Il reato di edificazione abusiva ha natura permanente, dunque la consumazione ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione e perdura fino al termine dell'attività abusiva. In tal senso, la Cassazione specifica cosa debba intendersi per «termine» dell'attività edificatoria abusiva ai fini della decorrenza della prescrizione.
La Corte d'Appello di Messina condannava gli imputati poiché ritenuti responsabili di avere realizzato una serie di opere edilizie in assenza di concessione edilizia o in completa difformità dalla C.E.
Contro la suddetta decisione, propongono ricorso per cassazione gli imputati.
Con la sentenza n. 37843 del 21 ottobre 2021, la Suprema Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.
A tal proposito, gli Ermellini ribadiscono che «in materia edilizia, ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 44 del
Ciò posto, la Corte affronta la questione relativa alla determinazione del momento in cui inizia a decorrere la prescrizione del reato edilizio contestato, rilevando in via preliminare che esso ha natura permanente, dunque la consumazione inizia con l'avvio dei lavori di costruzione e perdura fino al termine dell'attività edificatoria abusiva. In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di chiarire che «la permanenza del reato di edificazione abusiva termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l'accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado».
Nel caso di specie, il responsabile del settore abusivismo edilizio competente aveva dichiarato che le opere oggetto di contestazione erano state tutte realizzate prima del 2000, non essendoci stati altri interventi in epoca successiva fino al 2018, quando gli imputati avevano presentato domanda di sanatoria.
Alla luce di ciò, la desistenza ha fatto sì che maturasse la prescrizione del reato ben prima dell'accertamento a cui ha dato impulso il presente procedimento, a nulla rilevando che successivamente sia stata chiesta la sanatoria.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 11.12.2019, la Corte d'Appello di Messina condannava S. C. e I. G. alla pena di mesi tre di arresto ed euro 12.000 di multa, con il beneficio della sospensione condizionale della pena per entrambi, in quanto ritenuti responsabili del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, lett. b) d.P.R. n. 380/2001, per avere realizzato, in qualità di proprietari, in località (omissis) e da (omissis), una serie di opere edilizie in assenza di concessione edilizia ovvero in completa difformità dalla C.E. n. 8 del 11.4.1992.
2. La Corte di merito, a seguito di impugnazione del P.g. avverso la decisione del Tribunale di Patti che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per intervenuta prescrizione, ha affermato che la condotta avente ad oggetto le opere abusivamente realizzate in epoca antecedente all'anno 2000 non poteva dirsi prescritta, in quanto il termine prescrizionale, trattandosi di reato permanente, inizia a decorrere dalla cessazione della permanenza stessa, che si verifica o con la sospensione totale dei lavori - volontaria o dovuta a provvedimento autoritativo - ovvero con il completamento dell'opera, coincidente con l'ultimazione delle rifiniture interne ed esterne. Nel caso di specie, era emerso che, a differenza della restante parte delle opere, il vano realizzato all'ultimo piano dell'abitazione era allo stato rustico, quindi non ultimato; né era possibile affermare che vi fosse stata completa volontaria sospensione dei lavori, in quanto gli imputati avevano manifestato con la presentazione di una domanda di sanatoria in data 27.2.2018 la volontà di completare le opere abusive.
3. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso il S. C. e la I. G., affidato a due motivi.
Con il primo di essi, si deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 44, lett. b) d.P.R. n. 380/2001, 157-161 cod. pen., 129 cod. proc. pen., nonché vizio motivazionale, non essendo stato, innanzitutto, valutato se la difformità dalla C.E. fosse totale o parziale, mediante un preciso raffronto fra l'opera realizzata e quella oggetto di concessione. In secondo luogo, non si era tenuto conto della natura di reato istantaneo della fattispecie in contestazione, il cui termine di prescrizione inizierebbe a decorrere dall'inizio dei lavori edili; in ogni caso, anche a voler ritenere la natura permanente del reato, esso si sarebbe prescritto, in quanto le opere difformi erano state realizzate prima del 2000 e da allora i lavori erano stati completamente sospesi; il fatto che parte delle opere, quelle al secondo piano dell'immobile, fossero rimaste al rustico non escludeva la loro ultimazione.
Con un secondo motivo di ricorso, si deduce vizio ex art. 606, comma 1, lett. e) cod proc. pen. attesa la carenza e l'illogicità della motivazione della decisione.
4. La difesa ha, altresì, depositato memoria ex art. 611 cod. proc. pen., con la quale ha osservato che, anche a voler seguire i principi richiamati dalla Corte territoriale, decisivo era che i lavori erano stati totalmente e volontariamente sospesi prima dell'anno 2000: tale desistenza ha fatto sì che sia maturata la prescrizione del reato in contestazione, a nulla rilevando la circostanza che nel 2018 i ricorrenti abbiano presentato domanda di sanatoria, poiché da un lato la stessa non era affatto da interpretare come volontà o intento di continuare nell'abusivismo ma, al contrario, di estinguere il reato e, dall'altro, era già trascorso più di un quinquennio dal venir meno della permanenza.
La difesa ha, altresì, richiamato e allegato il parere preventivo in data 8.9.2020 rilasciato dalla Regione Siciliana, Dipartimento Regionale Tecnico - Servizio Ufficio del Genio Civile di Messina, attestante che "dall'esame degli elaborati è emerso che gli stessi sono redatti in conformità al D.P.R. 06/06/2001
n. 380 artt. 93 e 94 (Legge 02.02. 74 n. 64 artt. 17 e 18) e pertanto non danno luogo ad osservazioni in merito all'applicazione della normativa tecnica antisismica vigente.
5. Il p.g., con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Motivi della decisione
1. Ritiene il Collegio che il primo motivo di ricorso sia fondato nei termini che seguono.
1.1. Dalla decisione impugnata risulta, innanzitutto, che l'oggetto dell'intervento edilizio abusivo è rappresentato da un immobile sito in (omissis), e da (omissis), accatastato al foglio 25, part. 531 e 532 e realizzato in difformità dalla concessione edilizia n. 8 del 1992 rilasciata agli aventi diritto: si trattava, in particolare di varie opere eseguite ai piani terra, primo e secondo; mentre le parti al piano terra ed al primo piano erano state completate (nel dettaglio, al piano terra un locale di sgombero, parzialmente seminterrato, con pavimentazione, intonacatura e finestra, mentre non erano stati realizzati i vani cantina e garage; al primo piano un balcone dotato di ringhiera in ferro), quelle al secondo piano si trovava ancora, all'epoca dell'accertamento effettuato in data 17.11.2017, allo stato rustico (si tratta di una sopraelevazione, con pilastri in cemento, solaio di copertura e muratura di tamponamento in laterizi forati senza intonaci interni ed esterni, privo di accesso stabile).
La stessa descrizione della tipologia e dell'entità dell'intervento edilizio oggetto di contestazione consente di escludere, in prima battuta, che sia ipotizzabile un'ipotesi di costruzione in solo parziale difformità dal titolo abilitativo, come invocato dal ricorrente.
Invero, come già affermato dalla giurisprudenza di questa Sezione, «in materia edilizia, ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, si considera in "totale difformità" l'intervento che, sulla base di una comparazione unitaria e sintetica fra l'organismo programmato e quello che è stato realizzato con l'attività costruttiva, risulti integralmente diverso da quello assentite per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche, di utilizzazione o di ubicazione, mentre, invece, in "parziale difformità" l'intervento che, sebbene contemplato dal titolo abilitativo, all'esito di una valutazione analitica delle singole difformità risulti realizzato secondo modalità diverse da quelle previste a livello progettuale (Sez. 3, n. 40541 del 18/06/2014, Rv. 260652-01). In particolare, si è affermato che, ai sensi dell'art. 34, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, si considerano opere eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza e le variazioni di parti accessorie prive di specifica rilevanza (e sempre che, nei casi di violazioni di altezza, distacchi, cubature o superficie coperta, quanto realizzato sia eccedente, per singola unità immobiliare, il 5 per cento delle misure progettuali, in quanto il comma 2-ter del medesimo art. 34 del d.P.R. citato prevede che detti interventi, se non superano la misura indicata, non possono definirsi difformi, neanche in senso parziale) (Sez. 3, n. 55483 del 25/09/2018, Rv. 274633-01).
Ciò posto, e venendo ad affrontare la questione relativa alla determinazione del momento della decorrenza della prescrizione del reato edilizio contestato, al fine di verificarne l'eventuale estinzione per decorso del termine massimo, mette conto rilevare che la Corte territoriale ha dato atto - sulla base delle dichiarazioni del responsabile comunale dell'area tecnica - che tutte le opere erano state realizzate prima del 2000 (anno in cui vi era stata una richiesta di condono successivamente ritirata) e che il 27.2.2018 era stata presentata una nuova domanda di sanatoria, non ancora esitata.
In tale ottica, la sentenza impugnata, richiamata la natura permanente del reato, ha affermato che la permanenza cessa o con la totale sospensione dei lavori, volontaria o imposta, ovvero con il completamento dell'opera, nozione normalmente coincidente con l'effettuazione delle rifiniture interne ed esterne, fatte salve, secondo un orientamento interpretativo, ipotesi marginali in cui la permanenza sia terminata anche senza l'ultimazione del manufatto, come nel caso di ininterrotto utilizzo del bene con attivazione delle relative utenze.
Declinando tali principi in relazione al caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto di concludere che l'opera non era stata completata, essendo (almeno in parte) al rustico, e che neppure poteva affermarsi che vi fosse stata totale volontaria sospensione dei lavori, perché gli imputati nel 2018 - ossia ad oltre 18 anni dalla realizzazione delle opere e dalla materiale cessazione dei lavori - avevano presentato una ulteriore domanda di condono, così manifestando la volontà di completare tali opere abusive.
Tale approdo interpretativo non può essere condiviso, in quanto solo apparentemente conforme ai principi di diritto sopra enunciati in premessa dalla sentenza.
Occorre muovere dalla premessa che il reato urbanistico ha natura permanente, la cui consumazione ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell'attività edificatoria abusiva (cfr. Sez. U, n. 17178 del 27/2/2002, C., Rv. 221398) e che, in tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera ai fini della individuazione del dies a quo per la decorrenza della prescrizione deve riguardare la stessa nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i suoi singoli componenti (Sez. 3, n. 30147 del 19/04/2017, T., Rv. 270256; Sez. 3, n. 4048 del 6/11/2002, dep. 2003, T., Rv. 223365; Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011, dep. 2012, F., Rv. 252125), ivi comprese le parti che costituiscono annessi dell'abitazione (Sez. 3, n. 8172 del 27/1/2010, V., Rv. 246221).
In secondo luogo, deve osservarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, Sez. 3, n. 49990 del 04/11/2015, Rv. 265626; Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014, Rv. 260498; Sez. 3, n. 43147 del 08/10/2003, Rv. 226498; Sez. 3, n. 8563 del 14/01/2003, Rv. 224980; Sez. 3, n. 38136 del 25/09/2001, Rv. 220351), la permanenza del reato di edificazione abusiva termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta (ad esempio, il sequestro del manufatto), cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l'accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado.
In tale prospettiva, va sottolineato che, ai fini dell'individuazione del momento di cessazione dei lavori, il completamento dell'opera con tutte le rifiniture interne ed esterne, quali gli intonaci e gli infissi, costituisce soltanto un elemento sintomatico, che, se utile nella normalità dei casi, non consente di escludere ipotesi in cui la permanenza sia terminata anche senza l'ultimazione dell'opera nel senso anzidetto (come, nell'esempio già citato, quando risulti l'ininterrotto utilizzo abitativo del bene comprovato dalla attivazione delle utenze necessarie, fermo restando che ciò che conta è il primo requisito, del quale l'attivazione delle utenze è solo uno degli elementi sintomatici e non è da solo sufficiente a far ritenere cessata la permanenza) (cfr. Sez. 3, n, 3067 del 08/09/2016, dep. 2017, Rv. 269022-01).
Pertanto, il completamento dell'opera, a sua volta manifestato dall'esistenza delle rifiniture, è uno, e non l'unico, elemento dal quale possa ritrarsi la cessazione o la totale sospensione dei lavori, che può essere dimostrata anche per altra via, purché sulla base di elementi di obiettiva portata dimostrativa.
In tal senso, invero, questa Corte si è anche di recente pronunciata affermando che «la permanenza del reato urbanistico cessa con l'ultimazione dei lavori del manufatto, in essa comprese le rifiniture, ovvero al momento della desistenza definitiva dagli stessi, da dimostrare in base a dati obiettivi ed univoci». (Sez. 3, n. 13607 del 08/02/2019, Rv. 275900-01).
Si tratta di un principio che il Collegio condivide ed al quale intende dare continuità, dal momento che la desistenza dalla prosecuzione dell'intervento, che deve essere definitiva e non soltanto temporanea, richiede, necessariamente, di essere efficacemente dimostrata attraverso dati obiettivi ed inequivocabili.
Orbene, nella specie, sulla base dello stesso contenuto accertativo della decisione impugnata, deve dirsi che la dimostrazione della desistenza dalla prosecuzione dell'intervento edilizio emerge in modo obiettivo dalla deposizione del responsabile del settore abusivismo edilizio del comune di (omissis), il quale dichiarava che le opere in contestazione erano state tutte realizzate in epoca anteriore all'anno 2000: dato non contestato dalla stessa decisione che, del resto, non fa menzione di altri ipotetici interventi in epoca successiva. Ne deriva la conclusione che lo stato dell'immobile, essendo rimasto inalterato da almeno 18 anni al momento dell'accertamento, evidenzia univocamente la desistenza definitiva - oltre che volontaria, non risultando alcun fattore cogente intervenuto medio tempore - dai lavori stessi da parte dei ricorrenti.
Tale desistenza ha fatto sì che maturasse la prescrizione del reato loro contestato ben prima dell'accertamento che ha originato il presente procedimento, a nulla rilevando la circostanza che, successivamente a questo - ossia nel febbraio 2018 -, gli imputati abbiano presentato una domanda di sanatoria poiché la stessa non può affatto essere interpretata come volontà o intento di persistere nell'abusivismo ma, al contrario, di riportare la situazione di fatto alla legalità estinguendo il reato, anche a voler prescindere dal rilievo che e, comunque, tale iniziativa interveniva dopo che era già trascorso più di un quinquennio dalla cessazione dei lavori e della desistenza dalla loro prosecuzione.
Le considerazioni che precedono determinano l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata essendo il reato contestato ai ricorrenti estinto per intervenuta prescrizione, dovendo ritenersi assorbite le ulteriori questioni prospettate dalla difesa, con riferimento al parere preventivo dell'0S.09.2020 rilasciato dalla Regione Siciliana, Dipartimento Regionale Tecnico - Servizio Ufficio del Genio Civile di Messina, dal contenuto richiamato in premessa.
Per le medesime ragioni, assorbito deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, peraltro in sé inammissibile per genericità del suo contenuto.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è
estinto per prescrizione.