La Cassazione rigetta il ricorso della donna precisando che la comproprietà con terzi non soddisfa la ratio del diritto di abitazione e dell'esigenza di godere della casa familiare. Inoltre, colui che utilizza in via esclusiva il bene è tenuto a versare un indennizzo agli altri comunisti per l'uso esclusivo dell'immobile.
Nel giudizio di divisione ereditaria instaurato dopo la morte del marito, la donna proponeva domanda di accertamento in proprio favore del diritto di uso e abitazione,
Svolgimento del processo
1. Nel giudizio di scioglimento della comunione dell'eredità di G. S., G. G. ha proposto domanda riconvenzionale per l'accertamento in proprio favore del diritto di abitazione ex art. 540 c. c. sulla quota di 1/3 della proprietà di una casa, quota spettante al marito GJ. S. (deceduto lasciando quali eredi la moglie e i due figli A. S. e N. S.), ovvero in via subordinata della liquidazione per l'equivalente monetario della quota.
Il Tribunale di Trieste ha rigettato entrambe le domande e il rigetto è stato confermato in appello dalla Corte d'appello di Trieste con la sentenza 11 febbraio 2016, n. 16.
2. Contro la sentenza d'appello ricorrono per cassazione G. G., A. S. e N. S..
I fratelli del defunto G. S., M. S. e F. S., resistono con controricorso.
Memoria ex art. 380-bis c.p.c. è stata depositata dai ricorrenti, che insistono affinché venga riconosciuto l'equivalente monetario di tale diritto, atteso che il godimento del diritto di abitazione non è più prospettabile in capo a G. G.. Memoria è stata depositata anche dai controricorrenti, che eccepiscono la sopravvenuta inammissibilità del ricorso a seguito della espropriazione della quota di 1/3, con assegnazione della medesima agli stessi controricorrenti, circostanze in relazione alle quali hanno depositato documentazione. Al riguardo va precisato che il deposito della documentazione è inammissibile ai sensi dell'art. 372 c.p.c. e che le circostanze allegate non possono essere considerate da questa Corte, trattandosi di circostanze sopravvenute alla proposizione del ricorso.
Motivi della decisione
I. Il ricorso è articolato in tre motivi.
1) Il primo motivo denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 540, comma 2 c. c., sussistenza del diritto di abitazione in capo a G. G.": la Corte d'appello avrebbe erroneamente seguito l'orientamento giurisprudenziale che riserva al coniuge superstite il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare solo se al momento dell'apertura della successione era del coniuge defunto o comune, così non riconoscendo tale diritto alla ricorrente, che aveva vissuto nella casa con il marito e i figli dal 1982 (alla morte di G. S., nella casa familiare era rimasta la moglie G. D., in virtù del proprio diritto di abitazione, ospitando il figlio GJ. D. e la sua famiglia, rimasti nella casa anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1984).
Il motivo non può essere accolto. Il Collegio aderisce all'orientamento di questa Corte seguito dalla Corte d'appello. Secondo tale orientamento (v., in particolare, Cass. n. 6691/2000, cfr. anche Cass. n. 8171/1991) la locuzione "di proprietà del defunto o comuni", di cui all'art. 540, comma 2 c. c., va interpretata alla luce della ratio del diritto di abitazione e della sua stretta connessione con l'esigenza di godere dell'abitazione familiare. Il legislatore, prevedendo l'ipotesi della casa comune, si è riferito esclusivamente alla comunione con l'altro coniuge, tenuto conto che il regime della comunione è quello legale e quindi presumibilmente il più frequente a verificarsi; inoltre, ove comproprietario sia un terzo non possono verificarsi i presupposti per la nascita del diritto di abitazione, non essendo in questo caso realizzabile l'intento del legislatore di assicurare in concreto al coniuge il godimento pieno del bene oggetto del diritto; in altri termini, intanto può sorgere il diritto di abitazione, in quanto vi è la possibilità di soddisfare l'esigenza abitativa e, se questa non può soddisfarsi perché l'immobile appartiene anche ad estranei, il diritto di abitazione non nasce. Il Collegio ritiene che vada altresì escluso che il coniuge superstite, nei limiti della quota di proprietà del coniuge defunto, possa avere l'equivalente monetario del predetto diritto, in quanto si finirebbe per attribuire "un contenuto economico di rincalzo al diritto di abitazione che, invece, ha un senso solo se apporta un accrescimento qualitativo alla successione del coniuge superstite, garantendo in concreto l'esigenza di godere dell'abitazione familiare" (così la richiamata pronuncia n. 6691/2000, in diversi termini si era espressa Cass. n. 2474/1987, v. pure Cass. n. 14594/2004).
2) Il secondo motivo contesta "violazione o falsa applicazione degli artt. 1102 e 723 c. c., insussistenza del diritto all'equo compenso, errata decorrenza ed errato calcolo dell'equo compenso (frutti civili), anche in relazione all'art. 540, comma 2 c. c.". Ad avviso dei ricorrenti, a differenza di quanto affermato dal giudice d'appello, nulla era dovuto a titolo di equo compenso per l'uso esclusivo dell'abitazione: anzitutto vi era il diritto di abitazione, inoltre le controparti non avevano mai avanzato pretese al riguardo, rinunciando quindi a qualsiasi controprestazione, e mai avevano manifestato l'intenzione di utilizzare il bene comune, cosicché si era costituito il diritto all'uso gratuito dell'immobile, né potrebbe rilevare in senso contrario il contenuto della lettera del 26 aprile 2007, spedita dal legale delle controparti.
Il motivo è infondato. Escluso il diritto di abitazione, la Corte d'appello ha applicato il principio affermato da questa Corte secondo cui l'utilizzazione in via esclusiva di un bene comune da parte di un singolo comproprietario, in assenza del consenso degli altri comunisti ai quali resta precluso l'uso, determina un danno (v. Cass. n. 19215/2016). Il giudice d'appello ha infatti confermato la decisione di primo grado che ha riconosciuto ai controricorrenti l'indennità di equo compenso per l'uso esclusivo dell'immobile a far tempo dal 26 aprile 2007, data della lettera spedita dal legale delle controparti, con la quale i coeredi - ha ritenuto il giudice di merito - avevano manifestato la pretesa al riconoscimento di un indennizzo per l'uso esclusivo dell'immobile, senza che avesse rilievo la mancata precedente formulazione di richieste o intimazioni di pagamento. I ricorrenti, pertanto, contestano l'interpretazione data dal giudice di merito al comportamento dei coeredi e alla scrittura del 26 aprile 2007, interpretazione che spettava al giudice di merito e che è incensurabile, in quanto motivata, da parte di questa Corte di legittimità.
3) Il terzo motivo fa valere "violazione o falsa applicazione degli artt. 820 e 821 c. c., i frutti civili sono un debito di valuta e non di valore, non suscettibili di rivalutazione monetaria": la Corte d'appello avrebbe erroneamente confermato la decisione di primo grado, che non ha considerato come i frutti civili sono un debito di valuta e non di valore.
Il motivo è infondato. Come ha precisato la Corte d'appello, non vi è stata indebita rivalutazione ad opera del primo giudice, che ha correttamente quantificato il debito in base all'ammontare del canone figurativo, calcolandone l'importo anno per anno, alla stregua della normativa speciale in materia di locazione, così che l'importo stabilito è frutto della modalità di calcolo scelta e non della sua trasformazione in debito di valore.
II. Il ricorso va quindi rigettato.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio a favore dei controricorrenti che liquida in euro 7.500 di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del d.p.r. n. 115/2002, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.