Secondo la Cassazione, l'obbligo di contribuire al mantenimento dell'ex coniuge costituisce una posizione debitoria inscindibilmente legata ad uno status personale ed è suscettibile di accertamento solo in relazione a una persona ancora in vita.
La Corte d'Appello di Firenze dichiarava cessata la materia del contendere in ordine all'impugnazione proposta dall'ex moglie avverso la decisione di primo grado, al fine di ottenere l'aumento della misura dell'assegno divorzile. A fondamento della sua decisione, la Corte territoriale aveva fatto proprio l'indirizzo...
Svolgimento del processo
1. V. C. ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 23 settembre 2019, n. 2206, che, pronunciando in sede di rinvio, ha dichiarato cessata la materia del contendere in ordine al gravame proposto dalla prima contro la sentenza del Tribunale di Firenze del 21 maggio 2015, n. 74, al fine di ottenere l'aumento della misura dell'assegno divorzile ivi riconosciutole a carico dell'ex coniuge P. A.. Resiste, con controricorso, M. B., quale unica erede di quest'ultimo, medio tempore deceduto.
1.1. Per quanto qui di interesse, quella corte, precisati la ragione ed il perimetro del rinvio innanzi ad essa disposto dalla pronuncia rescindente resa da Cass. n. 12584 del 22 maggio 2018, e considerato il sopravvenuto decesso del P. A. in data 26 maggio 2018, ha fatto proprio l'indirizzo interpretativo recentemente consolidatosi, ribadito da Cass. n. 4092 del 2018, secondo cui, in tema di divorzio, la morte di uno dei coniugi determina la cessazione della materia del contendere sia sul giudizio relativo allo status della persona che su quello relativo alle domande accessorie, estendendo l'applicazione di tale principio anche alle domande accessorie che sono autonomamente sub judice al momento della morte del coniuge nei cui confronti era stato richiesto l'assegno.
Motivi della decisione
1. L'unico formulato motivo, rubricato «Violazione e falsa applicazione di legge, nella fattispecie dell'art. 149 cpc, poiché il giudice del rinvio non doveva dichiarare cessata la materia del contendere, dato che la morte di un coniuge fa cessare l'obbligo di corrispondere l'assegno di divorzio ma non estingue le questioni economiche relative ai periodi precedenti al decesso», deve considerarsi inammissibile ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ.
1.1. Giova premettere, invero, che: I) la pronuncia rescindente resa da Cass. n. 12584 del 2018 aveva investito la corte di rinvio della nuova decisione del solo gravame proposto dalla Calabresi contro la sentenza del Tribunale di Firenze del 21 maggio 2015, n. 74, all'unico fine di ottenere l'aumento della misura dell'assegno divorzile ivi già riconosciutole a carico dell'ex coniuge P. A.; II) Il P. A. era deceduto poco dopo la pronuncia suddetta; III) la corte fiorentina, pur dando atto dell'esistenza di un contrario, e più remoto, orientamento di legittimità, ha fatto proprio l'indirizzo interpretativo più recente, come puntualizzato da Cass. n. 4092 del 2018, a tenore del quale, in tema di divorzio, la morte di uno dei coniugi determina la cessazione della materia del contendere sia sul giudizio relativo allo status della persona che su quello relativo alle domande accessorie, estendendo l'applicazione di tale principio anche alle domande accessorie che sono autonomamente sub judice al momento della morte del coniuge nei cui confronti era stato richiesto l'assegno.
1.2. Va considerato, poi, che, diversamente da quanto oggi assunto dalla Calabresi, la fattispecie affrontata dall'appena menzionato arresto di legittimità è assolutamente analoga a quella concretamente all'esame di questo Collegio: anche in quel caso, infatti, si trattava di un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio nel quale, passata in giudicato la statuizione di scioglimento del matrimonio medesimo (li per effetto di sentenza non definitiva confermata fino in Cassazione), il giudizio sulle domande economiche consequenziali, dopo essere stato sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza predetta, era proseguito per le determinazioni riguardanti queste ultime. Nell'odierna vicenda, invece, la decisione sullo status resa in primo grado non fu impugnata in appello, che investì, esclusivamente, l'an ed il quantum dell'assegno divorzile; peraltro, dopo la pronuncia rescindente resa da Cass. n. 12584 del 2018, l'oggetto del gravame doveva ulteriormente intendersi limitato alla sola entità di tale emolumento.
1.3. Fermo quanto precede, deve osservarsi che, come pure rilevato in dottrina, se si considerano i rapporti tra il diritto all'assegno divorzile ed il giudizio sullo status, possono enuclearsi tre casi, a seconda che (z) il decesso del coniuge intervenga prima della pronuncia di divorzio, (II) dopo di essa ma prima del suo passaggio in giudicato, oppure, come nella odierna fattispecie, (III) dopo il suo passaggio giudicato.
1.3.1. Nulla quaestio nella prima ipotesi: invero, m tal caso, il diritto di cui trattasi dipende da una declaratoria di stato ormai inammissibile (ifr., ex pluribus, Cass. n. 16801 del 2009); inoltre, il coniuge superstite è, di regola, erede legittimario del defunto ed anche qualora avesse richiesto un assegno divorzile, non ha più interesse a proseguire il giudizio per il riconoscimento di tale pretesa economica. Ne discende che l'unica possibile conseguenza processuale del decesso del coniuge è, qui, la declaratoria di cessazione della materia del contendere.
1.3.2. Analoga soluzione va adottata rispetto alla seconda ipotesi, e cioè quella della pronuncia di divorzio non ancora passata in giudicato. In tal caso, malgrado l'astratta ammissibilità dell'impugnazione, nessuna domanda accessoria potrebbe comunque più essere accolta, e ciò per il motivo generale secondo cui tale accoglimento presupporrebbe una decisione (definitiva) sullo status, nella specie non più possibile per la portata impediente dell'evento morte. Invero, al momento della pronuncia della sentenza, la domanda di divorzio deve essere accolta, affinché il tribunale possa statuire anche sugli ulteriori oggetti del giudizio, sicché, come opinato 1n dottrina, la morte di uno dei coniugi, sopravvenuta dopo la notificazione della sentenza di scioglimento del matrimonio e durante la decorrenza del termine di cui all'art. 325 cod. proc. civ., non dà luogo al fenomeno processuale della interruzione di tale termine, ma, determinando lo scioglimento del matrimonio per altra causa, preclude il passaggio in giudicato della pronuncia di divorzio (ancorché emessa, eventualmente, su domanda congiunta dei coniugi), fa cessare la materia del contendere e rende inammissibile l'impugnazione se del caso proposta (ifr. Cass. n. 5664 del 1996).
1.3.3. La terza delle divisate ipotesi, e cioè quella dell'intervenuto passaggio in giudicato della pronuncia sullo status, ha suscitato maggiori discussioni posto che, definitivamente intervenuto lo scioglimento del matrimonio, il coniuge economicamente "debole" potrebbe senz'altro nutrire un rilevante interesse alla prosecuzione del giudizio, avuto riguardo ad eventuali ratei pregressi dell'assegno (ifr. Cass. n. 17041 del 2007. Un'affermazione analoga si rinviene anche nella motivazione di Cass. n. 4092 del 2018) e, inoltre, in relazione alla possibile attribuzione di un assegno periodico a carico dell'eredità (art. 9-bis della legge n. 898 del 1970), come, di converso, anche gli eredi dell'obbligato potrebbero essere interessati ad un accertamento negativo del diritto ed alla restituzione di importi eventualmente versati in ossequio a provvedimenti provvisori.
1.3.4. Questo tema ha visto contrapporsi due orientamenti interpretativi, di cui la decisione oggi impugnata dà ampiamente conto, successivamente prediligendo quello, più recente, ed ormai prevalente, espresso da Cass. n. 9689 del 2006, Cass. n. 27556 del 2008, Cass. n. 18130 del 2013, a sua volta puntualizzato da Cass. n. 4092 del 2018.
1.3.5. L'indirizzo oggi consolidatosi (di recente confermato pure da Cass. n. 31358 del 2019) poggia su due fondamentali ragioni. In primis, è stata evidenziata l'uniformità della soluzione rispetto a quella da assumere in relazione alla domanda sullo status. Con le parole di Cass. n. 4092 del 2018, la soluzione adottata «appare più coerente al presupposto indiscusso secondo cui la morte del coniuge, in pendenza di giudizio di
separazione o divorzio, anche nella fase di legittimità davanti a questa Corte, fa cessare il rapporto coniugale e la stessa materia del contendere». In secondo luogo, è stato rimarcato il carattere unitario del giudizio di divorzio. Si riconosce, invero, che, laddove la pronuncia sul divorzio non sia più tangibile, per effetto del suo passaggio in giudicato, «la pendenza del giudizio sulle domande accessorie al momento della morte non può costituire una causa di scissione del carattere unitario proprio del giudizio di divorzio». Se la pronuncia immediata (anche per effetto di sentenza non definitiva) sullo status «si legittima nell'ottica di una attribuzione non procrastinabile dello status di divorziato ai fini della riacquisizjone della libera determinazione delle scelte personali degli ex coniugi: connessa alla fine dello status derivante dal matrimonio, e in quanto tale status non ha più ragione di perdurare, è nello stesso tempo indiscutibile che solo ragioni di complessità istruttoria giustificano la pronuncia deferita sulle domande accessorie», e tali ragioni non possono «costituire una fante di deroga al principio per cui l'obbligo di contribuire al
mantenimento dell'ex coniuge è personalissimo e non trasmissibile>> e può essere accertato «solo in relazione all’esistenza della persona cui lo status personale si riferisce».
1.3.6. In buona sostanza, secondo la linea interpretativa sposata dalla consolidatasi giurisprudenza di legittimità, le ragioni suddette, se non possono costituire il presupposto per una dilazione ingiustificata sulla pronuncia relativa allo status della persona, altresì non possono consentire una deroga alla natura personalissima ed intrasmissibile dell'obbligo di contribuire al mantenimento dell'ex coniuge: ciò proprio perché si tratta di una posizione debitoria inscindibilmente legata ad uno status personale e che conserva questa connotazione personalissima perché suscettibile di accertamento solo in relazione all'esistenza della persona cui lo status personale si riferisce.
1.4. Il Collegio condivide gli assunti posti a sostegno del descritto orientamento ormai consolidatosi, rimarcando, inoltre, che, nella concreta vicenda oggi in esame, essendosi già formato il giudicato pure sull'an dell'assegno divorzile (il giudizio di rinvio, infatti, aveva ad oggetto solo il quantum di detto emolumento), la posizione della Calabresi nemmeno sarebbe pregiudicata ai fini del riconoscimento di eventuali prestazioni previdenziali che presuppongano proprio il percepimento dell'assegno stesso.
1.5. Le argomentazioni esposte nell'unico motivo di ricorso della Calabresi (asserita diversità, invece insussistente, tra la fattispecie odierna e quella decisa da Cass. n. 4092 del 2018, con conseguente non condivisibilità delle conclusioni di quest'ultima), come ulteriormente sviluppate nella sua memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., dunque, non offrono elementi convincenti per mutare il suddetto orientamento, né per disporre la trattazione della odierna controversia in pubblica udienza, sicché la sua impugnazione deve essere dichiarata inammissibile ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ..
2. Le spese di questo giudizio di legittimità restano regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, - in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (ifr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 - che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre «spetterà all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento».
3. Va, disposta, infine, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna V. C. al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in € 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Dispone, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.