Nuovi principi di diritto giungono dalle Sezioni Unite Civili in materia di dichiarazione di adottabilità di un figlio minore e di pronuncia dello stato di abbandono del medesimo.
A seguito del riscontro di numerosi atti di violenza e di maltrattamenti posti in essere da un cittadino moldavo nei confronti della moglie e dei figli di quest'ultima nati da un precedente matrimonio, nonché dell'atteggiamento di totale sottomissione tenuto dalla stessa, il Tribunale per i minorenni di Roma sospendeva la responsabilità...
Svolgimento del processo
1. Con decreto del 28 novembre 2017, il Tribunale per i minorenni di Roma, su ricorso della Procura della Repubblica presso lo stesso ufficio, a seguito del riscontro di reiterati atti di violenza e di maltrattamenti posti in essere da E., cittadino moldavo, nei confronti della moglie CM., del pari moldava, e dei di lei figli nati da precedente matrimonio, nonché dell'atteggiamento di totale sottomissione tenuto dalla medesima, sospendeva la responsabilità genitoriale di entrambi sulla minore S., unica figlia della coppia, e sugli altri tre figli della CM.. Il Tribunale nominava tutore provvisorio il sindaco di Roma, stabiliva la cessazione dei rapporti tra il padre e la figlia, incaricava i Servizi Sociali di disporre un accertamento urgente sulla situazione dei minori, autorizzandoli ad effettuare l'allontanamento urgente degli stessi in caso di grave pregiudizio, e disponeva accertamenti sulla salute psico-fisica dei minori medesimi, nonché sulla personalità dell'E. e della CM.
1.1. Con successivo decreto del 13 novembre 2018, il Tribunale per i minorenni apriva la procedura per lo stato di abbandono della piccola S., confermava la sospensione dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori e la nomina del tutore provvisorio, e nominava l'avv. R. G. quale curatrice speciale della minore, della quale disponeva il collocamento presso la casa famiglia «G.».
1.2. Con sentenza n. 276/2019, il Tribunale per i minorenni di Roma - disposta consulenza tecnica d'ufficio - dichiarava lo stato di adottabilità di S. E., confermava la nomina a tutore provvisorio del sindaco del Comune di Roma, vietava ogni contatto tra i parenti e la minore, e disponeva il temporaneo collocamento della medesima presso una famiglia, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 184 del 1983.
2. Nel giudizio di appello, instaurato con separati atti - poi riuniti - dai genitori della piccola S., interveniva l'Ambasciata della Repubblica della Moldavia, lamentando che la mancata comunicazione alla medesima dell'instaurazione della procedura dinanzi al Tribunale per i minorenni le aveva precluso di assumere con immediatezza la protezione della minore, di competenza della autorità amministrative e giurisdizionali moldave, trattandosi di cittadina moldava, sebbene nata e residente in Italia. Si costituiva altresì la curatrice di S. E., mentre restava contumace il sindaco del Comune di Roma, tutore provvisorio della minore.
Con sentenza n. 3913/2020, depositata il 4 agosto 2020, la Corte d'appello di Roma rigettava gli appelli riuniti e le istanze della terza intervenuta, compensando fra le parti le spese del grado del giudizio.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso CM., nei confronti dell'avv. R. G., nella qualità, del sindaco del Comune di Roma, nella qualità, di E., dell'Ambasciata della Repubblica della Moldavia in Italia e del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Roma, affidato a quattro motivi. I resistenti avv. R. G., nella qualità, ed E. hanno resistito con controricorso, il secondo contenente, altresì, ricorso incidentale, affidato a cinque motivi. L'Ambasciata della Repubblica della Moldavia ed il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Roma non hanno svolto attività difensiva.
4. Con ordinanza interlocutoria n. 15693/2021, depositata il 4 giugno 2021, la prima sezione civile ha rimesso a queste Sezioni Unite, ai sensi degli art. 374 e 360, n. 1 cod. proc. civ., l'esame della questione relativa al difetto di giurisdizione del giudice italiano in relazione allo stato di abbandono ed alla dichiarazione di adottabilità della minore, cittadina moldava, questione sollevata dall'Ambasciata della Moldavia - costituente oggetto del secondo motivo del ricorso principale, rilevando la mancanza di «precedenti specifici» in materia, anche «in relazione all'applicazione del criterio della residenza abituale del minore».
5. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del primo e secondo motivo, chiedendo confermarsi la giurisdizione del giudice italiano, e per l'accoglimento del terzo e quarto motivo del ricorso principale, nonché del primo, terzo e quarto motivo del ricorso incidentale, inammissibili il secondo ed il quinto.
Motivi della decisione
1. Queste Sezioni Unite sono state investite, dall'ordinanza di rimessione, dell'esame della questione pregiudiziale di giurisdizione, costituente oggetto del secondo motivo del ricorso principale, con il quale - denunciando la violazione dell'art. 40 della legge 13 maggio 1995, n. 218, in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 1 e 3 cod. proc. civ. - CM. si duole del fatto che la Corte d'appello abbia ritenuto sussistente la giurisdizione, in materia, del giudice italiano.
1.1. Deduce, al riguardo, la ricorrente che «allo stato degli atti non vi era alcuna possibilità di giurisdizione italiana», dal momento che la piccola S., cittadina moldava, non era affatto in stato di abbandono in Italia. Tanto si desumerebbe - a parere della istante - dalle stesse relazioni dei Servizi sociali, che avrebbero evidenziato come, già prima del suo collocamento nella casa famiglia, «la minore frequentava l'asilo ed erano soddisfatti tutti i suoi bisogni primari, salvo affermare genericamente che presentava "delle grosse carenze"».
1.2. Ne deriverebbe che, essendo l'accertamento dello stato di abbandono «presupposto imprescindibile per la dichiarazione dello stato di adottabilità», ai sensi degli artt. 8 e 15 della legge n. 184 del 1983, l'assoluta genericità delle presunte «grosse carenze» che la bambina moldava avrebbe rivelato prima del suo collocamento in casa famiglia, evidenziando l'insussistenza di uno stato di abbandono della medesima, avrebbe dovuto indurre il Tribunale per i minorenni di Roma a non emettere la pronuncia dichiarativa dello stato di adottabilità della piccola S. e, di conseguenza, ad escludere la sussistenza della giurisdizione italiana. Ed invero, a norma dell'art. 40, comma 1, della legge n. 218 del 1995, citato dalla stessa Corte territoriale, «i giudici italiani hanno giurisdizione in materia di adozione allorchè l’adottando è un minore in stato di abbandono in Italia».
2. Il motivo è infondato.
2.1. In via pregiudiziale, va rilevato che sull'ammissibilità dell'intervento in appello dell'Ambasciata della Repubblica della Moldavia - che ha diritto di essere avvisata dell'adozione di provvedimenti in materia di tutela dei minori e di status personale, ai sensi dell'art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998 - deve ritenersi formato il giudicato formale, preclusivo del riesame della medesima questione in sede di legittimità, nell'ambito dello stesso giudizio. Nessuna delle parti ricorrenti ha, difatti, impugnato l'implicita pronuncia della Corte territoriale la quale - men che dichiarare l'inammissibilità di tale intervento - si è, per contro, pronunciata sulla questione di giurisdizione proposta dal terzo interventore, in tal modo implicitamente ritenendone legittimo l'intervento.
2.1.1. Al riguardo va ribadito il principio secondo cui la statuizione su una questione di rito (nella specie l'intervento in giudizio di un terzo) - sebbene non sia idonea a produrre gli effetti del giudicato sostanziale, ai sensi dell'art. 2909 cod. civ. - dà luogo a giudicato formale (art. 324 cod. proc. civ.), con effetto preclusivo del riesame della medesima questione, laddove detta statuizione non sia stata impugnata da alcuna delle parti, ancorchè limitatamente al rapporto processuale nel cui ambito la statuizione medesima sia stata emanata (Cass., 16/04/2019, n. 10641; Cass., 22/10/2020, n. 23130; Cass., 09/09/2021, n. 24371).
2.1.2. In tal modo, la questione di giurisdizione è stata veicolata nel giudizio di appello, aprendo la strada al riesame della stessa in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 37 cod. proc. civ.
2.2. Nel merito, la Corte d'appello - disattendendo la contestazione della giurisdizione italiana, mossa dal terzo intervenuto - ha affermato che, trattandosi di minore in stato di abbandono in Italia, a norma dell'art. 40 della legge 31 maggio 1995, n. 218 - la giurisdizione italiana era stata correttamente affermata dal Tribunale per i minorenni. Avverso tale pronuncia pregiudiziale la CM. ha proposto, quindi, il secondo motivo del ricorso principale, con il quale la ricorrente denuncia la violazione della disposizione succitata.
2.2.1. Orbene, va osservato, al riguardo, che la disciplina dell'adozione, contenuta all'interno della legge italiana di diritto internazionale privato (legge 31 maggio1995, n. 218, artt. 38-41), si inserisce nel quadro della più complessa regolamentazione dell'istituto, disposta dalla legge 4 maggio1983, n. 184, così come modificata dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476 e dalla legge 28 marzo.2001, n. 149. L'applicazione delle norme di cui agli artt. 38-41 della I, n. 218 del 1995 richiede pertanto - come osservato in dottrina - una necessaria opera interpretativa di coordinamento con la disciplina complessiva della materia.
2.2.2. In proposito va anzitutto rilevato che l'art. 38 regola in primis - sul piano della disciplina legale - gli aspetti, classificati in dottrina come requisiti soggettivi (come il legame matrimoniale degli adottanti, la differenza di età tra adottante e adottato) ed oggettivi (come lo stato di abbandono del minore, l'affidamento preadottivo), che valgono come condizioni necessarie affinché il procedimento di adozione possa iniziare e come elementi costitutivi (ad esempio, il presupposto negativo della mancanza di qualità di figlio naturale di uno degli adottanti in capo all'adottanda), cui l'ordinamento individuato dalla norma di conflitto riconduce la possibilità di emanazione dell'atto di adozione.
È prevista, inoltre, una disposizione speciale, relativamente ai consensi richiesti per l'adozione (art. 38, comma 2).
2.3. Alcune incertezze si sono poste, peraltro, con specifico riferimento all'istituto - la cui applicazione viene in rilievo nel caso di specie - concernente la dichiarazione di adottabilità del minore, prevista dagli artt. 8 e 15 della legge n. 184 del 1983. Siffatta dichiarazione, pronunciata dal Tribunale per i minorenni, costituisce invero, per l'ordinamento italiano, un presupposto speciale dell'adozione, avendo essa carattere preliminare rispetto al procedimento destinato a sfociare nella pronuncia finale di adozione di un minore. Di talchè a taluni interpreti non è sembrato agevole individuare la legge applicabile alla dichiarazione di adottabilità, giacchè, nel momento in cui essa viene posta in essere, non è ancora possibile conoscere l'identità dei futuri adottanti.
2.4. E', tuttavia, evidente che la soluzione del problema è resa possibile dalla menzionata necessità di interpretare la legge sul diritto internazionale privato in coordinamento con la normativa italiana sull'adozione. Viene in rilievo, al riguardo, l'art. 37-bis della legge n. 184 del 1983, a tenore del quale «al minore straniero che si trova nello Stato in situazione di abbandono si applica la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza». Il richiamo della legge italiana alla fattispecie della dichiarazione di adottabilità di minori stranieri che si trovino in Italia in situazione di abbandono (art. 8 della legge n. 184 del 1983), che si evince dall'ampio tenore letterale della norma, segna, pertanto, il punto di raccordo tra la normativa nazionale ed il diritto internazionale privato, ed altresì tra la legge applicabile e la giurisdizione in materia, atteso che tale situazione di abbandono è ricompresa nella giurisdizione dei giudici italiani, secondo quanto prevede l'art. 40 della legge n. 218 del 1995.
D'altro canto, siffatta conclusione - in punto legge applicabile - è rafforzata dall'art. 38, primo comma, ultima parte, della legge n. 218 del 1995, laddove dispone che «si applica il diritto italiano quando è richiesta al giudice italiano l'adozione di un minore, idonea ad attribuirgli lo stato di figlio».
2.5. Ad analogo risultato - sul piano della individuazione della legge applicabile e della conseguente giurisdizione in materia - si perverrebbe, peraltro, seguendo l'altra soluzione suggerita, in via alternativa, in dottrina, e cioè considerando la dichiarazione di adottabilità come un istituto di protezione dei minori cui si applicherebbe, pertanto, la legge di residenza abituale del minore in base a quanto dispone l'art. 42 della legge n. 218 del 1995, che richiama in materia la Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961.
L'art. 1 di detta Convenzione, invero, recita: «Le autorità, così giudiziarie come amministrative, dello Stato di dimora abituale d'un minorenne sono [...] competenti a prendere delle misure per la protezione della persona o dei beni dello stesso». Per il che il raccordo tra legge applicabile e giurisdizione del giudice chiamato ad applicarla riceve, per effetto di tale disposizione dell'art. 42, un'ulteriore, inequivocabile, conferma. Ed invero, fin dalla rubrica («giurisdizione e legge applicabile in materia di protezione dei minori»), ma il raccordo è contenuto anche nello stesso comma primo della norma («la protezione dei minori è in ogni caso regolata dalla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori»), legge e giurisdizione - per volontà del legislatore - sono fortemente avvinte, sicchè l'una non può essere disgiunta dall'altra.
2.6. Da tale quadro normativo di riferimento deve, pertanto, desumersi che - ferma restando l'applicabilità della legge italiana al minore che si trovi nel territorio dello Stato e per il quale sia richiesta al giudice italiano l'adozione, ovvero uno degli atti a monte, come la dichiarazione di adottabilità, ai sensi degli artt. 37-bis della legge n. 184 del 1983, dell'art. 38, primo comma, ultima parte, della legge n. 218 del 1995, nonché dell'art. 1 della Convenzione dell'Aja del 1961 - la giurisdizione in materia non può, di conseguenza, che essere attribuita al medesimo giudice italiano, a norma dell'art. 40 della legge da ultimo citata - la cui violazione è stata censurata dalla ricorrente, con il motivo di ricorso in esame - ed altresì in forza del menzionato art. 42 della stessa legge.
2.7. A conforto di tale impostazione va rilevato che - nel regime normativo previgente in materia di adozione nazionale - questa Corte aveva già delineato un chiaro inquadramento della fattispecie normativa prevista dall'allora art. 37 della legge n. 184 del 1983, ora art. 37-bis della medesima legge. Si era, per vero, affermato in proposito - e mutatis mutandis i principi affermati conservano la loro attualità, stante la pressochè totale equivalenza dei due testi - che l'art. 37 della legge n. 183 del 1984 - ai sensi del quale nei confronti del minore straniero in stato di abbandono nel territorio dello Stato è operante la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza - comporta non soltanto, sul piano processuale, la giurisdizione del giudice italiano, a prescindere dagli elementi di collegamento previsti dalla legislazione interna, ma anche, sul piano sostanziale, l'assoggettamento del rapporto alla normativa interna, in deroga alle comuni regole di diritto internazionale privato. Pertanto, qualora il tribunale per i minorenni dia inizio alla procedura per la dichiarazione di adottabilità di un minore straniero, in relazione allo stato di abbandono in cui lo stesso si trovi al momento dell'intervento, la circostanza che, successivamente a tale momento, le autorità del Paese d'origine richiedano il rimpatrio del minore, così come non è idonea ad escludere la giurisdizione italiana, non fa venir meno l'applicazione al rapporto della legge italiana, attesi gli stretti collegamenti tra giurisdizione e legge applicabile in materia (Cass., 04/11/1996, n. 9576).
2.8. A nulla rileva, di conseguenza, sul piano della giurisdizione, che nel caso di specie l'autorità moldava - successivamente all'inizio del procedimento dinanzi al Tribunale per i minorenni di Roma - abbia lamentato di non essere stata in grado di porre in essere il rimpatrio della minore, cittadina moldava, attesa l'applicabilità alla medesima della legge italiana - in quanto nata e residente in Italia, ed ivi dichiarata in stato di abbandono - con la conseguente sussistenza della giurisdizione dei giudice italiano che va, pertanto, riaffermata.
3. Per tali ragioni, il secondo motivo del ricorso principale va, di conseguenza, rigettato, restandone assorbito il primo, con il quale la istante censura l'omessa comunicazione, all'autorità moldava, del provvedimento emesso in Italia, concernente la minore S. E.
4. Confermata, pertanto, la giurisdizione del giudice italiano, considerati i profili di novità e di peculiare importanza che presenta la materia del contendere del presente giudizio, e valutata, altresì, l'urgenza di provvedere sulla situazione giuridica della suddetta minore straniera, già dichiarata in stato di adottabilità, queste Sezioni Unite ritengono di esaminare direttamente in questa sede, senza rimetterne l'esame alla sezione semplice di provenienza, gli altri motivi dei ricorsi principale ed incidentale, concernenti il merito della vicenda processuale.
5. Con il terzo e quarto motivo del ricorso principale proposto da CM., e con il terzo motivo del ricorso incidentale proposto da E., i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 132 cod. proc. civ., 111 Cost., 1 e 8 della legge 4 maggio 1983, n. 184, nonché l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.
5.1. La CM. censura la sentenza di appello, sia sul piano motivazionale, sia - con il quarto motivo - sul piano della violazione di legge, nella quale sarebbe incorsa - ad avviso della esponente - la Corte territoriale. Ed invero, sebbene in rubrica il quarto motivo rechi l'indicazione «omesso esame di fatti decisivi per il giudizio», nell'illustrare la censura (p. 23) la ricorrente impugna la sentenza impugnata anche per avere «la Corte d'appello mal sussunto la fattispecie sotto gli artt. 1 e 8 della legge n. 184/1983».
5.1.1. La istante si duole del fatto che il giudice di secondo grado abbia fondato l'incapacità genitoriale della madre della piccola S. - da cui ha tratto, oltre che dalla valutazione negativa della figura paterna e dalla ritenuta mancanza di figure vicariali, il convincimento che la minore fosse in stato di abbandono - sulla considerazione che la CM. era in stato di soggezione rispetto all'E., al quale sarebbe stata del tutto succube. Al punto da indursi a ritirare la denuncia sporta nei confronti del medesimo, in conseguenza dell'ultima aggressione subita il 15 luglio 2017 presso un supermercato, in conseguenza della quale la donna aveva riportato un trauma facciale e la deviazione del setto nasale.
5.1.2. La decisione impugnata si sarebbe, altresì, basata - ad avviso della esponente - su considerazioni del tutto inconsistenti, sul piano motivazionale, quali la scarsa «capacità di astrazione e di metacognizione delle proprie condotte da parte della CM.», evidenziata dal centro psicologico «G.» e dal consulente tecnico di ufficio, nonché sulle relazioni della casa famiglia dell'l1 marzo e del 2 settembre 2019, dalle quali poteva desumersi esclusivamente che la medesima aveva mostrato «difficoltà a sintonizzarsi sui bisogni della piccola S. ed a stabilire con lei un valido contatto emotivo [...] con eccessi di intrusività senza lasciar spazio alla bambina, sottoponendola a fastidiose e non necessarie pratiche di pulizia alle quali la piccola ha inevitabilmente cercato di sottrarsi».
5.1.3. La Corte non avrebbe, peraltro tenuto conto delle favorevoli considerazioni contenute nella relazione dei servizi sociali in data 22 giugno 2020, depositata nel giudizio di appello, né del fatto che la CM. aveva cresciuto da sola altri tre figli (nati dal primo matrimonio), «tutti ragazzi studiosi e ben educati, perfettamente integrati nel contesto sociale».
5.1.4. Il giudice di appello avrebbe poi, del tutto genericamente, fatto riferimento ad un preteso rifiuto della madre di essere inserita con la figlia in una struttura adeguata, erroneamente svalutando, per contro, il percorso psicologico effettuato dalla CM. presso l'ASL, poiché la donna - secondo il c.t.u. - continuerebbe «a svalutare le condotte vessatorie subite per oltre due anni, a far vedere la bambina al padre nonostante il divieto».. Le conclusioni cui è pervenuta la Corte d'appello finirebbero, in tal modo, per fondarsi - ad avviso della ricorrente - su di una sorta di sillogismo per cui, laddove in una coppia genitoriale si riscontrino «atteggiamenti di forza da una parte e di sottomissione dall'altra, legati a fattori culturali», per ciò solo - e senza una approfondita indagine su ciascuna delle figure genitoriali - il minore dovrebbe essere sottratto alla famiglia di origine e dichiarato in stato di adottabilità, poiché in stato di abbandono.
5.1.5. Le statuizioni della sentenza impugnata - a parere della esponente - verrebbero, pertanto, a tradursi in una violazione degli artt. 1 ed 8 della legge n. 184 del 1983, giacchè i fatti posti a fondamento della pronuncia sarebbero inidonei ad essere sussunti nelle disposizioni normative succitate. In tal modo, la sentenza impugnata concreterebbe una evidente lesione del diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine, oltre che una violazione del principio - enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte - secondo cui lo stato di abbandono di un minore deve essere fondato su fatti gravi, ancorati a precisi elementi fattuali, che si rivelino idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio.
5.2. Nel terzo motivo di ricorso incidentale, l'E. ha ribadito, a sua volta, la necessità che ogni pronuncia in materia di stato di adottabilità del minore si ispiri al principio della salvaguardia del prioritario diritto del minore di crescere e di essere educato nella propria famiglia di origine. Per cui, «a fronte di rilevate situazioni di difficoltà e criticità genitoriale, il recupero della famiglia di origine è il mezzo preferenziale per garantire la crescita equilibrata del minore, ed impegna le strutture sociali in misure di sostegno a favore sia del minore che dei genitori».
5.2.1. La Corte d'appello non avrebbe, per contro, esplicitato in cosa si sostanzierebbe lo stato di abbandono di S., in realtà insussistente, né avrebbe individuato alcun concreto pregiudizio per la minore, in caso di reinserimento nella sua famiglia di origine. Di più, gli operatori incaricati che si erano, a vario titolo, occupati della vicenda, le cui relazioni sarebbero state acriticamente recepite dalla Corte, «si erano limitati a sottolineare l'opposività della coppia, [ ...] senza, tuttavia, mai proporre alcun percorso di sostegno anche terapeutico volto a superare le rilevate criticità». La pronuncia impugnata si sarebbe, pertanto, risolta in un «giudizio apodittico», che non avrebbe tenuto conto dell'interesse prioritario del minore - affermato anche dalla giurisprudenza europea - di essere allevato nella propria famiglia di origine.
5.2.2. Per quanto concerne, poi, la valutazione negativa formulata con riferimento alla figura paterna, l'E. deduce che - secondo quanto accertato dal Centro F. - l'aggressività rivelata dal medesimo, scaturita dall'interesse delle istituzioni per il suo nucleo familiare, vissuto dal medesimo come una forma di indebita ingerenza, costituirebbe un fenomeno «transitorio, occasionale, di scarsa importanza e non ripetibile».
Inoltre, tenuto conto anche della funzione rieducativa della pena, che peraltro era stata irrogata per fatti pregressi, non andava in alcun modo sopravvalutata da parte della Corte d'appello - che, invece, avrebbe fondato solo su di essa il giudizio negativo sulla capacità genitoriale dell'E. - la condanna del ricorrente «in via definitiva, a seguito del patteggiamento in appello, per il reato di maltrattamenti in famiglia», senza «alcun approfondimento in riferimento alla situazione presente», e senza tenere conto del fatto che «alcuna violenza era mai stata rivolta nei confronti della bambina».
5.2.3. Né, d'altro canto, l'istante sarebbe stato mai avviato, neppure in primo grado, verso alcun percorso terapeutico. Ciò nondimeno, il medesimo avrebbe, di propria iniziativa, intrapreso un percorso privato per cercare di porre rimedio alla sua aggressività, senza che, peraltro, di tale circostanza abbiano tenuto conto né il Tribunale né la Corte d'appello.
5.3. Il terzo e quarto motivo di ricorso principale ed il terzo motivo di ricorso incidentale, limitatamente alla contestata sussistenza di uno stato di abbandono della minore, sono fondati.
5.3.1. Sul piano normativo, invero, le disposizioni degli artt. 1 e 8 della legge n. 184 del 1983 esprimono l'esigenza che l'adozione del minore, recidendo ogni legame con la famiglia di origine, costituisca una misura eccezionale (una "extrema ratio") cui è possibile ricorrere, non già per consentirgli di essere accolto in un contesto più favorevole, così sottraendolo alle cure dei suoi genitori biologici, ma solo quando si siano dimostrate impraticabili le altre misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento con i genitori biologici, ai fini della tutela del superiore interesse del figlio. Il ricorso alla dichiarazione di adottabilità di un figlio minore è consentito, pertanto, solo in presenza di «fatti gravi», indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, che devono essere «specificamente dimostrati in concreto», senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure espressi da esperti della materia, non basati su «precisi elementi fattuali», idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio e di cui il giudice di merito deve dare conto.
Ai fini dell'accertamento dello stato di abbandono quale presupposto della dichiarazione di adottabilità, non basta, pertanto, che risultino insufficienze o malattie mentali, anche permanenti, o comportamenti patologici dei genitori, essendo necessario accertare la capacità genitoriale in concreto di ciascuno di loro, a tal fine verificando l'esistenza di comportamenti pregiudizievoli per la crescita equilibrata e serena dei figli e tenendo conto della positiva volontà dei genitori di recupero del rapporto con essi (Cass. 14/04/2016, n. 7391).
5.3.2. Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre, quindi, nelle sole ipotesi nelle quali entrambi i genitori non siano in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabili per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psico fisico del minore (Cass., 28/03/2002, n. 4503; Cass., 28/04/2008, n. 10809; Cass., 21/06/2018, n. 16357; Cass., 23/04/2019, n. 11171). Il diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine, considerata l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è - per vero - espressamente tutelato dall'art. 1, della I. n. 184 del 1983. Ne consegue che il giudice di merito deve, prioritariamente, tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del fallimento del tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità (Cass., 27/09/2017, n. 22589; Cass., 26/03/2015, n. 6137).
5.3.3. La normativa europea, del resto, fornisce indicazioni molto chiare in tal senso. L'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea («Rispetto della vita privata e della vita familiare») stabilisce che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare [...]». Del pari, l'art. 8 della CEDU ( «Diritto al rispetto della vita privata e familiare») dispone che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare [...]». Ed, al riguardo, la giurisprudenza sovranazionale si è espressa nel senso che l'accertamento giudiziale in ordine alla capacità genitoriale deve tendere a risultati quanto più possibile «certi» in ordine all'eventuale incapacità dei genitori, nell'interesse superiore del minore a vivere nella famiglia di origine. Si è affermato, altresì, che gli Stati membri devono attivare ogni loro risorsa per consentire al minore di vivere preferibilmente nella sua famiglia di origine (Corte EDU, 17/04/2021, A.I. c. Italia; Corte EDU, 12/08/2020, E.C. c. Italia; Corte EDU, 10/09/2019, Strand Lobben e altri c. Norvegia; Corte EDU, 21 gennaio 2014, Zhou e/Italia; Corte EDU, 13 ottobre 2015, S. H. e/Italia).
5.3.4.. Nella prospettiva della conservazione dei rapporti con la famiglia di origine, si pone altresì quel recente indirizzo di legittimità, secondo cui Il giudice chiamato a decidere sulla dichiarazione di adottabilità del minore in stato di abbandono, in applicazione degli artt. 8 CEDU, 30 Cost., 1, I. n. 184 del 1983, e 315 bis, comma 2, c. c., deve accertare l'interesse del medesimo a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, costituendo l'adozione legittimante una «extrema ratio», cui può pervenirsi nel solo caso in cui non si ravvisi tale interesse. In questo contesto il modello di adozione in casi particolari di cui all'art. 44, lett. d), della I. n. 184 del 1983 può, ricorrendone i presupposti, costituire una forma di cd. «adozione mite», idonea a non recidere del tutto, nell'interesse del minore, il rapporto tra quest'ultimo e la famiglia di origine (Cass., 25/01/2021, n. 1476; Cass., 13/02/2020, n. 3643).
5.3.5. Ed inoltre, nella medesima prospettiva si inseriscono quelle pronunce che affermano il medesimo principio, della non disgregazione della famiglia di origine, anche in tema di immigrazione, ribadendo la sussistenza di un diritto all'unità familiare, secondo la norma d'indirizzo generale di cui all'art. 3 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo (ratificata dalla I. n. 176 del 1991 e richiamata dall'art. 28 del d.lgs. n. 286 del 1998), secondo cui «l'interesse del fanciullo deve essere una considerazione preminente». Tale disposizione prescrive, altresì, che gli Stati vigilino affinché il minore non sia separato dai propri genitori biologici (Cass., 21/10/2019, n. 26831; Cass., 19/02/2008, n. 4197). Sempre in materia di immigrazione, si è - dipoi - affermato che il giudice è tenuto a verificare l'esistenza del diritto del cittadino straniero al ricongiungimento familiare anche nel procedimento di convalida del decreto di accompagnamento alla frontiera, trattandosi di evenienza potenzialmente ostativa all'esecuzione del provvedimento di espulsione (Cass., 23/11/2020, n. 26563).
5.3.6. Tale essendo il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, non può revocarsi in dubbio che, in relazione alle due figure genitoriali; debba pervenirsi ad opposte soluzioni. D'altro canto, è evidente che la capacità a svolgere il ruolo del genitore non necessariamente sussiste, ed è riscontrabile, in entrambe le figure genitoriali.
5.3.7. Sotto tale profilo, i due motivi di ricorso della madre devono essere accolti, sia sotto il menzionato profilo della violazione di legge (artt. 1 e 8 della legge n. 184 del 1983), sia sotto il profilo del vizio di motivazione. Al riguardo, va precisato che, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata, sul presupposto che l'accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l'accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (Cass. Sez. U., 12/11/2020, n. 25573).
5.3.7.1. Nel caso concreto, il substrato fattuale della vicenda - quale ricostruito dal giudice di merito - legittima l'accoglimento del ricorso principale sotto entrambi i profili (vizio di motivazione e violazione di legge). Come si è, invero, dianzi precisato, l'incapacità a svolgere il ruolo genitoriale va desunta da fatti gravi, accertati in concreto, prescindendo da insufficienze, debolezze e patologie, anche a carattere tendenzialmente duraturo ed anche se accertate con l'ausilio di esperti, laddove non si manifestino in gesti o atti specifici idonei a disvelare l'incapacità del genitore a porsi come riferimento affettivo ed educativo del minore.
5.3.7.2. Nella vicenda processuale in esame, per contro, la sentenza impugnata non contiene menzione alcuna di comportamenti della madre - in ipotesi - pregiudizievoli per la piccola S., fatta eccezione per trascurabili forme di insicurezza, emotività, comportamenti «infantili», tradottisi in difficoltà a sintonizzarsi pienamente sui bisogni della piccola. I passi della c.t.u. citati nella sentenza si limitano, infatti, ad evidenziare che «la capacità di astrazione e metacognizione delle proprie condotte da parte della CM. è scarsa anche a causa di un livello cognitivo appena sufficiente». Ebbene, sulla base di tale laconica - ed alquanto criptica - conclusione, sulla considerazione di atteggiamenti tutt'altro che pregiudizievoli per la minore (il farla giocare ed il lavarla spesso), e sul parere, peraltro espresso in forma ipotetica - mediante l'uso del condizionale «[n.d.r. i percorsi di recupero] potrebbero portare a cambiamenti non rapidi, in quanto percorsi non finalizzati alla cura di un sintomo ma ad una crescita retrospettiva» - e pressochè apodittica, del c.t.u. la Corte territoriale ha concluso per l'inesistenza dell'incapacità genitoriale della madre.
5.3.7.3. Per converso, manca del tutto un approfondimento in ordine al sostegno realmente offerto dai Servizi Sociali alla donna, per consentirle un miglioramento della propria attitudine all'accudimento ed alla crescita della minore, al di là della apodittica ed aspecifica affermazione delle assistenti sociali, riportata dalla Corte d'appello, di avere offerto alla medesima «una struttura madre-bambina», e che la madre avrebbe «rifiutato tutto». Laddove si tenga conto, poi, del fatto che l'adozione è «l'extrema ratio», e che lo Stato - in forza della normativa e della giurisprudenza europea succitate - deve fare il possibile per salvaguardare il diritto del minore alla propria famiglia d'origine, e ove si consideri che la CM. è stata ritenuta capace di allevare tre figli da sola, non essendo stati i medesimi mai dichiarati adottabili, emerge con chiarezza la totale carenza dell'impianto motivazionale della sentenza impugnata ed il malgoverno delle norme nazionali ed europee posto in essere dalla Corte territoriale.
Ed invero, il substrato fattuale della vicenda in esame, quale accertato dalla sentenza impugnata, non consente di ritenere che la vicenda stessa sia correttamente sussumibile nelle disposizioni degli artt. 1 ed 8 della legge n. 184 del 1983, sullo stato di abbandono del minore, presupposto essenziale per la dichiarazione di adottabilità (art. 15 della stessa legge).
5.3.7.4. Ma vi è di più. La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota anche come Convenzione di Istanbul, dell'l1 maggio 2011, all'art. 18, stabilisce che gli Stati firmatari si impegnano ad «evitare la vittimizzazione secondaria». Essa consiste nel far rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta la vittima di un reato, ed è spesso riconducibile alle procedure delle istituzioni susseguenti ad una denuncia, o comunque all'apertura di un procedimento giurisdizionale. La vittimizzazione secondaria è una conseguenza spesso sottovalutata proprio nei casi in cui le donne sono vittima di reati di genere, e l'effetto principale è quello di scoraggiare la presentazione della denuncia da parte della vittima stessa.
5.3.7.5. Orbene, non è revocabile in dubbio che la procedura di adozione aperta nei confronti dell'ultima figlia della CM. possa, in concreto, tradursi in una forma di «vittimizzazione secondaria», in violazione della disposizione internazionale succitata. Il rilievo -in aggiunta a quanto in precedenza osservato circa la mancanza di fatti specifici rivelatori di una incapacità genitoriale della donna -assume un rilievo pregnante ai fini della valutazione della non correttezza giuridico-fattuale della decisione impugnata.
La sentenza della Corte d'appello si fonda, invero, in buona parte sulla «dipendenza» e sulla «sudditanza» che la CM. avrebbe rivelato nei confronti del marito, il quale ha sottoposto la medesima a violenze e vessazioni continue nel corso della vita coniugale. Tanto da essere stato condannato - come la stessa pronuncia di appello riferisce - «in via definitiva [...] per il reato di maltrattamenti in famiglia», anche in danno dei figli di lei, chiamati ripetutamente «bastardi», e per «lesioni aggravate» in danno della donna. Basti considerare gli episodi del 2 giugno e 15 luglio 2017, nell'ultimo dei quali la medesima riportò un trauma facciale e la deviazione del setto nasale. Ed alla odierna ricorrente è stato, altresì, addebitato, dalla Corte d'appello, di avere ritirato la denuncia sporta nei confronti del marito, nell'evidente timore di ulteriori ritorsioni.
5.3.7.6. Ebbene, è di tutta evidenza che una pronuncia di stato di abbandono di una minore non può essere in alcun caso fondata sullo stato di sudditanza e di assoggettamento in cui vive la madre, per effetto delle reiterate e gravi violenze subite dal proprio partner. A tanto osta tutta la normativa sovranazionale succitata che, per effetto del novellato testo dell'art. 117, primo comma, Cost., costituisce il parametro di legittimità, non soltanto delle decisioni giudiziarie nazionali, ma prima ancora della normativa nazionale e regionale.
5.3.7.7. D'altro canto, è la stessa Corte d'appello ad evidenziare «l'assoluta incapacità del sig. E. di offrire alcun valido progetto di vita alla figlia, essendo del tutto privo di capacità empatica, al contrario prospettandosi in tutta evidenza il suo fermo convincimento di poter imporre a tutti i membri del nucleo familiare un clima sostenuto dall'intimidazione e inevitabilmente volto all'annullamento della loro individualità per l'affermazione esclusiva delle sue opinioni e dei suoi desideri». E tuttavia, la medesima Corte, non solo non ha in alcun modo tenuto conto di tale accertamento in fatto dalla stessa operato sulla personalità violenta e prevaricatrice dell'E., ma ha addirittura imputato alla CM. il fatto di essere in stato di soggezione rispetto al marito, e di avere, per paura, ritirato la denuncia nei suoi confronti, al punto da fondare anche - e soprattutto - su tali circostanze la presunta inidoneità della madre a svolgere il ruolo genitoriale.
5.3.7.8. Nella opposta prospettiva della necessità di considerazione nel processo la situazione in cui si trova la vittima di violenze, si è, per contro, posta la giurisprudenza di queste Sezioni Unite, laddove si è affermato che «da tempo è in atto un fenomeno di emersione e di nuova considerazione della posizione della persona offesa, negli strumenti internazionali generalmente indicata come «vittima» all'interno del processo penale, fenomeno sollecitato, da un lato, dall'allarme sociale provocato dalle varie forme di criminalità violenta via via emergenti (terrorismo, tratta di essere umani, sfruttamento di minori, violenza contro le donne in cui spesso il reato si consuma in contesti dove preesistono legami tra la vittima e il suo aggressore), dall'altro, dagli strumenti internazionali esistenti in materia. L'interesse per la tutela della vittima costituisce da epoca risalente tratto caratteristico dell'attività delle organizzazioni sovranazionali sia a carattere universale, come l'ONU, sia a carattere regionale, come il Consiglio d'Europa e l'Unione Europea, e gli strumenti in tali sedi elaborati svolgono un importante ruolo di sollecitazione e cogenza nei confronti dei legislatori nazionali tenuti a darvi attuazione» (Cass. Sez. U., 29/91/2016, n. 10959).
5.3.7.9. Alla stregua di tutte le considerazioni suesposte, il terzo e quarto motivo di ricorso principale ed il terzo motivo di ricorso incidentale, nei limiti dell'affermazione del diritto della minore a vivere nella famiglia di origine ed alla assenza di un suo stato di abbandono, vanno, pertanto, accolti.
5.4. A diversa conclusione deve, per contro, pervenirsi per il terzo motivo del ricorso incidentale, nella parte in cui fa valere la presunta capacità genitoriale del padre.
5.4.1. La Corte territoriale ha, invero, con ampia e convincente motivazione - fondata anche sulle risultanze della c.t.u. - evidenziato la avvenuta condanna dell'E. per gravi reati, la violazione dei divieto - imposto dal Tribunale per i minorenni - di incontrarsi con la figlia, il menzionato comportamento violento e prevaricatore dal medesimo tenuto nei confronti della moglie e dei di lei figli, il rifiuto della stessa bambina di incontrare il padre, il rifiuto di quest'ultimo di intraprendere un percorso di ravvedimento.
5.4.2. La censura sul punto non merita, pertanto, accoglimento.
6. Dall'accoglimento dei suindicati motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale restano assorbiti gli altri motivi del ricorso incidentale, dovendo demandarsi al giudice di rinvio di rimodulare, alla luce dei principi esposti, il procedimento, provvedendo all'audizione degli eventuali affidatari, e valutando anche eventuali figure vicariali, come la sorella maggiorenne della piccola S. (Cass.,16/02/2018, n. 3915).
7. L'accoglimento del terzo e quarto motivo del ricorso principale e del terzo motivo del ricorso incidentale, nei limiti suindicati, comporta la cassazione dell'impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della vicenda processuale, facendo applicazione dei seguenti principi di diritto: «il ricorso alla dichiarazione di adottabilità di un figlio minore, ai sensi art. 15 della legge n. 184 del 1983, è consentito solo in presenza di fatti gravi, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, a norma dell'art. 8 della stessa legge, che devono essere specificamente dimostrati in concreto, e dei quali il giudice di merito deve dare conto nella decisione, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure formulati da esperti della materia, non basati su precisi elementi fattuali»; «in forza della normativa espressa dagli artt. 7 della Carta di Nizza, 8 della CEDU e 18 della Convenzione di Istanbul, e delle pronunce della Corte EDU in materia, una pronuncia di stato di abbandono di un minore, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 184 del 1983, non può essere in alcun caso fondata sullo stato di sudditanza e di assoggettamento fisico e psicologico in cui versi uno dei genitori, per effetto delle reiterate e gravi violenze subite dall'altro».
8. Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, accoglie il terzo e quarto motivo del ricorso principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale, nei limiti di cui in motivazione; rigetta il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo; dichiara assorbiti tutti gli altri motivi del ricorso incidentale; cassa l'impugnata sentenza con rinvio alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Dispone, ai sensi del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente sentenza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.