Il Tribunale di Trani accoglie la domanda cautelare avanzata da un padre che ha visto sul profilo social della coniuge, da cui era legalmente separato, le immagini e i video ritraenti la figlia minore pubblicati senza il suo consenso.
Il protagonista della vicenda è un padre che propone reclamo contro l'ordinanza con cui il Tribunale di Trani aveva dichiarato inammissibile il ricorso
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 6.7.2021 DM ha proposto reclamo avverso l'ordinanza n. 1544/2021 del giudice monocratico del Tribunale di Trani, depositata il g 18.6.2021, e comunicata il 22.6.2021, con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 700 c.p.c., proposto dall'odierno istante per la condanna di MB coniuge da cui è legalmente separato a partire dal 2019, alla rimozione dai social network ed inibizione di pubblicazione di immagini e video della figlia minore A, nata il (omissis) 2011, in quanto pubblicati senza il consenso del padre. In particolare, il Tribunale ha fondato la decisione di inammissibilità sulla mancata indicazione del giudizio di merito che il ricorrente in primo grado avrebbe intrapreso in caso di accoglimento della domanda cautelare.
A sostegno del gravame, il reclamante ha rilevato che l'ordinanza impugnata sarebbe fondata sulla non corretta interpretazione della disciplina del provvedimento cautelare atipico e del contenuto del ricorso, da cui era possibile evincere l'instauranda azione di merito. Tutto ciò premesso, ha chiesto la revoca dell'ordinanza reclamata ed il conseguente accoglimento della domanda di cautelare, il tutto con vittoria delle spese della doppia fase processuale.
La reclamata, nonostante la regolare notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione di udienza, avvenuta il 26.7.2021 all'indirizzo pec del procuratore costituito nella fase cautelare, non ha inteso partecipare al gravame.
All'udienza del 24.8.2021 il Collegio, udita la discussione orale del procuratore di parte reclamante, si è riservato per la decisione.
Motivi della decisione
Il proposto reclamo può trovare accoglimento per le ragioni di seguito indicate.
In via generale, la necessità della formulazione, nel ricorso cautelare, dell'eventuale azione di merito è stata desunta dalla giurisprudenza in via di interpretazione teleologica al fine di consentire al Giudice adito il controllo della propria competenza, la verifica del rapporto di strumentalità fra la tutela cautelare richiesta e l'azione di cognizione i cui effetti si intende anticipare o assicurare provvisoriamente ed infine la calibrazione dell'istruttoria in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto.
A più riprese la giurisprudenza di merito ha affermato che "La mancata indicazione nel ricorso cautelare delle conclusioni di merito comporta l'inammissibilità dello stesso, sempre che dal tenore dello stesso non sia possibile dedurre chiaramente il contenuto del futuro giudizio di merito; in altre parole, il ricorso contenente una domanda cautelare proposta prima dell'inizio della causa di merito deve contenere l'esatta indicazione di quest'ultima o, almeno, deve consentirne l'individuazione in modo certo, in quanto solo tale indicazione consente di accertare il carattere strumentale, rispetto al diritto cautelando, della misura richiesta'' (si veda, Trib. Roma, 16.4.2020; Trib. Lodi, 23.8.2019; Trib. Torino, 15.1.2018).
Tale orientamento è stato fatto proprio dal Giudice della cautela il quale ha fondato la propria decisione sulla scorta della mancata indicazione, neppure di massima, da parte del ricorrente dell'eventuale instauranda azione di merito.
Non può però prescindersi dal dato sistematico in quanto alcuna norma positiva sanziona con la nullità o l'inammissibilità l'omessa indicazione del contenuto della causa di merito futura.
Conseguentemente, in distoma con il suindicato orientamento, deve ritenersi che la sola mancata indicazione nel ricorso ex art. 700 c.p.c. delle conclusioni di merito non potrebbe comportare l'inammissibilità dello stesso se dal suo tenore complessivo fosse possibile dedurre il contenuto del futuro giudizio.
In altri termini, poiché tale elemento costituisce semplicemente un requisito di carattere teleologico, ricavato sistematicamente in funzione dello scopo dell'atto, è evidente che non occorre il rispetto di formule solenni e sacramentali, e neppure l'esposizione di precise conclusioni di merito (che in molti casi risulterà addirittura impossibile formulare); è invece sufficiente, nella prospettiva del conseguimento dello scopo dell'atto (art. 156, commi 2 e 3 c.p.c.) che dal ricorso sia possibile desumere con sufficiente precisione il tenore della domanda di merito a cui la tutela cautelare invocata risulta preordinata.
Tale conclusione tiene conto delle peculiarità della fattispecie in esame in cui vi è totale coincidenza fra il tenore della richiesta cautelare e il contenuto della pronuncia di merito futura (condanna alla rimozione dei video e foto pubblicati sui profili social della madre e inibizione, per il futuro, alla pubblicazione di ulteriori senza il consenso del padre ) che è lecito evincere dall'intero ricorso, letto secondo buona fede e ragionevolezza. Appare, infatti, evidente che il ricorrente mira ad ottenere ora, urgentemente e in sede cautelare, quella stessa pronuncia che potrebbe richiedere poi in sede di ordinaria cognizione.
Inoltre tale interpretazione, più attenta all'aspetto sostanziale, è coerente con la nuova disciplina dei provvedimenti cautelari atipici a contenuto anticipatorio, introdotta dal D.L. n. 35/2005 e caratterizzata dalla forte attenuazione per i provvedimenti anticipatori del c.d. vincolo di strumentalità, con conseguente non necessità di instaurazione del giudizio di merito. Il referente normativo della natura eventuale della fase a cognizione piena è rappresentato dal sesto comma dell'art. 669 octies c.p.c., che esclude l'applicabilità dell'art. 669 novies primo comma c.p.c. ( inefficacia del provvedimento cautelare a seguito di mancata instaurazione del giudizio di merito entro il termine perentorio fissato dal giudice della cautela e comunque oltre i sessanta giorni) per i "provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito".
Per tali ragioni, dunque, il reclamo deve essere accolto con riforma integrale del provvedimento impugnato.
Passando all'esame del merito, la domanda proposta in primo grado può trovare accoglimento, sussistendo entrambi i requisiti per la concessione della tutela cautelare. Appare opportuno ribadire, come già precisato da questo Tribunale in analoga fattispecie, che "i requisiti del fumus e del periculum vengono valutati anche tenendo conto di elementi quali la territorialità della rete, che consente agli utenti di entrare in contatto ovunque, con chiunque, spesso anche attraverso immagini e conversazioni simultanee, nonché la possibilità, insita nello strumento, di condividere dati con un pubblico indeterminato, per un tempo non circoscrivibile" ( Trib. Trani, ord. 7.6.2021). Il fatto storico è incontestato, in quanto la stessa B , nella comparsa di costituzione e risposta in primo grado (depositata il 4.6.2021) non ha negato di aver postato i video della minore A sul social network Tiktok a partire dal maggio 2020. Tale comportamento integra violazione di plurime norme, nazionali, comunitarie ed internazionale art. 10 c. c. (concernente la tutela dell'immagine), artt. l e 16 I co. della Convenzione di New York del 20.1111989 ratificata dall'Italia con L. n. 176/1991 (in particolare, l'art. 16 prevede l'applicazione delle norme della convenzione ai minori di anni diciotto mentre l'art. 16 stabilisce che "nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. 2. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti"); art. 8 Reg. 679/2016 ( entrato in vigore il 25.5.2018) che considera I' immagine fotografica dei figli dato personale, ai sensi del c.d. Codice della Privacy ( e specificamente dell'art. 4, lett. a), b) c) D.Lgs n. 196/20039 e la sua diffusione integra un'interferenza nella vita privata, sicchè nel caso di minori di anni sedici, è necessario che il consenso alla pubblicazione di tali dati sia prestato dai genitori, in vece dei propri figli, concordemente fra loro e senza arrecare pregiudizio all'onore, al decoro e alla reputazione dell'immagine del minore (art. 97 L.n. 633/41). In tale prospettiva, il legislatore italiano, all'art. 2 quinquies del D.Lgs. 1O1/2018 ha fissato il limite di età da applicare in Italia a 14 anni.
Nel caso di specie non vi è prova del consenso del padre alla pubblicazione di tali video.
Non può trovare accoglimento la tesi difensiva della B secondo cui il D era a conoscenza della pubblicazione degli stessi avendo egli accesso al profilo della moglie. La possibilità di visionare un profilo social non equivale ad accettazione della pubblicazione di video e foto ritraenti la figlia minore. La proposizione del ricorso cautelare, seppur a distanza di qualche mese dalla pubblicazione, è espressione del dissenso, i.e. mancato consenso, del genitore.
Né può tener luogo del consenso l'intervenuta transazione del 22.4.2021 regolante aspetti patrimoniali dei rapporti familiari e non contenente alcun riferimento alla pubblicazione di foto e video sui social da parte dei due genitori.
È inoltre incontestato che la minore A . al momento della pubblicazione dei video e foto aveva circa nove anni.
Oltre al prospettato fumus boni iuris sussiste, altresì, il periculum in mora, in quanto, come precisato dalla giurisprudenza di merito, "l'inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-fine, non potendo inoltre andare sottaciuto !'ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-fine dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati. Dunque, il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social network sicché l'ordine di inibitoria e di rimozione va impartito immediatamente" (cfr. Trib. Mantova, 19.9.2017). Alla luce delle suesposte considerazioni, dunque, il provvedimento gravato deve essere integralmente riformato con conseguente accoglimento della domanda cautelare e condanna di BM relative alla minore AD alla rimozione dai propri profili social delle immagini ed alla contestuale inibitoria dalla futura diffusione di tali immagini, in assenza del consenso di entrambi i genitori.
Infine, merita accoglimento la richiesta di condanna ex art. 614 bis c.p.c., tenuto conto della necessità, nella vicenda in esame, di tutelare l'integrità della minore e l'interesse ad evitare la diffusione delle proprie immagini a mezzo web nonché, in quanto collegato a questo, dell'interesse del genitore a cui spetta pretendere il rispetto degli obblighi sopra sanciti.
L'accoglimento del reclamo impone una nuova statuizione sulle spese da porsi a carico della reclamata soccombente e da liquidarsi in dispositivo, secondo lo scaglione valoriale, previsto dal D.M. n. 55/2014 e s.m.i. per le controversie di non particolare complessità (da € 5.200,00 a 26.000,00) e con esclusione della fase istruttoria, tenuto conto della natura documentale del procedimento.
P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando sul reclamo avverso l'ordinanza del giudice monocratico del Tribunale di Trani n. 1544/2021 depositata il 18.6.2021 e comunicata il 22.6.2021 nel procedimento iscritto al n. 3445/2021 R.G.A.C.C., proposto da DM con ricorso depositato il 6.7.2021, così provvede:
1. accoglie il reclamo e, per l'effetto, riforma integralmente il provvedimento impugnato;
2. sempre per l'effetto, in accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c., dispone che BM provveda, entro il X alla rimozione di immagini, informazioni, dati relativi alla minore AD inseriti su social networks, comunque denominati;
3. inibisce dal momento della comunicazione del presente provvedimento a BM la diffusione sui social networks, comunque denominati, e nei mass media delle immagini, delle informazioni e di ogni dato relativo alla minore DA, assenza dell'espresso consenso di DM;
4. determina ex art. 614-bis c.p.c., nella misura di € 50,00, la somma dovuta da BM , per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'ordine di rimozione nonché per ogni episodio di violazione dell'inibitoria, in favore della minore, da versarsi su conto corrente intestato alla medesima;
5. condanna BM a rifondere a DM le spese della fase cautelare e di quella del reclamo, che si liquidano in complessivi € 250,00 per esborsi ed € 1.500,00 per onorari, oltre rimborso fo1fettatio del 15% delle spese generali, CPA e IVA, come per legge.