Il Giudice di gravame, accogliendo l'impugnazione presentata dagli appellanti avverso la sentenza del Tribunale, condannava l'avvocato al risarcimento dei danni per responsabilità contrattuale.
La pretesa era collegata alle spese di soccombenza sostenute dagli appellanti in un giudizio civile intrapreso per morte di un congiunto, in quanto l'avvocato aveva omesso di informare i...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. L'avvocato R. P. propone ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 1190/20120 della Corte d'appello di Napoli, pubblicata il 27 marzo 2020. Resistono con controricorso A.D. e M.D.
2. La Corte d'appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Nola del 23 gennaio 2015, accogliendo il gravame proposto da A.D. e M.D. ha condannato l'avvocato F.P. al risarcimento dei danni per responsabilità contrattuale nell'importo di complessivi € 31.841,25 oltre interessi e rivalutazione. La domanda risarcitoria era stata proposta in via riconvenzionale da A.D. e M.D. nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo per crediti professionali intimato dall'avvocato P.. La pretesa di risarcimento era correlata alle spese di soccombenza subite dai signori o 11 assistiti dall'avvocato P, in un giudizio civile intrapreso nei confronti della B s.r.l. a seguito del decesso del loro congiunto R.D., avvenuto per intossicazione da ossido di carbonio sprigionato da una stufa prodotta dalla indicata società. L'inadempimento dell'avvocato P. è stato ravvisato nella mancata informazione ai propri clienti dell'esito delle indagini penali e della consulenza tecnica ivi espletata, che avevano escluso la responsabilità della BC s.r.l. per il cattivo funzionamento della stufa, attribuendo la causa dell'evento letale allo stesso defunto R.D., il quale aveva inserito una moneta nel dispositivo di sicurezza dell'utensile per evitare che andasse in blocco. Le conclusioni del procedimento penale, a dire della Corte d'appello, avrebbero dovuto indurre il legale ad avvisare i propri clienti delle scarse probabilità di accoglimento della loro domanda verso la B s.r.l. L'unico motivo di ricorso dell'avvocato R.P. allega che non è stata considerata dalla Corte d'appello di Napoli la sentenza n. 465/2011 del Tribunale di Brescia, nella quale l'uso della moneta per bloccare il meccanismo di spegnimento veniva descritta come una ipotesi dei periti del PM, non essendo stata più reperita la stufa utilizzata da R.D. Il ricorrente sostiene altresì che i signori erano stati da lui informati della archiviazione avvenuta già in data 20 dicembre 2001, essendo poi stato il giudizio risarcitorio intrapreso soltanto il 10 gennaio 2003 ed avendo i clienti non di meno insistito per promuovere la causa civile.
4. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c., in relazione all'art. 375, comma 1, n. 1), c: p.c., il Presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio. Il ricorrente ha presentato memoria.
5. Il ricorso è inammissibile. La censura svolta da pagina 6 a pagina 8 non risulta delimitata da motivo munito di autonoma rubrica, in maniera da assumere una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Sotto questo profilo, il motivo non possiede i caratteri della tassatività e della specificità ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., risolvendosi in una critica generica della sentenza impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili di fatto tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dall'art. 360 c.p.c. Il ricorso auspica dalla Corte di cassazione un diverso apprezzamento degli elementi istruttori valutati dalla Corte d'appello. Peraltro, ove si volesse riferire la doglianza al parametro dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., è da evidenziare che questo, come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, contempla soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Il ricorrente, viceversa, espone il mancato esame di alcuni passaggi motivazionali della sentenza del Tribunale di Brescia, quanto alla causa del malfunzionamento della stufa, il quale comunque non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, visto che i fatti storici, rilevanti in causa, sono stati tutti comunque presi in considerazione dalla Corte d'appello. Né il ricorrente, secondo quanto prescritto dall'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., indica in quali atti dei pregressi gradi di merito avesse provveduto tempestivamente (e dunque nel rispetto delle preclusioni assertive di primo grado e dell'onere di riproposizione delle questioni in appello) ad allegare i relativi specifici passaggi argomentativi della sentenza n. 465/2011 del Tribunale di Brescia.
Il motivo di ricorso non supera nemmeno lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c. (cfr. Cass. Sez. U, 21/03/2017, n. 7155). La Corte di appello di Napoli ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 c. c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. A tal fine incombe su di lui l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo, dovendo ritenersi il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello "(omissis)", attesa la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio (cfr. Cass. Sez. 3, 19/07/2019, n. 19520; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14597).
Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione nell'importo liquidato in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.