…deve essere valutata in modo oggettivo. Nel caso in esame, sbaglia la Corte d'Appello a rigettare l'eccezione sollevata dalla parte valorizzando gli elementi rappresentanti il quomodo della convivenza.
La Corte d'Appello di Roma accoglieva la domanda attorea dichiarando l'efficacia nella Repubblica italiana della sentenza del Tribunale ecclesiastico con cui aveva dichiarato nullo il matrimonio contratto tra l'attore e la convenuta per difetto di discrezione di giudizio in relazione ai diritti e i doveri...
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 12 dicembre 2017, in accoglimento della domanda di F. B., ha dichiarato efficace nella Repubblica italiana la sentenza del Tribunale ecclesiastico dell’8 luglio 2015 che aveva dichiarato nullo il matrimonio concordatario da lui contratto con S. D. il 24 aprile 2004, per difetto di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri nascenti dal matrimonio; ha rigettato l’eccezione sollevata dalla S. D. di contrarietà della sentenza ecclesiastica all’ordine pubblico in ragione della convivenza ultratriennale con il F. B. e la sua domanda di attribuzione di un contributo economico ex art. 129 e 129 bis c.c. Ad avviso della Corte, la convivenza matrimoniale, pur protrattasi per circa cinque-sei anni, non integrava una vera convivenza e, quindi, era priva di «capacità sanante di eventuali vizi genetici del matrimonio-atto».
Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione la S. D. sulla base di cinque motivi e, con atto successivo, il PG presso la Corte di cassazione sulla base di cinque motivi. Il F. B. resiste con controricorso e memorie.
Il PG ha presentato requisitoria scritta chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
Entrambi i ricorsi, da esaminare congiuntamente, meritano accoglimento nei seguenti termini.
La convivenza ultratriennale costituisce un fatto integrativo dell’ordine pubblico e, in tal senso, impeditivo del riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica; opera su eccezione di parte, sulla quale ricade il relativo onere probatorio (cfr. Cass SU n. 16379 del 2014 e successive); spetta alla Corte d’appello dare conto adeguatamente della esistenza o non esistenza della convivenza, ai fini del giudizio sulla fondatezza o infondatezza dell’eccezione.
La valutazione del giudice di merito dev’essere immune, non solo, da errores in iudicando, ma anche da vizi nell’accertamento dei fatti di causa, deducibili in sede di legittimità nei limiti consentiti dal mezzo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.
La sentenza impugnata è censurabile per entrambi i profili.
La Corte territoriale, da un lato, ha affermato che «la parte convenuta [S. D.] ha allegato e dimostrato, tramite il ricorso e decreto di omologa della separazione consensuale, che tra i coniugi si è realizzata una convivenza per circa cinque/sei anni (dalla celebrazione del matrimonio nell’aprile 2004 al deposito del ricorso per separazione nel luglio 2010, nel quale i coniugi davano atto della cessazione della coabitazione già intervenuta risalendo la crisi coniugale all’autunno 2009)» (pag. 6); dall’altro, ha concluso nel senso che la relazione tra i coniugi non fosse idonea ad integrare i caratteri di una vera convivenza e, quindi, una ragione di ordine pubblico impeditiva dell’efficacia della sentenza ecclesiastica nell’ordinamento italiano. E ciò perché la convivenza non aveva «rivestito i connotati di reciproco affetto, comune consuetudine di vita e progettualità familiare condivisa» (pag. 7).
Nel giungere a tale conclusione la Corte ha valorizzato elementi caratterizzanti il quomodo della convivenza, in termini di positiva realizzazione della vita coniugale, inerenti alla sfera intima della relazione di coppia e dei sentimenti individuali di ciascun coniuge, per giunta riferibili alla fase della crisi coniugale (come si desume dal passo della sentenza in cui si riferisce che «gli stessi coniugi in sede di ricorso per separazione specificavano che l’unione matrimoniale era stata caratterizzata da una “apparente serenità familiare”», a pag. 7).
E’ una motivazione apparente e perplessa, dunque censurabile ex art. 360 n. 5 c.p.c., e viziata in diritto.
L’indagine da compiere ai fini del giudizio delibatorio è volta a dare conto della esistenza (nell’an) di una convivenza in senso oggettivo, protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio, dovendosi valorizzare anche il fatto potenzialmente decisivo (e invece non esaminato) della nascita di una figlia dall’unione coniugale nel 2004. In tal senso la sentenza impugnata è dissonante rispetto al principio secondo cui la Corte d’appello, giudicando sull’eccezione di convivenza quale causa di ordine pubblico ostativa al riconoscimento dell’efficacia nell’ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, deve accertare l’esistenza di una stabile convivenza protrattasi per oltre tre anni, oggettivamente intesa, in attuazione degli obblighi assunti con il vincolo del matrimonio (art.143 c.c.).
E’ inoltre errata l’affermazione secondo cui l’esistenza di una convivenza effettiva tra i coniugi avrebbe potuto (e dovuto) essere dedotta dalla convenuta solo nel giudizio ecclesiastico per paralizzare l’azione di nullità del matrimonio. La Corte territoriale, laddove imputa alla S. D. di non avere in quel giudizio contestato l’accertamento della vicenda coniugale compiuto dai giudici ecclesiastici (i quali avevano rilevato una convivenza «contrassegnata da totale assenza di intesa e di dialogo costruttivo», a pag. 7) poiché solo in quella sede «avrebbe potuto e dovuto rappresentare la propria versione circa la complessiva vicenda coniugale», entra in collisione con il principio secondo cui, ove la parte deduca la contrarietà all’ordine pubblico della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, invocando la convivenza pluriennale, quale motivo di ordine pubblico ostativo al riconoscimento della sentenza stessa, appartiene al giudizio delibatorio rimesso alla Corte d’appello accertare in autonomia la natura e durata della convivenza mediante adeguata istruttoria (cfr. Cass. n. 17379 del 2020).
In conclusione, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello per un nuovo esame e per le spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie i ricorsi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.