Home
Network ALL-IN
Quotidiano
Specializzazioni
Rubriche
Strumenti
Fonti
29 ottobre 2021
Spaccio di droga: quando si applica l’aggravante di aver commesso il fatto vicino a una scuola?
La definizione di comunità giovanile è fondamentale per poter applicare la relativa aggravante nel reato di spaccio. È la Cassazione a far chiarezza in merito a quale fosse l'intento del Legislatore.
La Redazione

Il caso affrontato dalla Terza sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 39162/2021 depositata oggi, 29 ottobre, riguarda la condanna di 2 persone per i reati di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, ex art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990.

Tra inammissibilità del ricorso di uno dei condannati e infondatezza dei motivi presentati dal secondo reo, spicca la nozione di comunità giovanile. Infatti, viene anche contestata la configurabilità – che i giudici di merito avevano riscontrato - dell'aggravante della commissione del fatto in prossimità di scuole e comunità giovanili, per l'assenza del presupposto della convivenza stabile in un determinato luogo del gruppo di persone.

Quando siamo in presenza di una comunità giovanile?

È proprio questo che la Cassazione ha precisato con la sentenza di oggi. Se da un lato la legge fa riferimento ad una struttura, pubblica o privata, stabilmente destinata ad accogliere giovani, dall'altro, afferma la S.C., «non esige anche il dato della stabile convivenza».

In particolare, l'aggravante ex art. 80, comma 1, lett. g), D.P.R. n. 309/1990 viene applicata:

legislazione

«se l'offerta o la cessione è effettuata all'interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti».

Sembra ragionevole, dunque, secondo i Supremi Giudici, affermare che il legislatore avesse l'intento di reprimere più severamente le condotte di diffusione della droga all'interno on in prossimità di strutture in cui siano presenti, anche potenzialmente, numerosi soggetti “deboli”.

E se manca la consapevolezza del reo di essere in prossimità di comunità giovanili?

Sotto il profilo psicologico, la sentenza chiarisce che non risulta debba sussistere la consapevolezza dell'agente di trovarsi all'interno o in prossimità di uno dei luoghi indicati. Insomma, anche in questo caso si applica la regola generale disposta dall'art. 59, comma 2, c.p., secondo cui le circostanze aggravanti sono imputabili all'agente anche se «ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa».
Documenti correlati