La Cassazione ha ribadito che la funzione equilibratrice dell'assegno è finalizzata al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
L'attuale ricorrente propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello che aveva accolto l'impugnazione proposta dall'ex coniuge e respinto la sua domanda riconvenzionale di accertamento del diritto all'assegno divorzile nella misura di 4mila euro mensili.
Tra i motivi di ricorso, la ricorrente lamenta il fatto che la Corte territoriale abbia...
Svolgimento del processo
1. La signora M.S. ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Ancona, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’ex coniuge, C.C., ed in parziale riforma della sentenza di primo grado - emessa dal Tribunale di Ancona che, nell’introdotto giudizio di scioglimento del matrimonio contratto tra le parti, aveva riconosciuto alla signora S. un assegno mensile di euro 1.500,00 -, ha respinto la domanda riconvenzionale della ricorrente di accertamento del diritto ad un assegno divorzile nella misura di euro 4.000,00 mensili con decorrenza dalla domanda, e, per l’effetto, rigettato l’appello incidentale. La Corte territoriale ritenuta l’ammissibilità dei nuovi documenti prodotti nel giudizio camerale di appello, celebrato nelle forme proprie dei giudizi in materia di separazione e divorzio, ed apprezzato quanto prodotto nel grado dall’appellante, ha concluso, nell’accertata autosufficienza economica dell’appellata, signora S., per l’insussistenza del suo diritto a percepire l’assegno divorzile. La Corte di merito ha, nel resto, ritenuto non rilevante, al fine del disconoscimento dell’indicata posta, la produzione della relazione investigativa attestante l’esistenza di una relazione della richiedente l’assegno con un terzo.
2. Resiste con controricorso C.C.. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis 1. Cod. proc. civ.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente fa valere la nullità dell’impugnata sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 167, 183, sesto comma, e 345, terzo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto utilizzabili, ai fini della decisione, i nuovi documenti allegati nel giudizio di secondo grado. Il rito camerale previsto per l’appello nei giudizi in materia di separazione e divorzio non può derogare ai principi propri del rito ordinario, consentendo di sanare decadenze processuali in cui le parti siano incorse nella prima fase del giudizio.
Poiché le vicende descritte dai prodotti documenti si erano verificate dopo la scadenza dei termini concessi dal giudice alle parti ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., ma prima della fase di precisazione delle conclusioni, controparte avrebbe dovuto chiedere al tribunale di essere rimessa in termini e quindi autorizzata a produrre tutta la documentazione, attinente alle società C. Srl e C.R. di C. R. S.n.c. ed ai rapporti intercorrenti tra le due aziende, ritenuti rilevanti nell’impugnata sentenza, per ricostruire i redditi dell’ex coniuge, richiedente l’assegno, e la sua autosufficienza economica. Alcuni documenti, poi, erano in possesso della parte sin dal primo grado di giudizio all’interno del quale, pertanto, dovevano essere prodotti, non sussistendo impedimenti in tal senso.
2. Con il secondo motivo la ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.. La Corte di appello aveva negato alla ricorrente il diritto all’assegno sul presupposto della sua autosufficienza economica senza valutare l’adeguatezza dei mezzi e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, in relazione al tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio. Separazione e divorzio sono aspetti giuridici della medesima crisi coniugale e vanno trattati al medesimo modo non potendo il giudizio sulla indipendenza economica, richiesto dalla più recente giurisprudenza di legittimità, rendere lettera morta la previsione contenuta nella norma sul contributo dato dagli ex coniugi alla conduzione familiare, la formazione del reddito comune e di ciascuno in rapporto alla durata del matrimonio.
3. Con il terzo motivo la ricorrente fa valere la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per travisamento della prova ed omesso esame di fatto decisivo del giudizio, oggetto di discussione tra le parti. In difetto dell’individuazione da parte della giurisprudenza, dopo la sentenza della Corte di cassazione n. 11504 del 2017, di un reddito di riferimento per stabilire l’autosufficienza economica dell’ex coniuge, il criterio di valutazione doveva ritenersi integrato, in concreto, nel reddito medio goduto dalla classe economico- sociale di appartenenza degli ex coniugi. I mezzi adeguati per vivere autonomamente non possono che essere rapportati alla condizione sociale ed economica delle parti, ai loro redditi ed al tenore di vita, passato ed attuale, nella finalità di riequilibrare le fortune economiche dei coniugi. La Corte non si era attenuta al criterio ed aveva travisato la documentazione prodotta in atti non valutando l’età non più giovane della donna, di anni 46, e la sua incapacità di reperire una nuova occupazione destinata a garantirle un’esistenza decorosa. Quanto ricavato dalla cessione delle quote sociali era stato impiegato per far fronte ai bisogni primari e, una volta evitato il fallimento di una delle società, di cui era stata titolare, la ricorrente era alla ricerca di nuova occupazione ostacolata dall’età, nel rapporto con il contesto di appartenenza, e dalla grave crisi del settore dell’abbigliamento. Quanto statuito poi dalle parti in sede di separazione, in cui i coniugi davano atto di essere entrambi muniti di adeguato reddito, non poteva valere, di contro a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, che era così incorsa in violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., a sostenere l’esclusione dell’assegno divorzile nella diversità dei due istituti.
4. Il controricorrente ha eccepito l’improcedibilità/inammissibilità del ricorso per inosservanza del protocollo del 17 dicembre 2015 e ancora l’improcedibilità del ricorso per omessa produzione di atti e documenti ex art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ.
5. In via preliminare vanno scrutinate le eccezioni di inammissibilità di improcedibilità del ricorso sollevate dal controricorrente; esse sono infondate. Come da questa Corte già affermato, con principio qui condiviso nella condivisibile sua ragionevolezza, “il protocollo d'intesa fra la Corte di cassazione e il Consiglio nazionale forense non può radicare, di per sé, sanzioni processuali di nullità, improcedibilità o inammissibilità che non trovino anche idonea giustificazione nelle regole del codice di rito. Ne consegue che non può essere considerato improcedibile il ricorso ove il ricorrente non abbia provveduto alla formazione di apposito fascicoletto contenente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, atteso che l'onere del ricorrente di cui all'art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., come modificato dall'art. 7 del d. lgs. n. 40 del 2006 è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, anche mediante la produzione del fascicolo di parte del giudizio di merito, mentre per gli atti e i documenti del fascicolo d'ufficio, è sufficiente il deposito della richiesta di trasmissione del fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, ferma in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6 c.p.c., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi” (Cass. 29/07/2021, n. 21831; vd., Cass. 24/04/2018, n. 10112, massimata su altro, p. 8 motivazione).
6. Nel resto.
6.1. Il primo motivo è infondato.
Il rito camerale previsto per l’appello avverso le sentenze di divorzio e separazione personale (ex art. 4, comma 15, legge n. 898 del 1970), essendo caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, esclude la piena applicabilità delle norme del rito ordinario (Cass. 1179/2006; Cass. 6094/2018) con conseguente ammissibilità di una produzione documentale fino all’udienza di precisazione delle conclusioni purché sia garantito il contraddittorio e quindi il diritto dell’altra parte ad interloquire sulla tardiva produzione documentale (da ultimo massimata, sul punto: Cass. 30/11/2020, n. 27234; ex multis, ancora: Cass. 13/04/2012, n. 5876; Cass. 11319/2005; Cass. 8547/2003; vd. Cass. 6094/2018).
L’affermazione, pacifica nelle conclusioni di questa Corte, merita di trovare continuità applicativa nel mancato efficace contrasto con il proposto ricorso.
6.2. Per l’indicato orientamento nei giudizi di separazione o divorzio vanno distinte due fasi autonome: l’una, relativa al primo grado di giudizio, governata dalle preclusioni dettate dal rito ordinario quanto alla definizione del tema di decisione e prova; l’altra, propria dell’appello, sommaria nella cognizione e semplificata nelle forme ex art. 737 cod. civ. che resta governata dal rispetto del fondamentale principio del contraddittorio. La tardività delle produzioni documentali nel giudizio di appello svoltosi in materia di separazione e divorzio nelle forme cameralizzate non deriva, pertanto, dalla inosservanza dei termini di decadenza maturati in primo grado, ma dalla del termine che il giudice di appello abbia concesso alle parti per l’indicato incombente, la cui inosservanza è, comunque ed in ogni caso, di impedimento all’ammissibilità della produzione solo là dove controparte che ne abbia eccepito la tardività, non abbia potuto interloquire sui contenuti della produzione. Le produzioni documentali, curate in appello da C.C. (documentazione relativa alla C. s.r.l., alla C.R. di C. R. S.n.c. ed ai rapporti tra le due aziende; estratto registro imprese; relazione investigativa) dopo i termini previsti in primo grado per la definizione del tema di prova, non hanno ragione per essere escluse in appello una volta assoggettate al regime destinato a valere nel grado e quindi, in mancanza di contestazioni, portate dalla parte che censuri la produzione, in punto di contraddittorio, non venendo peraltro neppure adombrata l’inosservanza di un termine concesso a tal fine dal giudice di appello.
5. Il secondo motivo ed il terzo, da trattarsi congiuntamente perché connessi, sono invece fondati. L'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge ha natura assistenziale, ma anche perequativo-compensativa, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà, che conduce al riconoscimento di un contributo volto non a conseguire l'autosufficienza economica del richiedente sulla base di un parametro astratto, bensì un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella vita familiare in concreto, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate, fermo restando che la funzione equilibratrice non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. 28/02/2020, n. 5603; Cass. SU 11/07/2018, n. 18287).
6. La ricorrente ha dedotto sul proprio ruolo all’interno della famiglia e sulla correlazione tra il primo ed il riconoscimento dell’assegno divorzile in forza del nuovo criterio che coniuga sperequazioni reddituali, con ruoli e rinunce operate dal richiedente, per scelte condivise con l’altro coniuge, durante ed a causa della vita matrimoniale.
7. La Corte dorica non si è attenuta all’indicato principio ed in accoglimento dei motivi la sentenza va cassata con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Ancona, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Si dispone che ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il primo motivo di ricorso e accolti i restanti, nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa davanti la Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Dispone che ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.