Sbaglia la Corte d'Appello a ritenere che l'attività di potatura sia riservata al proprietario delle piante ex art. 896 c.c.. Secondo la Cassazione, il vicino ha diritto di chiedere la condanna del proprietario ad eseguirne la potatura ovvero ad eseguire la medesima a spese del proprietario che non vi provvede.
L'attrice conveniva dinanzi al Tribunale di Catania le proprietarie di un appezzamento di terreno confinante con il suo, chiedendo la condanna al pagamento della somma necessaria per provvedere alla potatura delle piante insistenti sul confine tra le due proprietà nonché al risarcimento del danno cagionato sul fondo dell'attrice. In...
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 21.4.2004 N. M. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Mascalucia, F. M., S. M. e S. C., proprietarie di un appezzamento di terreno confinante con quello dell'attrice, invocandone la condanna al pagamento della somma necessaria per provvedere alla potatura di alcune piante insistenti sul confine tra le due proprietà ed al risarcimento del danno cagionato dalla prospicienza dei rami di dette essenze sul fondo dell'attrice.
Nella resistenza delle convenute il Tribunale, con sentenza n. 15/2010, accoglieva la domanda, ordinando alle convenute di provvedere alla potatura delle piante di cui è causa.
Queste ultime interponevano appello avverso la predetta decisione, lamentando in particolare la violazione dell'art. 112 c.p.c., perché il Tribunale, a fronte di una domanda di risarcimento per equivalente, aveva pronunciato condanna risarcitoria in forma specifica, in tal modo incorrendo in vizio di ultrapetizione.
Con la sentenza impugnata, n. 843/2016, emessa nella resistenza dell'originaria attrice, la Corte di Appello di Catania accoglieva il gravame, rigettando la domanda proposta dalla N. M..
Quest'ultima propone ricorso per la cassazione di detta sentenza, affidandosi ad un unico motivo.
Resistono con controricorso F. M., S. M. e S. C..
La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell'adunanza camerale.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo, la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 896 e 2058 c. c., perché la Corte etnea avrebbe erroneamente rigettato la domanda proposta con l'atto di citazione introduttivo del giudizio di merito, omettendo di esaminarla nel merito.
La censura è fondata.
La Corte distrettuale, invero, ha dato atto che la N. M. aveva richiesto, in prime cure, "un risarcimento, sostanzialmente, per equivalente" ed ha ritenuto che il Tribunale avesse errato nel condannare i convenuti -a fronte di detta domanda- ad un tacere specifico, rappresentato dall'esecuzione della potatura delle piante poste a confine tra i due fondi. In tal modo, infatti, il giudice di prima istanza avrebbe attribuito alla parte attrice "... un bene della vita diverso da quello richiesto (extra petitum)" (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Il giudice di appello ha poi proseguito affermando che la modifica della domanda originaria, da risarcimento per equivalente in risarcimento in forma specifica, non sarebbe stata comunque possibile, poiché "... mentre è ammissibile la richiesta (anche in appello) del risarcimento per equivalente invece de/l'esecuzione in forma specifica, trattandosi di riduzione della domanda originaria, deve essere negata, invece, la facoltà inversa (arg. Cass. 10624/96 e 1636/83)" (cfr. pag. 5 della sentenza). Infine, la Corte siciliana ha rigettato la domanda proposta dalla N. M., sul presupposto che l'art. 896 c. c. non autorizzerebbe il vicino a tagliare i rami protesi sul suo terreno, riservando tale facoltà al proprietario della pianta; dal che deriverebbe, secondo la Corte territoriale, l'impossibilità per il giudice di condannare detto proprietario a pagare al vicino la somma occorrente ad eseguire la potatura.
Con tale ragionamento, che si dimostra erroneo sotto diversi profili, la Corte di Appello ha finito per non assumere alcuna statuizione sulla domanda proposta dalla N. M., che chiaramente tendeva ad ottenere la potatura delle piante i cui rami si protendevano sulla sua proprietà, causandole pregiudizio.
In primo luogo, occorre evidenziare che la domanda della N. M. non aveva soltanto un contenuto risarcitorio, come ritenuto dalla Corte distrettuale, ma tendeva ad ottenere la tutela dello specifico diritto previsto dall'art. 896 c. c.
In secondo luogo, la Corte territoriale è incorsa in irriducibile contrasto logico, poiché prima ha affermato che la domanda della N. M. poteva essere introdotta o in forma specifica o per equivalente, e poi - dopo aver configurato la domanda di condanna delle proprietarie del terreno su cui la pianta insiste al pagamento della spesa occorrente per la sua potatura in termini di domanda per equivalente - ha omesso di esaminarne la fondatezza. La Corte isolana, infatti, ha ritenuto che la domanda della N. M. non potesse essere esaminata nel merito, sul presupposto che la potatura delle piante costituisca un'attività riservata al proprietario di queste ultime.
In tale ultima affermazione si annida un ulteriore errore, poiché l'art. 896 c. c. non riserva affatto la potatura della pianta a favore del suo proprietario, ma si limita a prevedere che "Quegli sul cui fondo si protendono i rami degli alberi del vicino può in qualunque tempo costringerlo a tagliarli ...". In base alla formulazione della norma, dunque, il vicino può agire per invocare la condanna del proprietario dell'essenza ad eseguirne la potatura, esercitando in tal modo una domanda di tutela in forma specifica; ma può anche agire per essere autorizzato dal giudice ad eseguire la potatura predetta, a spese del vicino che non vi provveda, formulando in tal guisa un'istanza di tutela per equivalente.
Ed infine, il ragionamento complessivamente seguito dalla Corte etnea ha finito per condurre quest'ultima ad un approdo illogico, poiché sulla domanda proposta dalla N. M., pur ritenuta in astratto ammissibile, non è stata assunta, in concreto, alcuna decisione.
Viceversa, una volta ritenuto che l'odierna ricorrente avesse proposto una istanza di tutela per equivalente, e ravvisato che su detta domanda il Tribunale avesse erroneamente pronunciato condannando la parte convenuta ad un tacere specifico, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto statuire sulla fondatezza, o meno, della domanda per equivalente in concreto proposta dall'originaria attrice.
Da quanto precede deriva l'accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Catania, in differente composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Catania, in differente composizione.