Rimesse alle Sezioni Unite due questioni: una relativa alla possibilità per il giudice, in presenza di un accordo tra le parti, di subordinare d'ufficio la sospensione condizionale della pena alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività senza il consenso esplicito dell'imputato e l'altra concernente i criteri di riferimento da seguire ai fini del computo della durata di quest'ultima.
Il GIP presso il Tribunale di Genova applicava la pena
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova ha applicato, ex art. 444 cod. proc. pen., nei confronti di B. P., la pena di mesi tre e giorni dieci di reclusione, quale aumento per la continuazione sulla pena, già inflitta, con le sentenze irrevocabili pronunciate il 18 luglio 2019 dal Tribunale di Genova e il 20 novembre 2019 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova.
In accoglimento della richiesta delle parti, la pena è stata condizionalmente sospesa; però, il giudice, intervenendo di ufficio, ha subordinato, in ossequio al disposto dell'art. 165, comma secondo, cod. pen., la concessione del beneficio ex art. 163 cod. pen. alla prestazione di 400 giorni di attività non retribuita a favore della collettività.
2. Avverso il provvedimento ricorre l'imputato, tramite il difensore, articolando due motivi.
2.1. Con il primo denuncia, ai sensi dell'art. 448-bis cod. proc. pen., vizio attinente alla espressione della volontà delle parti e difetto di correlazione tra richiesta e sentenza.
Le parti avevano concordato la sospensione condizionale della pena senza prevedere condizioni.
Il giudice, di ufficio, ha subordinato il beneficio alla prestazione di lavoro in favore della collettività, così violando, secondo il ricorrente, l'accordo tra le parti.
D'altra parte, per imporre lo svolgimento di attività lavorativa gratuita, sarebbe stata necessaria una manifestazione espressa di volontà dell'imputato, qui del tutto assente (Sez. 3, n. 26259 del 2018).
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della illegalità della pena.
Deduce che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 165, cod. pen. 18-bis disp. coord. cod. pen. e 54 d. lgs. n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità non può avere durata superiore a sei mesi e, in ogni caso, non può superare la durata della pena sospesa.
Nella specie il giudice ha stabilito 400 giorni di lavoro di pubblica utilità, tempo ampiamente superiore al doppio limite come sopra individuato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere rimesso alle Sezioni Unite.
2. Con la sentenza impugnata il giudice per le indagini preliminari, pronunciandosi ex art. 444 cod. proc. pen., ha applicato all'imputato, per tre condotte riconducibili al reato di cui all'art. 495 cod. pen., la pena di mesi tre e giorni dieci di reclusione, a titolo di aumento, ex art. 81, comma secondo, cod. pen., sulla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, già inflitta con le sentenze definitive pronunciate il 18 luglio 2019 dal Tribunale di Genova (irrevocabile il 10 settembre 2019, reato più grave) e il 20 novembre 2019 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova (irrevocabile il 16 dicembre 2019).
Ha quindi rideterminato la pena complessiva in quella di anni uno, mesi nove e giorni dieci di reclusione.
In accoglimento della richiesta delle parti, la pena è stata condizionalmente sospesa; il giudice, però, nel rilevare che si trattava della seconda sospensione, ha subordinato, di ufficio, la concessione del beneficio ex art. 163 cod. pen. alla prestazione di 400 giorni di attività non retribuita a favore della collettività, da svolgersi per sei ore settimanali, presso il Comune di Bogliasco.
La decisione si radica sulla disciplina contenuta nell'art. 165, commi primo e secondo, cod. pen., nel testo risultante dalla novella di cui alla legge n. 145 del 2004 (modifiche al codice penale e alle relative disposizioni di coordinamento e transitorie in materia di sospensione condizionale della pena e di termini per la riabilitazione del condannato).
L'art. 165, comma secondo, cod. pen., nel testo modificato dall'art. 2, comma 1, lettera b), della legge 11 giugno 2004, n. 145 stabilisce che «la sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all'adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente».
Il comma primo dell'art. 165, anch'esso modificato dalla legge n. 145 del 2004 (art. 2, comma 1, lettera a) prevede che «la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull'ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna».
Per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 145 del 2004, dall'originario testo del comma secondo dell'art. 165 cod. pen., è stato eliminato l'inciso «salvo che ciò sia impossibile». Dunque, nel caso di "seconda" sospensione condizionale della pena, la subordinazione a una condizione è obbligatoria, senza possibilità per il giudice di disporre di quella riserva valutativa (circa la possibilità/impossibilità) che in passato la norma gli concedeva.
Al contempo la legge n. 145 del 2004 ha introdotto, come detto, nell'art. 165, comma primo, cod. pen., la condotta riparatoria consistente nella prestazione di attività non retribuita a favore della collettività.
3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia l'illegittimità dell'intervento di ufficio del giudice sia perché inosservante dell'accordo tra le parti sia perché la prestazione di attività lavorativa non retribuita a favore della collettività richiede una espressa manifestazione di volontà da parte dell'imputato.
3.1. Va rilevato, preliminarmente, che il motivo è ammissibile, ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., vuoi perché denuncia un «difetto di correlazione tra richiesta e sentenza», vuoi perché, secondo la giurisprudenza di legittimità, il concetto di «pena illegale» comprende tutto ciò che comunque incide sul trattamento punitivo e quindi anche la sospensione condizionale (cfr. Sez. 6, n. 17119 del 14/03/2019, P., Rv. 275898; Sez. 4, n. 5064 del 06/11/2018, dep. 2019, B., Rv. 275118; Sez. 5, n. 49481 del 13/11/2019, P., in motivazione).
3.2. Sulla questione sollevata dal ricorrente, le pronunce della Corte di cassazione registrano soluzioni contrastanti.
3.3. Anzitutto la giurisprudenza di legittimità non è pacifica nell'individuare i caratteri della "non opposizione", richiesta dall'art. 165, comma primo, cod. pen. al fine di subordinare la sospensione condizionale della pena alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività (il contrasto è stato segnalato dal massimario con la relazione n. 63 del 7 novembre 2019).
3.3.1. Secondo un primo orientamento, la richiesta di sospensione condizionale della pena avanzata dall'imputato che ne abbia già usufruito in relazione a precedente condanna implica il consenso alla subordinazione del beneficio all'adempimento di uno degli obblighi previsti dall'art. 165, comma primo, cod. pen., trattandosi di prescrizione che il giudice deve necessariamente disporre a norma del secondo comma del medesimo articolo qualora intenda riconoscere nuovamente detto beneficio (Sez. 6, n. 8535 del 02/02/2021, S., Rv. 280712; Sez. 2, n. 29001 del 29/09/2020, B., Rv. 279773; Sez. 3, n. 7604 del 22/10/2019, dep. 2020, F., Rv. 278601; Sez. 6, n. 12079 del 20/02/2020, T., Rv. 278725; Sez. 6, n. 1665 del 11/12/2019, dep. 2020, E., Rv. 278103; Sez. 3, n. 4426 del 24/10/2019, dep. 2020, N., Rv. 278396; Sez. 5, n. 19721, del 11/04/2019, R., Rv. 276248; Sez. 6, n.19882 del 24/4/2018, M., Rv. 273275; Sez. 2, n. 18712 del 31/1/2017, M., Rv. 269847; Sez. 5, n. 13534 del 24/1/2017, C., Rv. 269395; Sez. 6, n. 13984 del 4/3/2014, R., 2014, Rv. 259460; Sez. 5, n. 11269 del 16/1/2019, V., Sez. 1, n. 52181 del 14/12/2017, dep. 2018, T.; Sez. 6, n. 24497 del 27/4/2018, C.; Sez. 5, n. 51755 del 17/10/2018, C.; Sez. 6, n. 11383 del 29/01/2018, S.).
Si è osservato, in sintesi, che:
- la legge n. 145 del 2004 intervenendo sul testo dell'art. 165, comma secondo, cod. pen., ha reso obbligatorio, nel caso di "seconda" sospensione condizionale, subordinare la concessione del beneficio all'adempimento di uno degli obblighi previsti dal comma precedente", e ha soppresso l'inciso esistente nella norma in vigore in precedenza «salvo che ciò sia impossibile»;
- al contempo l'innovazione normativa ha modificato il comma primo dell'art. 165, ove si è previsto, unitamente al risarcimento del danno o alla eliminazione delle conseguenze dell'illecito, anche la possibilità di subordinare la sospensione all'esercizio di lavori di pubblica utilità, modalità che, nel superare l'impossibilità di subordinazione per i casi in cui i reati non ledano interessi patrimoniali di fatto permettono - e nel caso del secondo comma impongono - per qualunque fattispecie la sottoposizione a subordinazione del beneficio concesso;
- «significativamente in tal senso la disposizione richiamata ha richiesto per l'applicazione di tale condizione la mancata opposizione del condannato, in luogo che l'espressione del suo consenso, e l'esame degli atti parlamentari evidenzia che ciò è stato frutto di una precisa scelta, dettata dalla necessità di rendere concretamente praticabile tale misura, a fronte dell'impossibilità per il nostro ordinamento di imporre la formulazione di dichiarazioni alla persona sottoposta ad indagini» (così Sez. 6, n. 13984 del 4/3/2014, Rosiello, 2014, in motivazione).
Questa lettura ha ricevuto l'avallo della Corte costituzionale (ordinanza n. 229 del 2020) che, sulla scorta di detto principio giurisprudenziale, ha dichiarato "manifestamente inammissibile, per incompleta ricostruzione giurisprudenziale" la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Lecce - in riferimento all'art. 3 Cast. - dell'art. 165, comma secondo, cod. pen., come modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b), della legge n. 145 del 2004, nella parte in cui subordina la possibilità di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena a chi già ne abbia goduto una volta, alla condizione che egli necessariamente risarcisca il danno o provveda alle restituzioni, senza assegnare alcuna rilevanza al caso in cui ciò non sia possibile.
La Corte costituzionale ha osservato che «al giudice che si trovi a concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena a chi ne abbia già usufruito residua sempre la facoltà di imporre al condannato, ove per le più diverse ragioni non possa porre a suo carico l'obbligo al risarcimento del danno o alle restituzioni e sempre che il condannato stesso non si opponga, la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività» e che «peraltro l'esercizio di tale facoltà per il giudice appare reso ulteriormente agevole dall'orientamento giurisprudenziale consolidato del giudice di legittimità, secondo il quale la richiesta del beneficio della sospensione condizionale della pena da parte di chi ne abbia già usufruito [...] implica la non opposizione del condannato alla subordinazione del beneficio all'adempimento di uno degli obblighi di cui all'art. 165, comma primo, cod. pen., ivi compresa la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività».
3.3.2. Secondo un diverso orientamento, invece, la "non opposizione" deve essere manifestata personalmente dall'imputato, anche quando il beneficio previsto dall'art. 163, cod. pen. è concesso a persona che ne abbia già usufruito (Sez. 1, n. 42073 del 13/9/2019, A.; Sez. 3, n. 26259 del 10/5/2018, M., Rv. 273320; Sez. 5, n. 7406 del 27/9/2014, M., Rv. 259517; Sez. 2, n. 38783 del 26/10/2006, S., Rv. 23538101; Sez. 6, n. 44775 del 20/10/2015, F.).
3.4. Il contrasto assume ulteriori implicazioni quando la questione viene ricondotta nell'alveo peculiare del rito di cui all'art. 444 cod. proc. pen., poiché al tema della "non opposizione" si affianca quello sul potere del giudice di imporre ex officio una condizione estranea all'accordo delle parti.
3.4.1. Una parte della giurisprudenza (richiamata anche nella citata ordinanza n. 229 del 2020 della Corte costituzionale) ritiene che la richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena, di cui l'imputato abbia già usufruito in relazione ad una precedente condanna, implica la non opposizione alla subordinazione della misura all'adempimento di uno degli obblighi di cui all'art. 165, comma primo, cod. pen., trattandosi di un beneficio accordabile per legge solo in maniera condizionata (Sez. 6, n. 13894 del 04/03/2014, R., Rv. 259460; Sez. 5, n. 13534 del 24/01/2017, C:, Rv. 269395; Sez. 5, n. 49481 del 13/11/2019, P., Rv. 277520; Sez. 5, n. 28568 del 25/09/2020, C., Rv. 279696; Sez. 3, n. 4426 del 24/10/2019, dep. 2020, N:, Rv. 278396; Sez. 6, n. 19882 del 24/04/2018, Rv. 273275).
Nel medesimo solco ermeneutico si è osservato che, anche in sede di patteggiamento, nel caso di seconda sospensione condizionale, il giudice deve necessariamente subordinare il beneficio all'adempimento degli obblighi previsti dall'art. 165, comma secondo, cod. pen., pena la nullità della sentenza (così Sez. 6, n. 50214 del 11/10/2017, E., Rv. 271586, che ha annullato solo il punto della concessione del beneficio ex art. 163 cod. proc. pen.; Sez. 2, n. 11611 del 27/01/2020, Serpillo, Rv. 278632 che ha giudicato affetta da nullità la sentenza di patteggiamento nel suo insieme e non solo nella parte relativa alla sospensione).
3.4.2. Sull'opposto versante si collocano, invece, alcune pronunce, secondo le quali il giudice, ratificando l'accordo intervenuto tra le parti, non può alterare i contenuti pattizi e subordinare il beneficio della sospensione condizionale dell'esecuzione della pena all'adempimento di uno degli obblighi previsti dall'art. 165, comma primo, cod. pen. quando tale condizione sia rimasta del tutto estranea alla pattuizione (Sez. 6, n. 13905 del 11/03/2010, S., Rv. 246689; Sez. 4, n. 31441 del 09/07/2013, Sanzone, Rv. 256073; Sez. 3, n. 57593 del 25/10/2018, C., Rv. 274706) e ciò, secondo alcune pronunce, anche quando si tratti di prescrizione che il giudice deve necessariamente disporre a norma del secondo comma del medesimo articolo (Sez. 3, n. 25349 del 10/04/2019, leardi, Rv. 276006; Sez. 3 n. 16624 del 06/03/2020, L., non massimata).
Va rimarcato che, prima della novella del 2004, questa seconda opzione ermeneutica si era consolidata grazie all'intervento delle Sezioni Unite (sentenza n. 10 del 11/05/1993, Z., Rv. 194064), in forza del quale «nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice non può, alterando i dati della concorde richiesta, subordinare il beneficio della sospensione condizionale dell'esecuzione della pena all'adempimento di un obbligo, alla cui imposizione la legge lo faculti. Ne discende che l'operatività del beneficio sospensivo non può essere subordinata alla demolizione del manufatto abusivamente realizzato, fermo l'obbligo del giudice di ordinarla (anche) a seguito di sentenza ex artt. 444 - 448 cod. proc. pen.».
In passato, infatti, l'apposizione di una condizione era sempre facoltativa; dunque, il patto ex art. 444 cod. proc. pen. non poteva essere alterato sulla base di «una autonoma determinazione del giudice, non necessitata, dato che l'articolo 165 del codice penale gli riconosce un potere di subordinazione ma non stabilisce un obbligo» (così sentenza n. 10 del 11/05/1993, Z., cit.).
Il dissidio interpretativo si è rinfocolato dopo che, come detto (cfr. sopra paragrafo 2), le modifiche apportate al testo dell'art. 165 cod. pen. dalla legge n. 145 del 2004 hanno privato il giudice di "spazi di manovra" nel caso di "seconda" sospensione condizionale della pena, imponendo di subordinare sempre, in tal caso, il beneficio all'adempimento di uno degli obblighi di cui al comma primo.
Di qui trae le mosse la prima opzione interpretativa (cfr. sopra paragrafo 3.3.1.) che fa leva sul fatto che la condizione è obbligatoria e che, quindi, la richiesta ex art. 444 cod. proc. pen., presentata da un imputato che ha già usufruito in passato del beneficio ex art. 163 cod. pen., implica ex se la "non opposizione" alla prestazione di lavoro di pubblica utilità.
Vi si contrappongono, però, altre pronunce, espressione della seconda opzione ermeneutica, le quali ritengono che il patto sia inviolabile e che non sia consentito al giudice intervenire sull'accordo neppure nell'ipotesi in cui la condizione, non prevista dalle parti, sia obbligatoria ex art. 165, comma secondo, cod. pen..
In tali casi il giudice potrà solo respingere la richiesta ex art. 444 cod. proc. pen.
In particolare la sentenza leardi (n. 25349 del 10/04/2019), ponendosi in consapevole contrasto con altre pronunce, evidenzia come, pur vertendosi in ipotesi di statuizione obbligatoria, essa non ha un contenuto prefissato, in quanto la determinazione in ordine al quomodo è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice.
La sentenza leardi, in sostanza, solleva il problema connesso alla imposizione ex officio di una condizione che è sì obbligatoria ma che non è predeterminata e può essere più o meno afflittiva, dato che plurime sono le opzioni offerte dall'art. 165, comma primo, cod. pen. e, nel caso del lavoro di pubblica utilità, la discrezionalità del giudice si esercita ampiamente anche nella determinazione della durata della prestazione lavorativa (su questo profilo si innesta la questione oggetto del secondo motivo di ricorso).
4. Il secondo motivo presuppone la soluzione del primo nel senso di riconoscere al giudice il potere di intervento di ufficio e la possibilità di sostituire la pena con il lavoro di pubblica utilità, sulla base di una "non opposizione", manifestata attraverso la richiesta ex art. 444 cod. proc. pen..
Con la sentenza impugnata, il giudice ha subordinato la concessione del beneficio ex art. 163 cod. pen. alla prestazione di 400 giorni di attività non retribuita a favore della collettività, da svolgersi per sei ore settimanali, presso il Comune di Bogliasco (durata ragguagliata alla pena complessiva di anni uno, mesi nove e giorni dieci di reclusione, di cui mesi tre e giorni dieci di reclusione, applicata a titolo di aumento, ex art. 81, comma secondo, cod. pen., per i reati oggetto del presente processo).
L'ulteriore questione sollevata dal ricorrente involge le modalità e i parametri di computo della durata dell'attività lavorativa, poiché nella specie i termini della prestazione rispettano il parametro della durata massima della pena stabilito dall'art. 165, comma primo, cod. pen., ma non quello di sei mesi di cui all'art. 54 d. lgs. n. 274 del 2000.
4.1. Premesso che la censura è ammissibile ex art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen. sotto il profilo della «illegalità della pena» (cfr. sopra paragrafo 3.1.), il collegio osserva che, anche sulla problematica posta con il secondo motivo, è insorto un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
4.2. Viene in rilievo la disciplina risultante dagli artt. 165, comma primo, cod. pen.; 18-bis disp. coord. cod. pen, art. 54 del d. lgs. n. 274 del 2000.
4.2.1. Come detto, l'art. 165, comma primo, cod. pen. prevede che la sospensione condizionale della pena può («deve» nel caso di seconda sospensione) essere subordinata, se l'imputato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.
L'articolo 18 bis disp. coord. cod. pen, introdotto dalla legge n. 145 del 2004, stabilisce che nei casi di cui all'articolo 165 del codice penale il giudice dispone che il condannato svolga attività non retribuita a favore della collettività osservando, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 44, 54, commi 2, 3, 4 e 6, e 59 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.
L'art. 54 d. lgs. n. 274 del 2000 disciplina il «lavoro di pubblica utilità» nel procedimento del giudice di pace.
Per quanto qui interessa, circa i parametri di durata del lavoro, il comma 2 del citato art. 54, prescrive che: «la durata non può essere inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi»; il comma 3 precisa che la prestazione non può superare le sei ore di lavoro settimanale «tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore alle sei ore settimanali»; il comma 4 fissa in otto ore giornaliere la durata giornaliera della prestazione.
L'art. 18 disp. coord. cod. pen. non richiama invece il comma 5 dell'art. 54, dunque non opera la statuizione ivi contenuta: «Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro» (Sez. 4, n. 20297 del 05/03/2015, I., Rv. 263861; Conf. non massimata sul punto Sez 3, n. 6519 del 16/09/2019, M.).
4.2.2. Un primo orientamento, valorizzando il richiamo testuale all'art. 54 d. lgs. n. 274 del 2000, contenuto nell'art. 18-bis disp. coord. cod. pen., reputa pienamente operante, anche nell'ambito dell'art. 165 cod. pen., la disciplina dettata per il processo davanti al giudice di pace.
Su tale presupposto si è affermato che la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, cui può essere subordinata in mancanza di opposizione del condannato la sospensione condizionale della pena, ha una durata massima di sei mesi (ventisei settimane) e deve essere svolta prestando sei ore di lavoro settimanali e, quindi, per una durata complessiva non superiore alle centocinquantasei ore, salvo che il condannato, al fine di abbreviarne i tempi di esecuzione, chieda lo svolgimento della prestazione per una durata giornaliera superiore, che non può comunque eccedere le otto ore (Sez. 1, n. 32649 del 16/06/2009, L., Rv. 244844; Sez. 4, n. 20297 del 05/03/2015, I., Rv. 263861).
A specificazione di tale ricostruzione, si è sostenuto che la durata della prestazione del lavoro di pubblica utilità soggiace a due limiti massimi cumulativi: sei mesi ex art. 54, comma 2, d. lgs. n. 274 del 2000 o, se inferiore, quello della pena sospesa ex art. 165, comma primo, cod. pen. (Sez. 3, n. 17131 del 24 aprile 2015, S., non massimata sul punto).
4.2.3. Il principio, tuttavia, è stato contrastato, di recente, da alcuni arresti che hanno posto in luce come l'art. 165, comma primo, cod. pen., prevalga, sul punto, rispetto all'art. 54, comma 2, d. lgs. 28 agosto 2000, n. 274, poiché il rinvio operato dall'art. 18-bis, disp. coord. cod. pen. deve intendersi limitato alle modalità esecutive del lavoro di pubblica utilità e non già alla sua durata.
In particolare la settima sezione (ordinanza n. 6898 del 14/12/2018, dep. 2019, C., Rv. 276350) ha stabilito che, nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudice, nel subordinare la sospensione condizionale della pena alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, qualora il condannato non si opponga, è vincolato al solo limite temporale di cui all'art. 165, comma primo cod. pen..
In senso analogo si è posta un'altra decisione (Sez. 3, n. 6519 del 16/09/2019, M., Rv. 278596) che, in consapevole contrasto con la giurisprudenza precedente, ha stabilito che la durata massima dello svolgimento di attività non retribuita a favore della collettività, ove la stessa costituisca condizione per il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, è disciplinata dall'art. 165 cod. pen. e corrisponde alla durata della pena la cui esecuzione è stata sospesa.
In motivazione, la sentenza M. ha precisato che, in forza del richiamo contenuto nell'art. 18-bis disp. coord. cod. pen., le previsioni dell'art. 54, commi 2, 3, 4 e 6, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, sono applicabili alla disciplina della sospensione condizionale solo in quanto compatibili con quanto stabilito dall'art. 165 cod. pen. e, quindi, non per gli aspetti compiutamente disciplinati da tale disposizione.
Tra gli aspetti «compiutamente disciplinati», la pronuncia ha incluso quello sul parametro di conversione della pena, per il quale l'art. 165 fissa solo un termine massimo.
5. Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rimesso alle Sezioni Unite sulle seguenti questioni:
- «Se, in tema di patteggiamento, il giudice, ratificando l'accordo intervenuto tra le parti, possa, di ufficio, subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena a una delle condizioni previste dall'art. 165, comma primo, cod. pen. nel caso in cui tale condizione sia rimasta estranea alla pattuizione e, in particolare, se sia possibile subordinarlo alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività in caso di mancato esplicito consenso dell'imputato»;
- «Se, in tema di prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, il computo della durata di tale misura debba essere effettuato con riferimento solo al criterio dettato dall'art. 165, comma primo, cod. pen. (per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa) oppure con riferimento al criterio desumibile dal combinato disposto degli artt. 18 bis disp. coord. cod. pen. e 54, comma 2, d.lgs. n. 274 del 2000 (non inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi)».
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.