La domanda attrice volta all'accertamento di un credito da porre in compensazione con un maggior credito vantato dalla procedura fallimentare, proposta nel procedimento ai fini dell'accertamento del passivo, è inammissibile perché non attiene alle finalità proprie di tale rito.
Il Giudice di prima istanza respingeva la richiesta dell'odierna ricorrente, proposta con domanda di ammissione al passivo ai sensi dell'art. 93 l. fall., volta al riconoscimento dell'esistenza di un suo credito nei confronti della società fallita e lo stesso, poi, fosse posto in compensazione con il maggior credito vantato dalla procedura nei suoi...
Svolgimento del processo
1. Il giudice delegato al fallimento di F. s.r.l. respingeva, per mancanza di prova, la richiesta di B. s.r.l. s.r.l., avanzata con domanda di ammissione al passivo ai sensi dell’art. 93 l. fall., perché venisse riconosciuta l’esistenza di un suo credito di € 58.660 nei confronti della società fallita e lo stesso, poi, fosse posto in compensazione con il maggior credito (di € 68.370,27) vantato dalla procedura nei suoi confronti.
2. Il Tribunale di Cagliari, a seguito dell’opposizione proposta da B. s.r.l. s.r.l., rilevava che quest’ultima non aveva chiesto di insinuare al passivo un proprio credito, ma aveva sollecitato una pronuncia che, una volta riconosciuti contrapposti diritti di credito dell’istante e della procedura fallimentare, dichiarasse completamente estinto il credito del primo mediante compensazione.
Il che comportava l’inammissibilità di una simile insinuazione al passivo, non avendo il creditore alcun interesse alla proposizione di una domanda con rilievo solo endofallimentare senza contemplare la partecipazione al concorso.
3. Per la cassazione del decreto di rigetto dell’opposizione, pubblicato in data 30 aprile 2020, ha proposto ricorso B. s.r.l. s.r.l., prospettando tre motivi di doglianza.
L’intimato fallimento di F. s.r.l. non ha svolto difese.
Motivi della decisione
4. Il primo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 53 cpv., 56 e 93 l. fall., in quanto l’accertamento del credito nei confronti della società fallita doveva necessariamente compiersi nelle forme di cui all’art. 93 l. fall., rimanendo irrilevante la circostanza che il credito venisse poi opposto in compensazione rispetto a un controcredito della procedura.
Sussisteva, inoltre, un interesse concreto e qualificato a proporre una simile domanda, in quanto l’istante, con il riconoscimento del credito insinuato, avrebbe visto estinto quello del fallimento fino alla concorrenza del relativo importo.
5. Il motivo non è fondato.
5.1 La rubrica del capo V del titolo II della legge fallimentare non a caso parla di “accertamento” non dei crediti, ma “del passivo”, intendendo così sottolineare che la domanda di ammissione al passivo è funzionale all’accertamento di un diritto di credito destinato a essere realizzato, nel concorso con gli altri creditori, all’interno della procedura fallimentare attraverso la partecipazione ai riparti.
Proprio in questa prospettiva il disposto degli artt. 96, comma 5, e 120, comma 4, l. fall. chiarisce che la portata delle decisioni assunte nel corso del procedimento di verifica dello stato passivo ha valore esclusivamente endofallimentare, rimanendo così indissolubilmente legata la domanda di insinuazione al riparto quale suo unico obiettivo.
5.2 Se così è, non erra il provvedimento impugnato laddove ritiene inammissibile una domanda volta non all’ammissione al passivo ma all’accertamento di un credito da portare poi in compensazione con un diverso credito, pacificamente superiore, vantato dalla procedura nei suoi confronti.
Ciò non tanto per la mancanza di un interesse, giacché, se la valutazione dell'interesse ad agire, inteso quale esigenza di provocare l'intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la tutela di un diritto, deve essere effettuata con riguardo all'utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla situazione denunziata (Cass. 13485/2014), non rilevando la valutazione delle diverse, ed eventualmente maggiori, utilità di cui l'attore potrebbe beneficiare in forza di posizioni giuridiche soggettive alternative a quella fatta valere (Cass. 10036/2015), allora è innegabile che possa sussistere, in astratto, un interesse del creditore istante a veder accertata l’estinzione della propria obbligazione nei confronti della procedura fallimentare per effetto della compensazione.
Un simile, astratto, interesse non consente però di trascurare le peculiari caratteristiche normative del procedimento di accertamento del passivo e le utilità, derivanti da un possibile riparto, che lo stesso intende assicurare ai creditori.
5.3 La giurisprudenza di questa Corte da tempo ha precisato che nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l'esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, atteso che tale eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ottenendone il rigetto totale o parziale, mentre il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dagli artt. 93 e ss. l. fall. trova applicazione nel caso di domanda riconvenzionale, tesa ad una pronuncia a sé favorevole idonea al giudicato, di accertamento o di condanna al pagamento dell’importo spettante alla medesima parte una volta operata la compensazione (Cass. 30298/2017, Cass. 14418/2013, Cass. 15562/2011).
Ne discende, per converso, che la domanda attrice volta non all’ammissione al passivo di un credito, ma all’accertamento di un credito da porre in compensazione con il maggior credito vantato della procedura fallimentare, non è funzionale all’inserimento dell’istante nel novero dei creditori concorrenti aventi diritto a partecipare al riparto e, di conseguenza, è inammissibile, non essendo riconducibile alle finalità proprie del procedimento per l’accertamento del passivo.
La domanda di ammissione di cui all’art. 93 l. fall. implica, infatti, una richiesta di accertamento non solo dell’esistenza del credito dell’istante, ma anche dell’idoneità concorsuale del medesimo (vale a dire dell’attitudine del credito a beneficiare del soddisfacimento concorsuale a cui la procedura è volta) ed assume così una natura ben diversa da un’azione di mero accertamento.
Dunque, al creditore è dato di richiedere l'ammissione al passivo per un importo inferiore a quello del suo diritto originario, deducendo la compensazione con un controcredito della procedura a sua volta inferiore ma comunque azionato, e di provocare così l'esame del giudice delegato sul titolo posto a fondamento dell’insinuazione e su validità, efficacia e consistenza dello stesso (di modo che il provvedimento di ammissione del credito residuo nei termini richiesti comporta implicitamente il riconoscimento della compensazione quale causa parzialmente estintiva della pretesa, riconoscimento che determina una preclusione endofallimentare, che opera in ogni ulteriore eventuale giudizio promosso per impugnare, sotto i sopra indicati profili di esistenza, validità, efficacia e consistenza, il titolo dal quale deriva il credito opposto in compensazione; Cass., Sez. U., 16508/2010, Cass. 22044/2016, 24164/2017).
Non è consentito al medesimo, invece, l’utilizzo del procedimento di verifica dello stato passivo al solo, eterodosso (rispetto a natura e finalità proprie del procedimento di verifica del passivo), fine di ridurre le ragioni creditorie vantate dalla procedura tramite la richiesta di compensazione con un proprio minor credito.
6. Il secondo motivo di ricorso assume la nullità del procedimento e del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 101, comma 2, cod. proc. civ., 24 e 111 Cost., in quanto l’inammissibilità della domanda è stata rilevata d’ufficio dal collegio dell’opposizione senza provocare il contraddittorio delle parti sul punto.
7. Il motivo non è fondato.
Il disposto dell'art. 101, comma 2, cod. proc. civ. fa riferimento a quelle "questioni" (oggetto di rilievo officioso, quando non fatte oggetto della difesa delle parti) che sono idonee a comportare nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti, modificando il quadro fattuale (si vedano, per tutte, Cass. 11928/2012 e Cass. 19372/2015).
Perciò, è solo la mancata segnalazione, da parte del giudice, di una siffatta questione che determina nullità della decisione per violazione del diritto di difesa delle parti, perché private dell'esercizio del contraddittorio (con le connesse facoltà di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione che ha condotto alla decisione solitaria), non anche la mancata segnalazione di questioni di esclusiva rilevanza processuale del cui controllo le stesse parti sono preventivamente onerate, dovendo avere autonoma consapevolezza degli incombenti a cui la norma di rito subordina l'ammissibilità dell'esercizio giudiziale delle domande.
La questione dell’inammissibilità di una domanda di mero accertamento non volta all’ammissione di un credito nel novero del passivo riguarda la verifica della sussistenza dei presupposti necessari per l’introduzione di una domanda ai sensi dell’art. 93 l. fall., non è riconducibile nel novero delle questioni a cui fa riferimento l’art. 101, comma 2, cod. proc. civ. e sfugge così all’applicazione della sua disciplina.
8. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., perché il Tribunale non ha compensato le spese di lite malgrado l’opposizione fosse stata resa necessaria dall’adozione di un provvedimento sfavorevole in sede di formazione del passivo e fosse stata risolta facendo ricorso ad argomenti offerti dal collegio giudicante di propria iniziativa.
9. Il motivo è inammissibile.
La valutazione dell'opportunità di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso degli altri motivi previsti dall’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (cfr. Cass. 24502/2017, Cass. 8241/2017).
Ne consegue che la mancata compensazione delle spese non può essere censurata in questa sede di legittimità.
10. Per tutto quanto sopra esposto il ricorso deve essere respinto.
La mancata costituzione in questa sede della procedura intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.