Infondata la pretesa del ricorrente di eccepire l'inutilizzabilità delle videoregistrazioni effettuate dalla parte lesa per violazione della disciplina sulle intercettazioni. Inammissibile anche la dedotta violazione del codice della privacy in quanto non può costituire un ostacolo alle esigenze di accertamento del processo penale.
L'imputato propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello con cui era stata confermata la sua responsabilità penale per il reato di atti persecutori commesso ai danni di alcuni condomini.
Tra i motivi di doglianza, il ricorrente eccepisce l'inutilizzabilità delle videoregistrazioni effettuate dalle persone...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Roma ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di B. R. per il reato di atti persecutori, commesso ai danni di alcuni condomini mediante la reiterazione di condotte moleste, degenerate anche in alcuni atti violenti, e minacciose. In parziale riforma della pronunzia di primo grado, la Corte territoriale, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e considerata la già concessa attenuante del vizio parziale di mente, provvedeva a rimodulare il trattamento sanzionatorio.
2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato articolando quattro motivi.
2.1 Con il primo eccepisce l'inutilizzabilità delle videoregistrazioni effettuate dalle persone offese mediante i propri dispositivi audiovisivi e ad oggetto alcuni dei fatti contestati all'imputato in quanto realizzate in violazione delle norme sulla privacy e della disciplina codicistica sulle intercettazioni. Non di meno tali registrazioni sarebbero state acquisite solo in copia, senza alcuna verifica sulla corrispondenza agli originali e sulla loro provenienza ovvero sull'assenza di manipolazioni.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizi di motivazione in merito alla prova dell'elemento oggettivo del reato contestato. Lamenta in proposito il ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe confutato le obiezioni svolte con i motivi d'appello in merito all'attendibilità delle persone offese, mentre illogica sarebbe la motivazione della sentenza in merito alla presunta modifica delle abitudini di vita delle medesime, che anzi si sono rese protagoniste di aggressioni fisiche e verbali ai danni dello stesso imputato documentate nel corso dell'istruttoria dibattimentale.
2.3 Ulteriori vizi di motivazione vengono dedotti con il terzo motivo in merito alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. In proposito il ricorrente sostiene che i giudici del merito non abbiano logicamente valutato gli esiti della perizia psichiatrica in correlazione al mutamento comportamentale dell'imputato a seguito della sostituzione della terapia successivamente al verificarsi dei fatti per cui è processo, segno evidente dell'inadeguatezza di quella precedentemente somministrata e della sua incidenza sulla effettiva percezione ed interpretazione da parte del B. R. dei suoi rapporti con i condomini.
2.4 Ancora vizi di motivazione vengono infine prospettati anche con il quarto ed ultimo motivo con riguardo alla commisurazione della pena. In tal senso lamenta l'ingiustificata determinazione della pena base in misura sensibilmente superiore al minimo edittale, tanto più che la Corte avrebbe omesso di valutare l'effettiva entità del fatto. Analoghe considerazioni varrebbero per gli aumenti di pena stabiliti per la continuazione, invero nemmeno formalmente contestata nell'imputazione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato negli esclusivi limiti che di seguito verranno esposti.
2. Il primo motivo è inammissibile.
Manifestamente infondata è anzitutto la pretesa del ricorrente di ricondurre alla disciplina delle intercettazioni le videoriprese effettuate personalmente dalle persone offese, trattandosi, per consolidato insegnamento di questa Corte, di prove documentali legittimamente utilizzabili ai sensi ed agli effetti dell'art. 234 c.p.p. (ex multis Sez. 2, Sentenza n. 10 del 30/11/2016, dep. 2017, D., Rv. 268787; Sez. 1, Sentenza n. 31389 del 10/07/2007, S., Rv. 237502; Sez. 5, Sentenza n. 21027 del 21/02/2020, N., Rv. 279345).
Parimenti inammissibile è l'ulteriore obiezione difensiva per cui le menzionate riprese sarebbero inutilizzabili in quanto effettuate in violazione della normativa sulla "privacy". Il ricorso non indica quali sarebbero le disposizioni del d. lgs. n. 196/2003 che sarebbero state violate dalle persone offese nell'effettuare le riprese, né tiene conto del consolidato orientamento di questa Corte per cui la violazione della disciplina a tutela della "privacy" non può costituire uno sbarramento rispetto alle preminenti esigenze di accertamento del processo penale. (Sez. 2, Sentenza n. 28367 del 21/04/2017, D., Rv. 270362; Sez. 5, Sentenza n. 33560 del 28/05/2015, L., Rv. 264355). Nemmeno viene precisato dal ricorrente se la sua eccezione riguarda tutte le videoriprese acquisite alla piattaforma cognitiva - comprese quelle effettuate all'esterno dell'edificio condominiale - ovvero solo alcune di esse, né tantomeno le identifica.
Infine le censure del ricorrente non si confrontano con la motivazione della sentenza, la quale ha attribuito ai documenti filmati di cui si tratta valore di mero supporto alle convergenti dichiarazioni delle persone offese, non chiarendo dunque le ragioni per cui l'eventuale inutilizzabilità delle prove richiamate comprometterebbe la tenuta del provvedimento impugnato.
3. Anche il secondo motivo si rivela generico. La Corte ha motivato sulla ritenuta attendibilità delle persone offese evidenziando la convergenza dei loro racconti e valorizzando a riscontro di questi ultimi le dichiarazioni della figlia dell'imputato e dello stesso B. R.. Con tale apparato argomentativo il ricorrente nuovamente non si è confrontato, limitandosi a lamentare il difetto di specifica confutazione di obiezioni la cui decisività non viene illustrata. In proposito è opportuno ricordare, infatti, come non sia censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata, qualora il giudicante dimostri di aver tenuto conto dei fatti decisivi, come per l'appunto avvenuto nel caso di specie. Nemmeno hanno qualche pregio le doglianze relative alla mancata dimostrazione dell'evento del reato, la cui prova invece la Corte territoriale ha espressamente ancorato alle dichiarazioni delle persone offese, per l'appunto ritenute motivatamente attendibili, argomentando anche in merito alle condotte reattive poste in essere dalle medesime, le quali, dunque, contrariamente a quanto considerato, sono state valutate dai giudici del merito, ma la cui pretesa valenza assorbente risulta invero una mera considerazione che attiene al merito della decisione.
4. Manifestamente infondato, generico e versato in fatto è altresì il terzo motivo. Per un verso le censure relative all'elemento soggettivo del reato mirano a svuotare di contenuto il consolidato principio - correttamente applicato dal giudice dell'appello - sulla compatibilità tra vizio parziale di mente e dolo. Per l'altro si fondano su una lettura soggettivamente orientata delle conclusioni della valutazione psichiatrica dell'imputato, inducendone conseguenze sul piano della ponderazione della componente rappresentativa del dolo del reato in maniera assertiva, quando non addirittura meramente congetturale.
5. Coglie invece nel segno il quarto ed ultimo motivo. Nel rideterminare il trattamento sanzionatorio la Corte ha calcolato la pena base nella misura del triplo della pena edittale prevista dall'art. 612-bis c.p. nel testo vigente all'epoca dei fatti, giustificando in maniera sostanzialmente apodittica - tanto da ancorare la ritenuta gravità dei fatti non già a parametri oggettivi, ma al carattere "disgustoso" di alcuni degli atti consumati - tale importante scostamento dal minimo edittale e senza soprattutto chiarire le ragioni della ritenuta irrilevanza ai fini commisurativi della pur riconosciuta riduzione della capacità di intendere e volere dell'imputato e del suo comportamento successivo alla consumazione del reato, a sua volta registrato dalla sentenza.
6. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e l'imputato condannato alla refusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che, quanto a I. P. ed A. P., liquida in complessivi euro 4.500,00, oltre accessori di legge, mentre per quanto riguarda S. P., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Roma con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile S. P. ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Roma con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Condanna, altresì, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili I. P. e A. P. che liquida in complessivi euro 4.500,00, oltre accessori di legge.