L'omessa concessione del riposo settimanale, diritto costituzionalmente garantito, dà luogo ad una presunzione assoluta di danno contrattuale. Pertanto, il datore di lavoro deve risarcire il danno da usura psico-fisica se non fornisce la prova dell'intervenuto accordo tra le parti sulla questione.
Una società propone ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte d'Appello di Roma con cui era stata condannata a risarcire i propri dipendenti del danno da
Svolgimento del processo
Con sentenza del 2.3.06 il Tribunale di Roma condannava V S.p.A. a pagare in favore di (omissis) l'indennità compensativa del lavoro prestato, per effetto di turnazione, nel settimo e ottavo giorno consecutivo; detta pronuncia veniva riformata dalla Corte distrettuale che rigettava la domanda per difetto della maggiore penosità del lavoro così prestato, sul rilievo che la peculiare turnazione articolata su sette od otto giorni consecutivi fosse stata stabilita proprio per venire incontro a una richiesta dei dipendenti, affinché - lavorandosi oltre il sesto giorno consecutivo - il riposo non coincidesse sempre con lo stesso giorno della settimana, ma potesse essere accorpato con altri giorni di riposo e coincidere anche con il sabato o con la domenica;
Con sentenza n. 17999/2016 questa Corte cassava la summenzionata decisione con rinvio alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, affinchè si attenesse ai seguenti principi di diritto: "Il principio di non contestazione di cui agli artt. 115 e 416 co. 2° c.p.c. non si applica alle mere difese, fra cui rientra anche l'assunto del datore di lavoro di aver stabilito una data turnazione fra i propri dipendenti per venire incontro ad / una loro richiesta".
"In tema di lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, bisogna tenere distinto il danno da usura psico-fisica, conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro, dall'eventuale ulteriore danno biologico, che invece si concretizza in un'infermità determinata da una continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali. Nella prima evenienza, il danno può essere presunto sull'an; il relativo quantum è indennizzabile mediante ricorso a maggiorazioni o compensi previsti dal contratto collettivo o individuale per altre voci retributive."
La Corte capitolina, in sede rescissoria, dichiarava il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno da usura psicofisica che quantificava nella misura di una giornata di retribuzione ordinaria per gli anni 1994-2001, condannando la società alla corresponsione delle somme spettanti ·alla stregua del su enunciato criterio; avverso tale decisione la R s.p.a. (già V s.p.a.) interpone ricorso per cassazione sulla base di due motivi ai quali (omissis) oppongono difese con controricorso; GP , non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 416, 420, 421, 132 c.p.c., 111 Cost. in relazione all'art.360 comma primo n.3 c.p.c., nonché motivazione contraddittoria e insufficiente ex art.360 comma primo n.5 c.p.c.;
Ci si duole che il giudice della fase rescissoria abbia omesso di esercitare i poteri istruttori officiosi che ad esso competevano il relazione al giudizio di rinvio per il quale - alla luce dei principi invalsi nella giurisprudenza di legittimità - detta attività è comunque ammessa in relazione ai fatti. già allegati dalle parti;
Si critica la statuizione con la quale la Corte distrettuale ha ritenuto non dimostrato l'intervenuto accordo fra le parti in ordine alla turnazione articolata su sette e otto giorni consecutivi per soddisfare le proprie esigenze, senza addurre alcuna motivazione in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale articolata sul punto, fondata, peraltro, su un principio di prova scritta di cui alla documentazione versata in atti.
2. Il motivo è privo di pregio; seppure è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio .alla cui stregua nel giudizio di rinvio i limiti all'ammissione delle prove concernono l'attività delle parti e non si estendono ai poteri del giudice, ed in particolare a quelli esercitabili d'ufficio (cfr. Cass. 9/1/2009 n. 341; Cass. 7/2/2006 n. 2605; Cass. 2/9/2004 n.17686), sicchè la preclusione alla proposizione ,di nuove domande o eccezioni e la richiesta di nuove prove, non osta all'esercizio, in sede di rinvio, dei poteri istruttori del giudice e, in particolare, dei poteri istruttori esercitabili d'ufficio dal giudice del lavoro (vedi Cass. 17/1/2014 n.900), non può sottacersi che ad esso compete la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (vedi Cass. 13/6/2014 n. 13485);
Peraltro, l'omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l'assenza di motivazione sul punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito (in termini vedi Cass. 2.9/10/2018 n.27415);
Nello specifico la società, oltre a richiamare un documento di sua provenienza dal quale ritiene si debba desumere l'iniziativa dei lavoratori nella articolazione di turni che comportassero lo svolgimento del lavoro nel settimo ed ottavo giorno, riproduce i capitoli di prova predisposti nel giudizio di prima istanza, volti a corroborare la tesi della riconducibilità ai lavoratori, della libera scelta di seguire tale tipologia di turnazione comportante lo svolgimento di attività di lavoro oltre il sesto giorno consecutivo; ma detta attività istruttoria, che si assume sia stata erroneamente frustrata dal Collegio rescindente, non appare rivestire quel carattere di decisività ed indispensabilità che si traduca nella idoneità a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, la pronuncia impugnata;
Muovendo dalla sentenza 6/9/1996 n.8104 che ha affrontato specificamente i problemi posti dall'azienda ricorrente, deve rilevarsi in primo luogo che il riposo settimanale, necessario, dopo sei giorni consecutivi di lavoro, per il recupero delle energie psico-fisiche, costituisce oggetto di un diritto primario garantito, oltre che dall'art.2109, primo comma, cod.civ., dall'art.36, terzo comma, della Costituzione che ne ha sancito (come per quello alle ferie annuali retribuite) l'irrinunciabilità;
Con la precisazione che la mancata concessione del suddetto riposo da luogo ad una presunzione assoluta di danno (di natura contrattuale, perché frutto di una scelta organizzativa, contrastante con norme imperative, adottata dal datore di lavoro, rispetto alla quale l'eventuale adesione del lavoratore non può aver rilievo di fatto concorrente alla produzione del danno, stante l'irrinunciabilità del diritto leso (vedi Cass. 16/7/1998 n.6895), giacchè l'inderogabilità del diritto non consente di attribuire alcun rilievo alla volontarietà dei comportamenti tenuti dai lavoratori;
Da tanto discende che la mancata concessione del riposo settimanale, con definitiva perdita dello stesso (in quanto dal lavoratore non recuperato in un tempo utile al reintegro delle energie psicofisiche) è illecita, siccome in contrasto con il citato precetto costituzionale; e, in quanto tale, non può essere validamente disciplinata, ne' da clausole di contratto (collettivo o individuale), che sarebbero nulle per contrarietà a norme imperative o, più precisamente, per illiceità dell'oggetto (artt.1418 e 1346 cod.civ.), ne' dalla legge (vedi Cass. 16/7/1998 n.6895, Cass. 14/10/1998 n. 10164, Cass. 21/10/1999 n. 11851);
Le sinora esposte argomentazioni ostano, dunque, all'accoglimento della formulata censura.
2. Il secondo motivo attiene alla violazione e falsa applicazione dell'art.12 preleggi degli artt. 113, 114, 432, c.p.c., 1226 e 2056 c. c. in relazione all'art.360 comma primo n.3 c.p.c., nonché motivazione apparente ed insufficiente ex art.360 comma primo n.5 c.p.c.;
Si critica la statuizione con la quale è stato liquidato il danno da usura psicofisica denunciato dai lavoratori, nella misura di una giornata lavorativa; si prospetta la carenza di adeguata motivazione in ordine al criterio di valutazione adottato, richiamandosi il principio alla cui stregua grava sulla parte interessata l'onere di dimostrare ogni .elemento di fatto al fine di consentire che l'apprezzamento equitativo esplichi la sua peculiare funzione.
3. Il motivo non è fondato;
In ordine alla quantificazione, l'entità del danno, non determinabile in astratto, deve essere stabilita anche in via equitativa dal giudice del merito secondo una motivata valutazione che tenga conto della gravosità delle varie prestazioni lavorative e di eventuali strumenti ed istituti affini della disciplina collettiva (Cass. sent. n.1607 del 1989, n. 5019 del 1992, n.4087 del 1993) in tal senso essendo stato modulato il dictum della pronuncia rescindente;
Nello specifico, il giudice del gravame si è conformato al precetto impartito da questa Corte di legittimità, pervenendo alla liquidazione del danno da usura psicofisica risentito dai ricorrenti nella misura di una giornata lavorativa mediante richiamo ai compensi previsti dalle clausole contrattual-collettive nonché alla peculiare penosità della prestazione lavorativa resa nel settimo ed ottavo giorno consecutivo;
L'esercizio, in concreto svolto dalla Corte distrettuale, del potere discrezionale conferitole di liquidare il danno in via equitativa, è stato esplicato mediante una chiara enunciazione del processo logico e valutativo seguito, qualificato da motivazione congrua e non manifestamente arbitraria, in quanto fondata sul non usuale prolungamento nel tempo dei turni, e si palesa, pertanto, insuscettibile di sindacato in questa sede di legittimità (vedi per tutte, Cass. 13/10/2017 n. 24070);
In definitiva, alla stregua delle sinora esposte considerazioni, il ricorso è respinto;
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo;
trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le Condizioni per dare atto - ai sensi del comma 1 quater all'art. 13 DPR 115/2002 - della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato .pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.