
Secondo la Cassazione, l'art. 5 dello Statuto dei lavoratori non esclude che il datore di lavoro possa accertare i comportamenti del dipendente che, seppur estranei allo svolgimento dell'attività lavorativa, sono rilevanti ai fini del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal posto di lavoro.
Il datore di lavoro intimava ad un dipendente il licenziamento disciplinare, contestandogli, fra i vari addebiti, di essersi messo in malattia per sette giorni come reazione al preannunciato avvio del procedimento disciplinare, nonostante le sue condizioni fisiche gli consentivano di lavorare regolarmente.
La Corte d'Appello di...
Svolgimento del processo
1. In data 3.2.2015 la C. srl intimava al dipendente M. R., addetto a mansioni di conduttore di "macchina continua" per la produzione di carta in bobine, licenziamento disciplinare a seguito di lettera del 24.1.2015 con la quale erano stati contestati i seguenti addebiti: 1) avere omesso, durante il suo turno di lavoro del 10 gennaio 2015, di tenere pulita da scarti e residui la macchina, esponendo la stessa ad inceppamenti o rallentamenti con possibilità di pregiudizio per la produzione; 2) avere prodotto, durante il suo turno di lavoro del 13 gennaio 2015, circa Kg. 2.200 di materiale di scarto tra i quali un'intera bobina che, in difformità alle disposizioni aziendali, veniva portata al macero senza alcuna comunicazione o menzione sul foglio di produzione del turno; 3) avere negato tali circostanze nel corso del colloquio avuto con l'Amministratore Delegato Sig. S. S. il giorno 14 gennaio 2015, ammettendo poi parzialmente l'accaduto una volta acquisita la consapevolezza che l'azienda aveva autonomamente preso adeguata cognizione dei fatti; 4) avere -presumibilmente come reazione al preannunziato avvio di un procedimento disciplinare- simulato uno stato di malattia della durata di 7 giorni, laddove le sue condizioni fisiche erano tali da consentirgli l'esecuzione della prestazione lavorativa.
2. La Corte di appello di Salerno, con la sentenza n. 617 del 2018, in riforma della pronuncia del Tribunale di Nocera dell'S.3.2018, annullava il licenziamento e, per l'effetto, disponeva la reintegrazione del dipendente nel proprio posto di lavoro con le medesime mansioni e qualifiche, nonché condannava la società C. srl al pagamento di una indennità risarcitoria pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre alla regolamentazione contributiva previdenziale ed assistenziale.
3. I giudici di seconde cure, in sintesi, rilevavano la mancanza di ogni elemento probatorio in ordine alla condotta di avere effettuato attività incompatibili con la patologia certificata di lombosciatalgia; per gli altri tre addebiti ritenevano che le incolpazioni rientrassero fra le condotte punibili dal CCNL (art. 39 co. 4), con sanzione conservativa (multa o sospensione dal servizio); quanto alla tutela applicabile, precisavano che al dipendente spettasse quella prevista dall'art. 18 co. 4 St. lav., con reintegrazione nel posto di lavoro e riconoscimento di una indennità risarcitoria che si stimava liquidabile in sei mensilità.
4. Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione la C. srl affidato a tre motivi, cui resisteva con controricorso M. R..
Motivi della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 2106 e 2113 cc, in relazione all'art. 2697 cc nonché la falsa applicazione dell'art. 5 legge n. 300 del 1970, per avere la Corte territoriale, contravvenendo ai principi consolidati in materia, statuito che il controllo sulla effettività dello stato di malattia del lavoratore potesse essere eseguito esclusivamente dal cd. medico fiscale e per avere dichiarato inutilizzabili gli accertamenti svolti al riguardo per il tramite di agenzia investigativa.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione dell'art. 2119 cc, in relazione all'art. 39 co. 6 del CCNL per l'industria della carta, nonché la falsa applicazione dell'art. 39 co. 4 lett. c) del citato CCNL, per avere la Corte di appello, in relazione agli altri addebiti contestati, escluso la ricorrenza della giusta causa esclusivamente in base alla sussunzione delle condotte materiali nelle ipotesi tipizzate dall'art. 39 co. 6 del CCNL di settore, senza però verificare la ricorrenza della giusta causa alla luce della clausola generale dettata dall'art. 2119 cc.
4. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l'omesso esame circa un fatto, decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte territoriale -pur dichiarando di dovere esaminare, ai fini della decisione, tre episodi oggetto di contestazione disciplinare- valutato, invece, nello sviluppo della motivazione, solo due, ignorando completamente il terzo (di essere stato cioè il dipendente reticente e/o avere reso false dichiarazioni relative all'adempimento delle prestazioni lavorative).
5. Il primo motivo è fondato.
6. La Corte di merito, in ordine alla questione della incompatibilità della patologia certificata con le attività svolte dal lavoratore, ha testualmente rilevato: <Il datore di lavoro, invero, non può sostituirsi al professionista sanitario nel compiere valutazioni tecnico-scientifiche del tutto esorbitanti dal proprio potere valutativo e discrezionale. L'unico strumento che consente al datore di effettuare un controllo medico del proprio dipendente consiste nella richiesta rivolta all'INPS di procedere ad una visita fiscale>.
7. Tale affermazione, però, è contraria al principio che si è consolidato in sede di legittimità, cui si intende dare seguito, secondo il quale, in tema di licenziamento per giusta causa, la disposizione di cui all'art. 5 St. lav. che vieta al datore di svolgere accertamenti sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente o lo autorizza a effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non preclude al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l'insussistenza della malattia o la non idoneità di quest'ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa rilevante e, quindi, a giustificarne l'assenza (Cass. n. 25162 del 2014; Cass. n. 11697 del 2020; Cass. n. 6236 del 2001).
8. E' insito in tale giurisprudenza, invero, il riconoscimento della facoltà del datore di lavoro di prendere conoscenza di siffatti comportamenti del lavoratore che, pur estranei allo svolgimento di attività lavorativa, sono rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
9. L'affermazione, in virtù della quale il datore di lavoro non ha la possibilità di verificare aliunde l'effettività dello stato di malattia del lavoratore, non è, pertanto, corretta in punto di diritto di talché sussiste la denunciata falsa applicazione dell'art. 5 della legge n. 300 del 1970.
10. Alla stregua di quanto esposto, la censura di cui al primo motivo relativamente a tale profilo deve essere, pertanto, accolta, assorbita la trattazione degli altri motivi, con cassazione della gravata sentenza in parte qua e rinvio alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi al principio sopra esposto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.