Il ricorrente lamenta l'inutilizzabilità del campione biologico prelevato con il suo consenso ma senza essere stato avvisato della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia. Per la Cassazione l'unico presupposto rilevante è il consenso prestato della persona sottoposta al prelievo, poiché quest'ultimo non implica speciali competenze tecniche che prescrivono l'adozione di precise garanzie difensive, necessaria invece per la successiva attività di accertamento dei risultati.
Svolgimento del processo
1. Avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha confermato la sentenza di condanna emessa, all'esito del giudizio abbreviato, dal tribunale di Mantova in data 5 luglio 2016, propone ricorso per cassazione l'imputato, a ministero del difensore di fiducia, deducendo a ragione dell’impugnazione i motivi in appresso sinteticamente indicati, ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen..
1.1 violazione e falsa applicazione della legge processuale penale (art. 606, comma 1, lett. c, in relazione agli artt. 224 bis, 249, 349, 354, 356, 359 bis, 360, 365, cod. proc. pen. 114 disp. att. cod. proc pen.), per avere sia il giudice di primo grado che la Corte ritenuto utilizzabile l'accertamento peritale svolto con le forme dell'incidente probatorio relativo alla compatibilità del campione biologico prelevato dal cavo orale dell'imputato (con il suo consenso) con le tracce rinvenute sotto le unghie della vittima; campione prelevato senza dare avviso della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia; ricorrerebbe dunque inutilizzabilità patologica della prova, rilevante ancorché il giudizio di primo grado fosse celebrato nelle forme del giudizio abbreviato;
1.2. violazione della legge penale e vizio esiziale di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen., in riferimento ai principi espressi agli artt. 192, comma 2, 533 comma 1, cod. proc. pen., 27 Cost.), avendo la Corte territoriale divisato penale responsabilità dell'imputato, per il delitto di violazione di domicilio e di rapina aggravata dalla violazione di domicilio, pur in assenza di prova della avvenuta violazione dell'altrui domicilio, avendo la p.o. dichiarato di non aver chiuso la porta di ingresso alla propria abitazione, e ben conoscendo l'imputato, suo coinquilino frontista per quasi due anni, non essendo dunque possibile che la p.o. non abbia riconosciuto il volto del proprio aggressore;
1.3. I medesimi vizi sono denunziati con riferimento alla omessa valutazione di attendibilità della p.o., non costante nel narrato e mossa da interesse patrimoniale alla regiudicanda;
1.4. ancora, violazione di legge e vizio di motivazione per la manifesta illogicità della motivazione che ha valorizzato solo le prove a carico, tenendo in assoluto non cale gli elementi a discarico;
1.5. violazione della legge penale e vizio di motivazione, per avere la Corte ritenuto integrato il delitto di rapina di cui al capo 5, pur in assenza di violenza o minaccia nell'apprensione della banconota dal portafogli della vittima, evento peraltro debolmente dimostrato dall'inattendibile ed illogico narrato;
1.6. ancora i medesimi vizi sono denunciati in relazione all'accertamento della responsabilità per il delitto di violenza sessuale tentata, in assenza di qualsivoglia riscontro obiettivo al narrato;
1.7. da ultimo, i medesimi vizi sono denunciati in ordine alla misura della sanzione irrogata. In particolare, la difesa si duole della qualificazione non lieve del fatto di violenza sessuale, della non apprezzata ricorrenza del danno patrimoniale di particolare lievità e del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 606, comma 3, 591, comma 1, lett. c), 581, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., per la manifesta infondatezza e il difetto assoluto di specificità, dei motivi, che non si confrontano con l'ordito motivazionale della sentenza impugnata, ove è esplicita la ricostruzione, logica e coerente, sia delle prove che hanno consentito l'accertamento della responsabilità, che dei criteri retributivi atti a commisurare la sanzione alle condotte accertate ed alla personalità del colpevole. Inoltre - fatta eccezione per le deduzioni di merito in ordine alla scarsa credibilità della vittima, che, conoscendo già il P. e in un evento caratterizzato da una certa durata e dal contatto tra vittima ed offensore, non avrebbe mai visto in volto l'agente- nessuno dei motivi di ricorso oggi all'esame del Collegio era stato prospettato alla Corte territoriale con i motivi di gravame, in manifesta violazione di quanto dispone il comma 3 dell'art. 606 del codice di rito.
1.1. In ogni caso, attesa la dedotta inutilizzabilità patologica della prova scientifica costituente uno degli indizi (ancorché non unico) valorizzati nel merito per la identificazione dell'agente (vizio in ipotesi apprezzabile dalla Corte, ai sensi del comma 2 dell'art. 609 del codice di rito), occorre comunque ribadire sul punto dedotto che, in virtù il combinato disposto degli art. 359 bis - 349 2 bis 224 bis, cod. proc. pen., presupposto indispensabile per l'applicazione della procedura prevista all'art. 224 bis, cod. proc. pen. (espressamente richiamata dall'art. 359 bis, stesso codice, norma alla quale rimanda l'art. 349, comma 2 bis, cod. proc. pen.) è costituito dalla mancata manifestazione del necessario consenso da parte della persona interessata, consenso viceversa esplicitamente prestato dal ricorrente al momento del prelievo, come indica lo stesso motivo di ricorso e come si legge nell'allegato 1 ai motivi. Tale conclusione si evince chiaramente dal tenore letterale dell'art. 359 bis, comma 1, e della disposizione di cui all'art. 224 bis, comma uno, cod. proc. pen. (" .... e non vi è il consenso. della persona interessata ...."). Trattasi in altri termini di una disciplina tesa regolare compiutamente tutti passaggi di una procedura finalizzata all'esecuzione di prelievi coattivi necessari in un contesto di assoluto rispetto della dignità della persona, con tutte le garanzie connesse all'esercizio della difesa, con le necessarie indicazioni di luogo e di tempo di esecuzione dell'incombente, la comunicazione dello stesso all'imputato e l'assistenza tecnica del difensore, pena la nullità insanabile dell'intera operazione e degli effetti dipendenti dalla stessa nell'ambito del processo. Il comma tre dell'art. 359 bis, cod. proc. pen., prevede che nei casi di cui ai commi 1 e 2- rispettivamente pertinenti alla richiesta inoltrata dal P.M. al giudice delle indagini preliminari, che deve autorizzare l'incombente con ordinanza apposita, e all'ipotesi di urgenza implicante lo svolgimento delle operazioni e la successiva convalida da parte del GIP - le prescrizioni di cui all'art. 224 bis, commi due, quattro e cinque, cod. proc. pen., debbano essere osservate a pena di nullità e inutilizzabilità delle operazioni. Tuttavia, ciò presuppone sempre la mancanza del consenso della persona interessata, ossia la persona sottoposta all'esecuzione del prelievo biologico, indagato o meno che sia al momento del prelievo, essendo logica la regolamentazione assolutamente rigorosa del prelievo coattivo su soggetto nolente. Solo in quest'ultima ipotesi sono dunque rilevabili profili di invalidità assoluta riconducibili, peraltro, al disposto degli artt. 178 lett. c) e 179 cod. proc. pen.. Né, sotto altro profilo, il consenso manifestato dall'interessato, in assenza dei passaggi procedimentali sopra indicati (mancato avvertimento della facoltà di farsi assistere dal difensore o di avvisarlo), sarebbe idoneo di per sé solo, su un piano formale, a recare ipotetici pregiudizi alla posizione del soggetto passivo del prelievo. Deve altresì rilevarsi che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di perizia o di accertamenti tecnici irripetibili sul DNA, il prelievo genetico effettuato con il consenso da parte dell'indagato può avvenire anche in assenza del difensore; ciò in ragione della specifica e limitata finalità dell'atto di prelievo, che non implica speciali competenze tecniche che impongano l'adozione di precise garanzie difensive, necessarie invece per la successiva attività di valutazione dei risultati (Sez. 5, n. 12800 del 7/2/2017, Rv. 269719; Sez. 3, n. 25426 del 01/07/2015, dep. 2016, Rv. 267097; da ultimo v. Sez. 4, n. 23136, del 18/3/2021, S., n.m.; Sez. 5, n. 19909, del 7/4/2021, L., n.m.). Tale orientamento rimanda alla pura materialità del prelievo, che non richiede speciali competenze o cautele determinate di tipo tecnico, come nel caso di specie, relativo ad un semplice prelievo di campione salivare, essendo comunque prospettabile l'assicurazione delle necessarie garanzie difensive nel prosieguo, al momento dell'espletamento delle indagini tecniche, costituenti lo scopo ultimo dell'accertamento.
1.1.1. In ogni caso, l'inosservanza delle formalità prescritte dalla legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo non è, di per sè, sufficiente a rendere quest'ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal comma uno dell'art. 191, cod. proc. pen.. Ed invero, tale disposizione, se ha previsto l'inutilizzabilità come sanzione di carattere generale, applicabile alle prove acquisite in violazione ai divieti probatori, non ha, per questo, eliminato lo strumento della nullità, in quanto le categorie della nullità e dell'inutilizzabilità, pur operando nell'area della patologia della prova, restano distinte e autonome, siccome correlate a diversi presupposti, la prima attenendo sempre e soltanto all'inosservanza di alcune formalità di assunzione della prova -vizio che non pone il procedimento formativo o acquisitivo completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento- la seconda presupponendo, invece, la presenza di una prova "vietata" per la sua intrinseca illegittimità oggettiva, ovvero per effetto del procedimento acquisitivo, la cui manifesta illegittimità lo pone certamente al di fuori del sistema processuale (Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, S:, Rv. 204644). Consegue che la celebrazione del rito abbreviato esclude che possa darsi rilevanza ad una inutilizzabilità non patologica e ad eventuali nullità quali quelle prospettate dal ricorrente, peraltro non coltivate con i motivi di gravame spesi nel merito. Né tutto ciò si traduce in una limitazione del diritto di difesa, atteso che, in tema di giudizio abbreviato, il diritto alla controprova spettante all'imputato che abbia richiesto il rito speciale senza integrazioni probatorie, deve essere tempestivamente esercitato nel corso del giudizio di primo grado, dovendo ritenersi, in assenza di deduzione, completo il quadro processuale utilizzabile ai fini della decisione (Sez. 3, n. 56049 del 20/07/2017, Rv. 272426). Il primo motivo di ricorso, astrattamente ammissibile solo in quanto deduce una inutilizzabilità patologica della prova rilevabile in ogni stato e grado del giudizio (art. 609 comma 2 cod. proc. pen.), palesa pertanto infondatezza manifesta. Con esso, peraltro, si deduce la inutilizzabilità della prova scientifica, senza allegare alcunché in ordine alla ritenuta decisività della stessa nel giudizio di merito, ove invece la Corte territoriale e, prima di essa, il giudice del rito abbreviato hanno riconosciuto la responsabilità dell'imputato valorizzando una molteplicità di differenti indizi convergenti. Il vizio dedotto difetta dunque anche della necessaria specificità, non avendo affrontato il problematico profilo della c.d. prova di resistenza.
1.2. Quanto a tutti i restanti motivi di ricorso, si è già detto della loro natura inedita, avendo il difensore avanzato tali doglianze di merito (fatta eccezione per il dubbio avanzato con i motivi di appello sulla inverosimiglianza di un mancato riconoscimento del volto dell'aggressore) soltanto con i motivi di ricorso, così violando il principio di continuità che deve legare la catena devolutiva ai diversi gradi di giudizio.
1.2.1. In ogni caso, la difesa deduce violazione della legge penale, sostanziale e processuale, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione che ha argomentato la penale responsabilità dell'odierno ricorrente per i delitti a lui ascritti, senza confrontarsi con le precise e logiche argomentazioni poste a sostegno della duplice pronuncia conforme di responsabilità.
La Corte di merito ha infatti chiarito che dagli atti utilizzabili per la decisione (rito abbreviato eletto in primo grado) si può validamente ritenere che la vittima, sorpresa nottetempo mentre era in bagno da soggetto che l'ha cinta ed avvolta con un telo e quindi l'ha condotta con la viva forza sul divano dell'appartamento, non sia riuscita a scorgere in volto il proprio aggressore, del quale è tuttavia riuscita a fornire altre numerose tracce identificative, dalla voce, all'olezzo, alla indicazione precisa degli abiti. A fronte di tale asserzione, indicativa peraltro di genuina prudenza nella descrizione dell'occorso, la difesa insiste nel ritenere una inattendibilità della p.o. che non trova riscontro negli atti e che comunque viene sollecita in questa sede di legittimità valorizzando elementi di fatto mai prima sottoposti al giudice della impugnazione di merito, in violazione dell'esplicito divieto posto sul punto dal comma 3 dell'art. 606 cod. proc. pen. (cfr. sul punto, Sez. 2, n. 17693, del 17/1/2018, Rv. 278221; Sez. 2, n. 29707, dle 8/3/2017, Rv. 270316; Sez. 3, n. 16610, del 24/1/2017, Rv. 269632; Sez. 3, n. 21920, del 16/5/2012, Rv. 252773).
1.3. Quanto a violazione della legge penale nella qualificazione non lieve del fatto di violenza sessuale (art. 609 bis, comma terzo, cod. pen.), il profilo, che neppure è stato specificamente rappresentato alla Corte di merito con i motivi di gravame, appare comunque manifestamente infondato, non potendo annettersi alla offesa carattere di particolare tenuità in ragione delle complessive modalità della condotta e della durata della stessa, che ha comportato un prolungato, quanto osteggiato, contatto in corpore. Corretto è stato comunque il percorso seguito nel merito per individuare nella rapina, aggravata dalla violazione di domicilio, (anche sul punto il motivo di ricorso è inedito) il reato più grave, nel commisurare la sanzione per questo in aderenza al minimo edittale, nel tenere conto dei pregiudizi dell'imputato per negare le circostanze attenuanti generiche e la circostanza del danno patrimoniale di particolare tenuità, nel calibrare in misura assai contenuta gli aumenti per la continuazione.
2. Alla luce delle argomentazioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile.
2.1. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro tremila.
3. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del decreto legislativo 196/2003 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.