Nella sentenza in commento, la Cassazione afferma un nuovo principio di diritto stabilendo il momento in cui inizia a decorrere l'esecuzione della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici.
Nel caso di specie, la Corte d'Appello respingeva la richiesta dell'imputato finalizzata ad ottenere la declaratoria di estinzione della sanzione interdittiva dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, poiché già espiata per decorso del lasso di tempo quinquennale dalla irrevocabilità della sentenza.
In sede di ricorso,...
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 10 marzo 2021 la Corte di appello di Cagliari, pronunciando quale giudice dell'esecuzione, accoglieva parzialmente la richiesta avanza da P. T., giudicato con sentenza della medesima Corte dell'l luglio 2013, irrevocabile l'l luglio 2014, e condannato alla pena complessiva di anni cinque e mesi quattro di reclusione per i delitti di cui agli artt. 81 cpv., 629 e 609- bis cod. pen., e, per l'effetto, revocava la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici e la sostituiva con l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque ai sensi dell'art. 29 cod. pen. Respingeva, invece, la richiesta volta ad ottenere la declaratoria di estinzione della predetta sanzione perché già espiata per decorso del lasso di tempo di anni cinque dalla irrevocabilità della sentenza di condanna.
2. Ricorre per cassazione P. T. per il tramite del difensore, avv.to F. L. S., il quale ha chiesto l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato in quanto inficiato da erronea applicazione della legge processuale penale e da illogicità e contraddittorietà della motivazione. Secondo il ricorrente, gli arresti giurisprudenziali citati nell'ordinanza non consentono che l'esecuzione della pena accessoria avvenga senza atti di iniziativa del Pubblico Ministero, che nel caso non ricorrono. In realtà, poiché l'imputato non è pubblico dipendente, ma esercita una libera professione, i riferimenti operati dalla Corte di appello non sono pertinenti perché la condanna a pena detentiva superiore a cinque anni ha comportato in perpetuo ed ipso iure lo status irreversibile di soggetto impossibilitato ad esercitare pubblici uffici. Pertanto, ritenere che l'esecuzione della pena accessoria non sia mai iniziata costituisce una assurdità giuridica e morale; al contrario, deve constatarsi che qualunque forma di interdizione, che sia da un'arte, da una professione, dalla capacità di contrattare con la pubblica amministrazione o anche, più semplicemente, dal porre in essere atti giuridicamente rilevanti, non può dipendere nella sua concreta attuazione dall'attività del P.M., in quanto operante giuridicamente con la decisione definitiva che la dispone.
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. Fulvio Baldi, ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata per la fondatezza del motivo col quale il ricorrente ha dedotto la violazione di legge nella parte in cui è stata disposta l'applicazione della pena 'accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici in assenza di richiesta da parte del pubblico ministero.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e non merita, dunque, accoglimento.·
1. In via preliminare si ritiene opportuno focalizzare l'attenzione sulla. formulazione della domanda che il condannato aveva rivolto al giudice dell'esecuzione.
1.1. Sul presupposto della riportata condanna irrevocabile alla pena complessiva di anni cinque e mesi quattro di reclusione per i reati di cui agli artt. 629 e 609-bis cod. pen. frutto dell'unificazione per continuazione tra il reato di maggiore gravità, quello di cui all'art. 629 cod. pen. punito con pena di anni tre e mesi sei di reclusione, e di quello ulteriore di cui all'art. 609-bis cod. pen. sanzionato con anni uno e mesi dieci di reclusione- aveva dedotto l'illegalità della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, disposta con la sentenza di condanna già passata in giudicato, perché non giustificata dall'entità delle pene inflitte per ciascuno dei reati confluiti in quello unico continuato, inferiori ad anni cinque. Aveva dunque sollecitato l'intervento correttivo del giudice dell'esecuzione con la «conseguente rideterminazione della stessa entro i parametri stabiliti dall'art. 29 comma 1 c.p., riportandola alla durata massima di anni cinque, ad oggi peraltro abbondantemente decorsi, essendo intervenuto il giudicato penale in data 01.07.2014, di tal che deve esserne altresì dichiarata l'estinzione».
1.2. L'istanza era quindi finalizzata ad ottenere la sostituzione della pena accessoria illegale con quella prevista per legge dall'art. 29, comma 1, cod. pen. per conseguire poi la declaratoria di estinzione per già avvenuto d corso del periodo di cinque anni a far data dalla formazione del giudicato di condanna, ossia dall'11 luglio 2014.
2 Tanto premesso, contrariamente a quanto ritenuto dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, la doglianza formulata in ricorso non addebita al giudice dell'esecuzione di avere provveduto all'applicazione d'ufficio della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici in assenza di istanze del pubblico ministero, quanto di avere omesso di riscontrarne la già avvenuta espiazione per il decorso di un lasso di tempo pari alla sua durata, decorrente dalla sentenza irrevocabile di condanna. L'assunto difensivo muove dalla considerazione in punto di diritto, per la quale nei confronti di soggetti condannati che non siano pubblici dipendenti l'esecuzione della sanzione complementare di cui all'art. 29 cod. pen. non richiede un'attivazione del pubblico ministero in funzione attuativa del giudicato «in quanto operante giuridicamente in stretta interconnessione con la decisione definitiva che la consacra» (pag. 2 del ricorso), nell'intervallo di tempo fra la data di irrevocabilità della pronuncia e quella del compimento del periodo previsto dalla legge.
3. Osserva il Collegio che l'interdizione dai pubblici uffici, prevista dall'art. 29 cod. pen., è stata applicata in danno di P. T. quale effetto penale della sua condanna alla reclusione per un periodo di tempo non inferiore a tre anni.
3.1 La tesi sostenuta in ricorso intende far coincidere, ai fini della sottoposizione del condannato a pena accessoria interdittiva temporanea, l'esecutività della condanna, ossia la suscettibilità del comando giudiziale di dare luogo all'attuazione concreta della potestà punitiva dello Stato nei riguardi dell'imputato giudicato responsabile, che si realizza al momento del passaggio in giudicato della pronuncia, e la sua effettiva esecuzione, intesa quale applicazione pratica della statuizione che ha stabilito e dosato la punizione del reo. Per il compimento di ultima tale attività l'ordinamento giuridico all'art. 650 cod. proc. pen. stabilisce un termine iniziale coincidente con il momento di acquisita irrevocabilità del titolo di condanna, prescrivendo "salvo che sia diversamente stabilito, le sentenze e i decreti penali hanno forza esecutiva quando sono divenuti irrevocabili", ma non prevede un termine finale, entro e non oltre il quale l'esecuzione della pena debba avere attuazione. Soltanto in riferimento alle sanzioni principali l'onere di procedere ad esecuzione è soggetto al rispetto di un termine, coincidente con quello di prescrizione, previsto dall'art. 172 cod. pen., nel senso che la sottoposizione del condannato alla pena potrà avvenire in qualsiasi momento dalla formazione del giudicato sino a che la stessa non sia estinta per l'inutile decorso del lasso di tempo previsto dalla legge. Ma analoga disciplina non è prevista in riferimento alle pene conseguenti a quelle principali, che, in quanto effetto penale della condanna ai sensi dell'art. 20 cod. pen., non sono soggette a prescrizione (Cass. sez. 6, n. 18256 del 25/02/2015, Z. e altri, rv. 263280; sez. 6, n. 1567 del 01/07/1969, G., rv. 113091) nel difetto di qualsiasi previsione normativa che stabilisca espressamente un regime parallelo a quello cui soggiacciono le pene principali.
3.2 L'assunto difensivo sollecita una revisione dell'orientamento giurisprudenziale, per il quale l'esecuzione delle pene accessorie non è soggetta a termini decadenziali, né di prescrizione e nemmeno all'obbligatoria iniziativa del pubblico ministero, ma prescinde da una seria disamina del quadro normativo di riferimento.
3.2.1. L'unica norma processuale dedicata all'esecuzione delle pene accessorie è l'art. 662 cod. proc. pen., che detta la seguente disposizione generale: «per l'esecuzione delle pene accessorie il pubblico ministero, fuori dai casi previsti dagli artt. 32 e 34 del codice penale, trasmette l'estratto della sentenza di condanna agli organi della polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, e, occorrendo, agli altri organi interessati, indicando le pene accessorie da eseguire. Nei casi previsti dagli artt. 32 e 34 del codice penale, il pubblico ministero trasmette l'estratto della sentenza al giudice civile competente». La disciplina processuale si presenta minima ed essenziale, così come sono poche le pronunce di questa Corte che si sono occupate del tema, il che dà luogo a non poche difficoltà esegetiche.
In linea di principio, e contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, in base al testo letterale della norma può escludersi che l'esecuzione delle sanzioni accessorie avvenga in modo automatico e privo di qualsiasi impulso da parte dell'organo giurisdizionale a ciò preposto, essendo vero esattamente il contrario. Per quanto l'art. 662 cod. proc. pen. non imponga forme tipiche e cogenti per la trasmissione dell'estratto della sentenza di condanna, né stabilisca il momento nel quale si deve dare attuazione alle predette sanzioni, tuttavia pretende che anche la relativa espiazione riceva impulso dall'attivazione del pubblico ministero, che, però, non è sempre indefettibile. L'iniziativa del pubblico ministero, a prescindere dalle modalità concrete con le quali venga adottata, è funzionale a consentire a quanti siano coinvolti nell'esecuzione - forze dell'ordine, pubbliche amministrazioni, enti privati interessati - di avere conoscenza del titolo esecutivo, del suo contenuto, delle prescrizioni inerenti la pena ulteriore rispetto a quella principale. Può accadere, però, che nessuna di queste autorità sia coinvolta, sicchè non vi è necessità per il pubblico ministero di attivarsi a fini esecutivi e ciò si verifica quando la sanzione accessoria consista nell'interdizione dal compimento di attività, rimesse alla volontà del condannato senza che altri organismi o autorità debbano intervenire.
3.2.2. Questa Corte con pronuncia risalente, ma mai contraddetta in seguito, ha affermato che la comunicazione da parte del pubblico ministero procedente dell'estratto della sentenza di condanna non costituisce adempimento imprescindibile per determinare la soggezione del condannato alla punizione accessoria, potendo rivelarsi superfluo nei osi in cui l'operatività della sanzione discenda dalla sua diretta conoscenza da parte del condannato senza sia necessario un intervento attuativo da parte di organi esterni, né di altre pubbliche autorità (Sez. 5, n. 582 del 11/07/2000, B., rv. 218828 in tema di divieto di emissione di assegni).
3.3 Il Collegio non intende censurare tale orientamento, ma ritiene necessario focalizzare l'attenzione sulla specifica natura giuridica dell'interdizione dai pubblici uffici. La tesi difensiva, che la definisce plasticamente "una marchiatura a fuoco", tale da determinare "l'impossibilità concreta e non solo astratta di esercitare pubblici uffici" (pag. 2 del ricorso) ed i cui effetti inibenti conseguirebbero ipso iure dall'irrevocabilità della condanna, pare ignorare il chiaro contenuto dell'art. 28 cod. pen. e l'incidenza limitativa prodotta dall'interdizione, tanto perpetua che temporanea, su una pluralità di situazioni giuridiche soggettive, di cui il condannato è già titolare o che potrebbe acquisire in un momento futuro. L'elencazione dell'art. 28 priva costui di: diritto di elettorato attivo e passivo in qualsiasi comizio elettorale, nonché di ogni altro diritto politico; ogni pubblico ufficio o incarico di pubblico servizio, purché non obbligatorio, e relativa qualità di pubblico ufficiale; uffici di tutore e curatore e di ogni altro ufficio riguardante la tutela e la cura; gradi e dignità accademiche, titoli, decorazioni e pubbliche insegne onorifiche; stipendi; pensioni ed assegni che siano a carico dello Stato o di altri enti pubblici; ogni altro diritto onorifico inerente a qualunque ufficio, servizio, grado o titolo e qualità, dignità e decorazioni indicati in precedenza; capacità di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità, grado, dignità, decorazione e insegna onorifica indicati in precedenza. Le uniche eccezioni sono state introdotte per effetti di due interventi demolitori della Corte costituzionale (sentenze n. 3 del 13 gennaio 1966 e n. 13 del 19 luglio 1968) in riferimento alle situazioni soggettive derivanti da rapporto di lavoro ed inerenti a pensioni di guerra.
E', dunque, testuale nel dettato normativo la previsione dell'incidenza della pena accessoria sulla capacità giuridica del condannato con riferimento, sia ad uffici, servizi, diritti e funzioni che ricopre ed esercita al momento della pronuncia di condanna, sia a quelli che potrebbe assumere nel periodo di durata della sanzione. In questa prospettiva non può ritenersi che sia superflua l'iniziativa promotrice dell'esecuzione da parte del pubblico ministero per essere rimessa alla sola condotta del soggetto sottoposto a pena complementare la relativa esecuzione e l'astensione dal compimento di comportamenti inibiti; né assume rilievo dirimente la circostanza che egli eserciti attività libero-professionale, essendo soggetto anche alla privazione temporanea di altri diritti e prerogative non legati ad essa.
3.4 Resta poi da considerare quanto prescritto dall'art. 139 cod. pen., secondo cui «nel computo delle pene accessorie temporanee non si tiene conto del tempo in cui il condannato sconta la pena detentiva o è sottoposto a misura di sicurezza detentiva, né del tempo in cui egli si è sottratto volontariamente alla esecuzione della pena o della misura di sicurezza». Secondo la norma, che detta il criterio di raccordo cronologico tra le diverse sanzioni irrogate con lo stesso titolo, l'espiazione di pena o di misura di sicurezza detentiva o la volontaria sottrazione da parte del condannato non rilevano ai fini del calcolo della durata della pena accessoria temporanea, che verrà differita rispetto a quella principale, non appena la cessazione dell'esecuzione di quest'ultima lo consentirà. La giurisprudenza di questa Corte al riguardo ha confermato l'interpretazione esposta, secondo la quale la pena accessoria temporanea, che sia inconciliabile con la detenzione presso istituto penitenziario, deve essere eseguita soltanto dopo che sia stata scontata la pena principale detentiva, dipendendo la contestuale esecuzione dalla loro compatibilità (Sez. 1, n. 13499 del 09/03/2011, L., rv. 249865).
Le limitazioni della libertà personale che caratterizzano l'esecuzione della pena detentiva in regime di restrizione carceraria o mediante misure alternative sono di ostacolo all'effettivo esercizio di diritti elettorali, nonché di uffici e servizi pubblici, incarichi di tutela, curatela o amministrazione giudiziaria, sicchè l'espiazione della reclusione o dell'arresto risultano incompatibili con la contemporanea sottoposizione alla pena accessoria di cui all'art. 28 cod. pen.. Ne discende il necessario differimento dell'esecuzione di quest'ultima alla completa espiazione della pena principale detentiva.
Va, dunque, formulato il seguente principio di diritto: «L'esecuzione della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici non decorre in via automatica dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che la infligge all'imputato condannato, ma richiede l'iniziativa di impulso del pubblico ministero secondo la previsione generale di cui all'art. 662, comma 1, cod. proc. pen.».
3.5 Nel caso specifico, il Collegio è impedito dall'assumere qualsiasi decisione al riguardo dalla totale assenza di elementi conoscitivi sui tempi e sulle modalità di esecuzione della pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione, inflitta al ricorrente: si ignora, perché non dedotto, se egli sia stato ristretto in carcere, oppure sia stato ammesso a misura alternativa ed i relativi periodi in cui il rapporto esecutivo ha avuto attuazione concreta.
In tal senso deve riscontrarsi l'aspecificità del ricorso, posto che nessuna concreta indicazione nell'ambito della sua prospettazione, così come anche nell'istanza originaria, è stata fornita a sostegno della compatibilità, di fatto, tra l'esecuzione contestuale delle differenti pene inflittegli e comunque sulla già intervenuta integrale esecuzione di quella principale, in modo da poter stabilire la decorrenza dalla sua cessazione di quella accessoria.
3.6 Tale carenza assume rilievo dirimente anche in relazione alla possibile applicazione del disposto dell'art. 47, comma 12, ord. pen., che nella formulazione attuale prevede una speciale causa di estinzione delle pene accessorie, conseguente all'accertamento dell'esito positivo del periodo di prova conseguente all'affidamento del condannato al servizio sociale, dal quale dipende l'estinzione della pena detentiva e di ogni altro effetto penale "ad eccezione delle pene accessorie perpetue", locuzioni aggiunte dall'art. 1, comma 7, L. 9 gennaio 2019, n. 3. Secondo la linea interpretativa più recente di questa Corte (Sez. 1, n. 52551 del 29/09/2014, A., Rv. 262196 ed in termini conformi Sez. 1, n. 21106 del 15/09/2020, dep. 2021, M., Rv. 281368), "l'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale determina l'automatica estinzione delle pene accessorie, posto che queste sono definite dall'art. 20 cod. pen. "effetti penali" della condanna e che l'art. 47, comma dodicesimo, legge 26 luglio 1975, n. 354, collega all'esito favorevole della prova l'estinzione, oltre che della pena detentiva, anche di "ogni altro effetto penale".
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.