del codice. Dalla sentenza della Corte di appello non si comprende in che cosa sia consistita la violazione da parte del M. D. dell'articolo 140. Con riguardo all'articolo 191, l'esponente rileva che non si può ascrivere al M. D. di non aver rallentato e di non essersi fermato per dare precedenza al pedone perché egli non ne aveva percepito la presenza in ragione del tubolare del quale si è parlato. Quanto all'articolo 141, la stessa Corte di Appello ha affermato che la velocità mantenuta dal M. D. era, in linea generale adeguata sì che non gli si può ascrivere la violazione della citata previsione. Secondo il ragionamento svolto la Corte d'appello la presenza del pedone in prossimità delle strisce pedonali deve considerarsi comunque una circostanza prevedibile che avrebbe dovuto indurre l'imputato ad adottare una condotta ancora più prudente riducendo ulteriormente la velocità o addirittura arrestando la marcia dell'autobus. Per contro, la norma conduce ad escludere l'affermazione di responsabilità quando il conducente abbia avuto l'ostacolo al di fuori del proprio campo di visibilità.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è infondato.
3.1. Con riferimento al primo motivo è necessario rammentare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata, oppure dall'aver assunto dati inconciliabili con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. N., Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, C. ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. M. ed altri, Rv. 234989).
Pertanto, il ricorso per cassazione è ammesso per vizi della motivazione riconducibili solo, e tassativamente, alla motivazione totalmente mancante o apparente, manifestamente illogica o contraddittoria intrinsecamente o rispetto ad atti processuali specificamente indicati, nei casi in cui il giudice abbia affermato esistente una prova in realtà mancante o, specularmente, ignorato una prova esistente, nell'uno e nell'altro caso quando tali prove siano in sé determinanti per condurre a decisione diversa da quella adottata. Il giudice di legittimità non può conoscere del contenuto degli atti processuali per verificarne l'adeguatezza dell'apprezzamento probatorio, perché ciò è estraneo alla sua cognizione: sono pertanto irrilevanti, perché non possono essere oggetto di alcuna valutazione, tutte le deduzioni che introducano direttamente nel ricorso parti di contenuto probatorio, tanto più se articolate, in concreto ponendo direttamente la Corte di cassazione in contatto con i temi probatori e il materiale loro pertinente al fine di ottenerne un apprezzamento diverso da quello dei giudici del merito e conforme a quello invece prospettato dalla parte ricorrente (in tal senso anche Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015 - dep. 24/03/2015, M., Rv. 262948).
Nel caso di specie si è in presenza giustappunto di una dettagliata rappresentazione di una ricostruzione alternativa delle circostanze immediatamente precedenti al sinistro, proposta evocando il vizio della motivazione, nonostante non si riesca a segnalare una manifesta illogicità della stessa, ovvero una frattura logica rilevabile senza una diversa valutazione dei materiali probatori.
L'assunto che viene contestato è essenzialmente quello di una variabilità delle condizioni di visibilità di L. M. da parte del M. D., che i giudici hanno dedotto dal movimento certamente eseguito dal mezzo pesante e dall'altrettanto certo spostamento operato dal pedone. La contestazione viene fatta introducendo una serie di inferenze meramente alternative a quelle operate dai giudici di merito.
Ne consegue che si è in presenza di motivo infondato.
3.2. Anche il secondo motivo è infondato.
L'art. 140 C.d.S. recita: "1. Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale.
2. I singoli comportamenti, oltre quanto già previsto nei precedenti titoli, sono fissati dalle norme che seguono".
Si tratta di una disposizione che han ha diretto contenuto cautelare; essa non descrive quale modalità comportamentale deve essere adottata per far fronte ai rischi per la sicurezza degli utenti della strada. Si è quindi in presenza di una disposizione che pone un generico obbligo di adozione di comportamenti cautelari, la cui definizione è lasciata alle altre norme del codice e al sapere esperenziale.
Pertanto, la sua evocazione non ha diretta incidenza sul giudizio di responsabilità, posto che non potrà essere ritenuto taluno responsabile di aver violato l'art. 140 C.d.S. senza che sia stato individuato lo specifico precetto cautelare violato (e tanto vale anche per l'ipotesi di colpa generica).
Alla luce di tale precisazione non è la menzionata disposizione che fonda il giudizio di responsabilità bensì la violazione degli artt. 141 e 191 C.d.S.
La prima disposizione, per quel che qui rileva, impone al conducente di regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione. Gli fa anche obbligo di tenere una condotta di guida che gli assicuri di conservare sempre il controllo del proprio veicolo e di essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile. La disposizione prevede esplicitamente l'obbligo di regolare la velocità nei tratti di strada a visibilità limitata, nelle curve, in prossimità delle intersezioni e delle scuole o di altri luoghi frequentati da fanciulli indicati dagli appositi segnali, nelle forti discese, nei passaggi stretti o ingombrati, nelle ore notturne, nei casi di insufficiente visibilità per condizioni atmosferiche o per altre cause, nell'attraversamento degli abitati o dal canto suo l'art. 191, specificamente dedicato al comportamento da tenere in presenza di pedoni, tra l'altro stabilisce che i conducenti devono dare la precedenza, rallentando e all'occorrenza fermandosi, ai pedoni che si accingono ad attraversare sugli attraversamenti pedonali. Obbligo che sussiste anche per i conducenti che svoltano per inoltrarsi in un'altra strada al cui ingresso si trova un attraversamento pedonale, quando ai pedoni non sia vietato il passaggio.
Orbene, rispetto al richiamo di tali obblighi operato dai giudici di merito, il ricorrente formula il rilievo critico sopra riportato a partire da un presupposto fattuale diverso da quello assunto dalle sentenze. Le quali, muovendo dalla premessa che il M. D. aveva avuto modo di accorgersi della presenza del pedone, hanno sostenuto in modo nient'affatto illogico che il conducente avrebbe dovuto adottare un comportamento che tenesse conto dell'attraversamento della L. M. (condotta del tutto prevedibile perché si era in prossimità di impianto semaforico verde e di tratto con strisce pedonali), di talché la momentanea non visibilità della stessa non vale ad escludere la colpa.
Ne consegue l'infondatezza anche del secondo motivo.
4. Segue al rigetto, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.