Il Tribunale condannava l'imputato per il reato di contraffazione di documenti, finalizzata a far ottenere illecitamente il permesso di soggiorno ad alcuni cittadini extracomunitari.
Confermata la condanna anche in appello, l'imputato ricorre per cassazione indicando, come unico motivo, la carenza di un iter argomentativo esaustivo, da parte dei giudici di merito, nella...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa il 10/01/2018 il Tribunale di Vercelli giudicava M.B. colpevole dei reati ascrittigli ai capi B (art. 110 cod. pen. e 5, comma 8-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n.286) e C (artt. 81, comma secondo, 110 e 494 cod. pen.), unificati dal vincolo della continuazione, condannando l'imputato alla pena di un anno e due mesi di reclusione. L'imputato M. B., inoltre, veniva condannato alle pene accessorie di legge e al pagamento delle spese processuali.
2. Con sentenza emessa il 07/02/2020 la Corte di appello di Torino, in riforma della decisione impugnata da M. B., dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione per il reato di cui al capo C e rideterminava la pena per il residuo delitto, ascritto all'imputato al capo B, in un anno di reclusione. La sentenza di primo grado, nel resto, veniva confermata.
3. Da entrambe le sentenze di merito, che divergevano nei termini processuali che si sono richiamati, emergeva che M. B. aveva contraffatto i documenti relativi alla richiesta di emersione del lavoro di alcuni cittadini extracomunitari, allo scopo di fare ottenere loro il rilascio del permesso di soggiorno. Questa ricostruzione dei fatti di reato, contestati all'imputato ex artt. 110 cod. pen. e 5, comma 8-bis, T.U. imm., si fondava sulle dichiarazioni rese dai testi T.P.e G.N., i cui documenti di riconoscimento erano stati utilizzati dall'imputato per effettuare la contraffazione documentale contestata al capo B, che riferivano di avere consegnato la documentazione controversa al ricorrente per ragioni differenti dall'assunzione dei cittadini extracomunitari oggetto di vaglio. Ne discendeva che il ricorrente aveva contraffatto i documenti di riconoscimento che gli erano stati consegnati da P.e N., allegandoli alle istanze di emersione del lavoro dei cittadini extracomunitari di cui curava le pratiche, allo scopo di consentire loro il rilascio del permesso di soggiorno, sulla base di presupposti soggettivi, in realtà, insussistenti. Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi, l'imputato M.B. veniva condannato alle pene di cui in premessa.
3. Avverso questa sentenza M. B., a mezzo dell'avvocato R.A., ricorreva per cassazione, articolando un'unica censura difensiva. Con tale doglianza si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della configurazione della fattispecie contestata al ricorrente ex art. 5, comma 8-bis, T.U. imm., i cui elementi costitutivi non potevano essere ravvisati nel caso di specie, concretizzandosi la condotta di B. nella mera indicazione di documenti veri e mai falsificati per consentire il rilascio del permesso di soggiorno a cittadini extracomunitari. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
1. Il proposto da M.B. è fondato nei termini di seguito indicati.
2. Osserva il Collegio che all'imputato si contesta, ai sensi dell'art. 5, comma 8-bis, T.U. imm., di avere contraffatto i documenti di riconoscimento che gli erano stati consegnati da T.P. e G.N., allegandoli alle istanze di emersione del lavoro dei cittadini extracomunitari di cui curava le pratiche, allo scopo di consentire loro il rilascio del permesso di soggiorno sulla base di presupposti soggettivi insussistenti. Occorre, pertanto, verificare preliminarmente se i comportamenti contestati a B. siano sussumibili nella fattispecie di cui all'art. 5, comma 8-bis, T.U. imm., a tenore del quale: «Chiunque contraffà o altera un visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno, ovvero contraffà o altera documenti al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno oppure utilizza uno di tali documenti contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da tre a dieci anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale». A tale quesito occorre fornire risposta negativa. Deve, invero, rilevarsi che costituisce un dato probatorio incontroverso quello secondo cui i comportamenti criminosi contestati a M.B. non riguardavano condotte di falsificazione materiale dei documenti di riconoscimenti che gli venivano consegnati, ma condotte di falsificazione ideologica, che non possono essere sanzionate dall'art. 5, comma 8-bis, T.U. imm., che, all'evidenza, punisce le sole falsità materiali, consistenti in contraffazioni o alterazioni, commesse dall'agente. Né è possibile dubitare del fatto che i comportamenti contestati a B. riguardavano il contenuto della documentazione presentata e non il loro confezionamento, alla luce di quanto dichiarato da T.P. e G.N., i cui documenti erano stati utilizzati dall'imputato per effettuare l'attività di falsificazione contestata al capo B, che riferivano di avere consegnato le loro carte di identità al ricorrente per ragioni differenti dall'assunzione dei cittadini extracomunitari oggetto di vaglio giurisdizionale. I titolari dei documenti, pertanto, erano del tutto inconsapevoli del fatto che B.li avrebbe utilizzati per consentire a cittadini extracomunitari di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno, rendendo evidenti gli obiettivi di falsificazione ideologica perseguiti dal ricorrente, che non potevano essere sanzionati ai sensi dell'art. 5, comma 8- bis, T.U. imm.. Non può, in proposito, non ribadirsi che la costruzione falsa non atteneva alla formazione del documento, che - provenendo da soggetti legittimati a formarlo e contenendo i dati identificativi del lavoratore da assumere, intestando il contratto a datori di lavoro esistenti - non risultava né contraffatto né alterato, riguardando la condotta successiva. Tale frazione comportamentale, infatti, concerneva la mancata instaurazione del rapporto di lavoro indicato nelle pratiche di emersione lavorativa presentate da M. B., che non concretizzava un'ipotesi di falsità materiale, ma un'ipotesi di falsità ideologica, che non rientrava nella condotta tipica della fattispecie incriminatrice contestata ex art. 5, comma 8-bis, T.U. imm.. Né potrebbe essere diversamente, atteso che, come da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite, le attività di contraffazione o di alterazione che determinano una falsità materiale si concretizzano sia quando si confeziona un documento che si caratterizza per la discordanza tra autore reale e autore apparente, con conseguente inganno sull'identità del soggetto che lo ha formato, sia quando un atto viene formato in totale assenza dei presupposti per la sua formazione (Sez. U, n. 35814 del 28/03/2019, Marcis, Rv. 276285-01). Queste connotazioni, a ben vedere, non sono rinvenibili nei comportamenti di M. B., che si limitava a presentare alcune richieste di emersione lavorativa di cittadini extracomunitari, alle quali non faceva seguire la loro assunzione da parte dei datori di lavoro indicati nelle relative istanze, che avevano consegnato i loro documenti di identità per ragioni differenti da quelli per cui erano stati utilizzati dall'imputato. Ne discende conclusivamente che le condotte contestate a M.B.al capo B della rubrica non valgono a concretizzare ipotesi di falsificazione materiale, realizzate mediante contraffazione o alterazione di documenti, relative a «un visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno [...]», imponendo di escludere che i suoi comportamenti possano essere sussunti nella fattispecie incriminatrice di cui all'art. 5, comma 8-bis, T.U. imm..
3. Le considerazioni esposte impongono di annullare senza rinvio la sentenza impugnata, relativamente al reato di cui al capo B, che residua in questa sede, per l'insussistenza del fatto contestato a M. B..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato di cui al capo B perché il fatto non sussiste.