
Inammissibile il ricorso dell'imputato che sosteneva di svolgere mansioni prive di carattere discrezionale e di autonomia decisionale presso un ente pubblico. Per la Cassazione, la qualifica pubblicistica dell'attività prescinde dalla natura pubblica dell'impiego e dalla natura dell'ente in cui è inserito il soggetto.
Un dipendente di un ente pubblico economico propone ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte d'Appello di Salerno per aver ricondotto i fatti a lui addebitati al reato di peculato e non a quello di appropriazione indebita di somme di denaro. Il ricorrente sosteneva di non avere la qualifica soggettiva di...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto T. T. dal reato continuato di falso materiale in atto pubblico (capo b) ed ha confermato il giudizio di responsabilità per il reato di peculato per i fatti successivi al 5.11.2007 fino al 3.8.2015.
All'imputato, dipendente del CF. - ente pubblico economico costituito dagli enti comunali di Salerno, Cava dei Tirreni, Scafati, Eboli, Baronissi e Capaccio- è contestato di essersi appropriato in 93 occasioni di somme di denaro, di cui aveva la disponibilità per ragioni dell'ufficio, sottraendole dal conto corrente del CF. attraverso bonifici da lui emessi a suo favore; l'imputato avrebbe avuto anche la disponibilità delle password per effettuare operazioni bancarie e bonifici con modalità on line sul conto corrente del CF.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato articolando un unico motivo con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla qualificazione dei fatti ed alla loro riconducibilità al reato di peculato e non a quello di appropriazione indebita.
Il tema attiene alla qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio; la tesi difensiva è che l'imputato, assunto con qualifica professionale di livello B1 del C.C.N.L., avrebbe svolto mansioni di ordine, meramente esecutive e, quindi, prive di carattere discrezionale e di autonomia decisionale.
L'imputato sarebbe stato addetto alla compilazione dei modelli CUD, 770, DMO, F24 ed al relativo pagamento ed avrebbe compiuto un'attività dì ordine, di operazioni standardizzate, seriali e prive di impegno ideativo (l'esecuzione dei bonifici relativi alle retribuzione da erogare al personale del CF.).
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Come già rilevato da questa Corte, con la riformulazione degli artt. 357e 358 cod. pen. ad opera della legge 26 aprile 1990, n. 86, è stato definitivamente positivizzato il superamento della concezione soggettiva delle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, che privilegiava il rapporto di dipendenza dallo Stato o da altro ente pubblico, con l'adozione di una prospettiva funzionale-oggettiva, secondo il criterio della disciplina pubblicistica dell'attività svolta e del suo contenuto.
Ciò che è necessario accertare, ai fini dell'assunzione della qualifica di pubblico ufficiale, è l'esercizio di una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Tale ultima funzione è stata specificamente definita al secondo comma dell'art. 357 cod. pen., introdotto dalla legge 7 febbraio 1992, n. 181, attraverso specifici indici di carattere oggettivo che consentono di delimitare la funzione pubblica, verso l'esterno, da quella privata e, verso l'interno, dalla nozione di pubblico servizio.
Si definisce, infatti, pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, C., definisce tali quelle attinenti all'organizzazione generale dello Stato) e da atti autoritativi e caratterizzata, nell'oggetto, dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o, nelle modalità di esercizio, dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi (Sez. U, n. 7958 del 27/03/1992, D.).
Come emerge dall'impiego nel testo della norma della disgiuntiva "o", in luogo della congiunzione "e", i suddetti criteri normativi di identificazione della pubblica funzione non sono tra loro cumulativi, ma alternativi.
E' stato, inoltre, precisato che nel concetto di poteri "autoritativi" rientrano non soltanto i poteri coercitivi ma tutte quelle attività che sono esplicazione di un potere pubblico discrezionale nei confronti di un soggetto che viene a trovarsi così su un piano non paritetico - di diritto privato - rispetto all'autorità che tale potere esercita; rientrano, invece, nel concetto di "poteri certificativi" tutte quelle attività di documentazione cui l'ordinamento assegna efficacia probatoria, quale che ne sia il grado (Sez. U, D.).
La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, attribuito rilevanza anche all'esercizio di fatto della pubblica funzione, purchè questo non sia usurpato, ma accompagnato dall'acquiescenza, dalla tolleranza o dal consenso, anche tacito, dell'amministrazione (Sez. 6, n. 19217 del 13/01/2017, C., Rv. 270151).
Non occorre, dunque, un'investitura formale se vi è, comunque, la prova che al soggetto sono state affidate effettivamente delle pubbliche funzioni. (In senso conforme, si veda anche Sez. 6, n. 34086 del 26/07/2013, S., Rv. 257035 con riferimento all'assunzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio del soggetto che, di fatto, svolge delle attività diverse da quelle inerenti alle mansioni istituzionalmente affidategli).
L'attività dell'incaricato di pubblico servizio, secondo la definizione contenuta al successivo art. 358 cod. pen., è ugualmente disciplinata da norme di diritto pubblico, ma presenta due requisiti negativi in quanto manca dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione, con la quale è in rapporto di accessorietà e complementarietà, e non ricomprende le attività che si risolvono nello svolgimento di mansioni di ordine o in prestazioni d'opera meramente materiale.
Si tratta, dunque, di un un'attività di carattere intellettivo, caratterizzata, quanto al contenuto, dallo svolgimento di compiti di rango intermedio tra le pubbliche funzioni e le mansioni di ordine o materiale.
Quale diretta conseguenza del criterio oggettivo-funzionale adottato dal legislatore, la qualifica pubblicistica dell'attività prescinde dalla natura dell'ente in cui è inserito il soggetto e dalla natura pubblica dell'impiego.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, da tempo affermato che anche i soggetti inseriti nella struttura organizzativa di una società per azioni possono essere qualificati come pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l'attività della società sia disciplinata da norme di diritto pubblico e persegua delle finalità pubbliche sia pure con strumenti privatistici (da ultimo, Sez. 6, n. 19484 del 23/01/2018, B., Rv. 273781).
Rileva l'attività dell'ente e, posto che questa abbia caratteri pubblicistici, quale sia in concreto l'attività compiuta dal soggetto (in tal senso, Sez. 6, n. 39434 del 26/03/2019, P., Rv. 277366).
3. I Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi indicati spiegando come l'imputato, impiegato del CF., non solo fosse addetto all'attività di pagamento degli stipendi di tutti i dipendenti e dei fornitori del CF., ma fosse tenuto anche a rendicontare i pagamenti effettuati.
Dunque, si è fatto correttamente rilevare, all'imputato non erano affatto attribuite attività meramente materiali o di ordine, essendogli state assegnati mansioni che presupponevano la gestione del denaro in relazione ai rapporti tra l'ente e soggetti terzi fornitori e che imponevano un obbligo di rendicontazione, obiettivamente incompatibilmente con l'assunto difensivo.
4. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000.
L'imputato deve essere altresì condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile, CF. in questo giudizio , che si liquidano in euro 3510 oltre spese generali nella misura del 15% Iva e Cap.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna inoltre il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile, CF., in questo giudizio, che si liquidano in euro 3.510, oltre spese generali nella misura del 15% Iva e Cap.