In applicazione del principio di precauzione, qualora il giudicato esterno si sia formato nell'imminenza della scadenza del termine per la predisposizione e spedizione del ricorso per cassazione, è consentito al ricorrente che abbia già allegato la sentenza di merito priva dell'attestazione di cancelleria sull'avvenuto giudicato, depositare la stessa con la memoria successiva.
La vicenda ha ad oggetto un contezioso tributario nato da un accertamento concernente una compagine societaria ritenuta «di comodo», ove la soccombente in secondo grado si rivolgeva alla Corte di Cassazione lamentando, tra i diversi motivi di ricorso, che per il periodo di imposta precedente rispetto a quello oggetto del provvedimento, la stessa Commissione Tributaria Regionale della...
Svolgimento del processo
1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l'appello (omissis)
proposto dalla S.p.a., in liquidazione, avverso la sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Como (n.77/1/14) che aveva rigettato il ricorso presentato dalla contribuente contro l'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, per l'anno 2008, ritenendo la compagine societaria come "di comodo", ai sensi dell'art. 30 della legge n. 724 del 1994. In particolare, il giudice d'appello riteneva tempestiva la costituzione nel giudizio di primo grado della Agenzia delle entrate e considerava legittima l'ordinanza del giudice di prime cure che aveva rinviato l'udienza al 10 dicembre 2013, in modo da consentire il rispetto del termine di 20 giorni prima di cui all'art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992. Quanto all'eccepito difetto di motivazione dell'avviso di accertamento, la Commissione regionale evidenziava l'allegazione del diniego della Direzione regionale della Lombardia all'interpello presentato dalla società, con esposti i motivi del diniego. Tra l'altro, l'atto impositivo recava l'indicazione da parte della società nella dichiarazione dei redditi di un reddito contabile di euro 0,00. Quanto al merito, lo stato di liquidazione non era incluso tra le cause di non applicabilità della disciplina delle società di comodo. Inoltre,la contribuente aveva concesso in locazione la propria azienda per un notevole (omissis) lasso di tempo alla . s.r.l., con contratto ancora in corso, sicché vi era stata (omissis) continuazione dell'attività della S.p.a. Nè vi era prova che gli introiti della locazione fossero destinati al mantenimento dei beni aziendali a favore poi dei creditori sociali per il ripiano di tutte le posizioni debitorie.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, depositando anche memoria scritta.
3. Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate.
Motivi della decisione
1. Con il primo "complesso" motivo di impugnazione la società deduce la "violazione o falsa applicazione dell'art. 34, terzo comma, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. - erronea valutazione sul vizio del procedimento di primo grado del giudizio - nullità della sentenza impugnata in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c.". In particolare, il primo motivo è stato suddiviso in 2 motivi (1 A e 1 B).
1.1. Con il primo motivo, 1.A., rubricato a pagina 10 del ricorso per cassazione sub 1.A, come "violazione art. 34, terzo comma, d.lgs. n. 546 del 1992", la società deduce l'illegittimità dell'ordinanza con cui la Commissione tributaria provinciale di Como ha disposto il rinvio dell'udienza dal 13 novembre 2013 al 10 dicembre 2013. In realtà, per la ricorrente, l'art. 34 del d.lgs. n. 546 del 1992, consente al giudice tributario il differimento della discussione a udienza fissa, solo su istanza della parte interessata. Tale stanza non era stata presentata nel caso in esame. Tra l'altro, con lo slittamento dell'udienza si sarebbe illegittimamente consentito all'Ufficio di rispettare termini perentori fissati dell'art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, di 20 giorni liberi prima della data di trattazione per il deposito di documenti fra cui, in particolare, la delega di sottoscrizione, indispensabile ai fini del giudizio. Pertanto, "pur ammettendo che l'Ufficio si fosse costituito nel giudizio di primo grado in data 4 novembre 2013, tempestivamente nel rispetto dei termini di quell'art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992", tuttavia la produzione di documenti allegati alle controdeduzioni era tardiva, rispetto al termine di 20 giorni liberi dall'udienza di trattazione, fissata originariamente per la data del 13 novembre 2013.
2. Con il secondo motivo, 1.B., rubricato a pagina 13 del ricorso per cassazione sub 1.B., la società deduce la "violazione art. 31 d.lgs. n. 546 del 1992". La segreteria della Commissione tributaria provinciale deve, infatti, dare comunicazioni soltanto alle parti costituite almeno 10 giorni liberi prima dell'udienza, ai sensi dell'art. 31 del d.lgs. n. 546 del 1992. L'Ufficio, invece, si è costituito solo in data 4 novembre 2013, sicché la segreteria, per rispettare il termine di 10 giorni liberi prima dell'udienza, ha dovuto dare notizia dell'udienza di trattazione del 13 novembre 2013, sicuramente in data anteriore alla sua costituzione.
3. Con il terzo motivo di impugnazione, rubricato sub 2/A a pagina 14 del ricorso per cassazione come "inesistenza della delega", la ricorrente deduce la "violazione o falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. - Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.-Inesistenza della delega e/o eccesso di delega". Infatti, la ricorrente, già con il ricorso di primo grado, aveva sollevato la questione preliminare della carenza della delega di sottoscrizione, con violazione dell'art. 42, del d.P.R. n. 600 del 1973, non recando l'avviso di accertamento la sottoscrizione del capo dell'ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Solo nelle controdeduzioni al giudizio di primo grado l'Ufficio aveva allegato il documento n. 3 "copia delega di firma". Tale documento, seppure denominato "conferimento delega di firma", di fatto però non presentava i requisiti specifici di una delega alla sottoscrizione di atti emessi dall'Agenzia delle entrate. Tale documento, dunque, aveva soltanto valenza di atto interno, senza alcuna rilevanza esterna. Il documento, infatti, era privo delle indicazioni nominative degli eventuali funzionari delegati, nè illustrava le specifiche motivate esigenze di servizio, che giustificavano l'attribuzione delle funzioni agli impiegati nominativamente indicati, nè individuava il periodo di efficacia della delega.
4. Con il quarto motivo di impugnazione, rubricato sub 2/B a pagina 15 del ricorso per cassazione, la ricorrente deduce il vizio di "eccesso di delega", in quanto la sottoscrizione della delega è costituita da una semplice sigla illeggibile. Inoltre, poiché l'Ufficio aveva accertato maggiori imposte inferiori ad euro100.000, il sottoscrittore dell'avviso di accertamento aveva agito in difformità e al di fuori dei limiti imposti dalla delega, come fissati nella tabella B dell'atto depositato dall'Ufficio. Infatti, nell'atto della 7 maggio 2012 del Direttore provinciale, prodotto, tardivamente, in allegato alle controdeduzioni dell'Ufficio per la costituzione del primo grado, i limiti della delega di cui alla tabella B di dovevano essere riferiti alla maggiore imposta complessivamente accertata, al netto delle relative sanzioni ed interessi. Poiché, nella specie l'avviso conteneva una ripresa tassazione per euro 75.150,00 di IRES ed euro 10.109,00 di Irap, per un totale di euro 85.759,00, non era stato raggiunto il limite minimo di euro 100.000,00, non potendosi computare le sanzioni ed interessi.
5. Con il quinto motivo di impugnazione, rubricato sub 3 a pagina 15 del ricorso, la ricorrente si duole "dell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. - Omessa valutazione alle oggettive situazioni che hanno impedito il superamento del test di operatività - Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 360, primo / comma, n. 3, c.p.c.". Il giudice d'appello, infatti ha affermato di non poter accogliere le doglianze della società, in quanto lo stato di liquidazione non rientrerebbe tra le cause di non applicabilità della disciplina sulle società di comodo. In realtà, la società ha chiesto la disapplicazione delle norme sulle società di comodo, non perché si trovasse in stato di liquidazione, ma perché la liquidazione si era svolta con modalità peculiari, ivi compresa la locazione, per la particolare complessità dell'attività di liquidazione. In particolare, la società si trovava in una drammatica situazione finanziaria al 31 dicembre 1997 ed aveva tentato di trovare un accordo con le banche per ripianare i debiti. In data 30 aprile 1998 ha concesso in affitto il ramo d'azienda e per l'edilizia, per la durata di 9 anni, a decorrere dal 14 aprile 1998 sino al 13 aprile 2007, per il canone annuo di lire 498.000.000, ad una terza società, la S.r.l., dotata all'epoca di una compagine sociale del tutto diversa da quella della ricorrente. Successivamente, in data 19 febbraio 2001, ha convenuto la riduzione del canone annuo di affitto a lire 240.000.000. Ciò in considerazione dell'intervenuto acquisto da parte dell'affittuaria S.r.l. di una rilevante parte dei beni costituenti il ramo d'azienda originariamente affittato. In data 13 aprile 2007 è stato prorogato il contratto di affitto di azienda fino al 31 dicembre 2009. In data 29 settembre 1998, a causa della perdita integrale del capitale sociale, in ottemperanza agli obblighi di cui all'art. 2447 e.e., la società ha deliberato lo scioglimento anticipato della società con nomina del liquidatore. Inoltre, l'effettività dell'attività di liquidazione è dimostrata dalla circostanza che anche nel 2008 è stato conferito l'incarico a primarie agenzia immobiliare per la vendita di alcuni immobili di proprietà, con vendita di alcuni terreni in data 30 maggio 2007. Né v'è stato alcun danno per l'Erario, in quanto dal modello unico 2009 (omissis) della società affittuaria, S.r.l., si deduce che questa ha conseguito un utile civilistico al 31 dicembre 2008 di euro 283.188,00 con un reddito imponibile Ires dichiarato di euro 758.772,00. Pertanto, ove il canone di affitto incassato da(omissis) S.p.A. fosse stato non inferiore a quello determinabile con l'applicazione dei (omissis) criteri delle società di comodo, la S.p.A. avrebbe dichiarato un maggiore reddito imponibile, ma l'affittuaria avrebbe conseguito un minor imponibile Ires di pari importo. Pertanto, la complessità, le modalità ed i vincoli cui sono subordinate le operazioni di liquidazione giustificano la durata della stessa.
6. Con il sesto motivo di impugnazione, rubricato sub 4 a pagina 21 del ricorso per cassazione, la ricorrente lamenta "l'omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. mancanza di intento elusivo". Va chiarito, che, all'epoca della stipula del (omissis) (omissis) contratto di affitto tra I'. S.p.A. e I' S.r.l. non esisteva alcuna forma di collegamento societario. L'ipotizzata fusione tra · S.p.A. ed S.r.l., opposta dall'Ufficio, è rimasta un semplice progetto, inidoneo a supportare in fatto ed in diritto alla sussistenza, anche in fase embrionale, dell'intento elusivo. In realtà, senza l'affitto d'azienda, il destino della società era inevitabilmente quello del fallimento. Tuttavia, ciò non è sufficiente per affermare che l'affitto d'azienda, la messa in liquidazione, la negoziazione con le banche creditrici ed i pagamenti, oltre alla vendita del patrimonio immobiliare, siano stati posti in essere con specifico intento elusivo. Non si può, quindi, trarre la conclusione che gli introiti derivanti dall'affitto d'azienda non fossero destinati al solo mantenimento dei beni aziendali a favore poi dei creditori sociali per il ripiano di tutte le posizioni debitorie.
7. Con il settimo motivo di impugnazione, rubricato sub 5 a pagina 24 del ricorso per cassazione, la ricorrente deduce la" violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.-Contrasto di giudicato sulle oggettive situazioni che hanno impedito il superamento del test di operatività e sulla mancanza di intento elusivo". Invero, per l'anno 2007, si è pronunciata in modo diametralmente opposto la Commissione tributaria regionale di Milano, con sentenza n. 4804/7/2014, depositata in data 22 settembre 2014, che ha rigettato l'appello dell'Ufficio ed ha annullato l'avviso di accertamento. Tale sentenza, pur non essendo allo stato oggetto di statuizione assistita dall'efficacia del giudicato, può essere utilizzata ai fini della decisione del presente ricorso.
8. Va esaminato preliminarmente, il settimo motivo, con riferimento alla sussistenza di un giudicato, sull'annualità 2007.
8.1. Il motivo è fondato.
8.2. Invero, la società ha evidenziato, al momento della predisposizione e spedizione del ricorso per cassazione (24 marzo 2015), che la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 4804/7/2014, depositata il 22 settembre 2014, al momento della spedizione del ricorso per cassazione, non era ancora passata in giudicato. La società ha provveduto ad allegare tale sentenza al ricorso per cassazione (allegato sub 2), seppure sprovvista a quella data, della attestazione dell'avvenuto passaggio in giudicato da parte della cancellaria, essendosi formato il giudicato soltanto un giorno prima, il 23 marzo 2015, quindi solo un giorno prima della spedizione del ricorso per cassazione. In effetti, quando è stato predisposto il ricorso per cassazione la sentenza era passata in giudicato solo da 2 giorni (il 22 marzo 2015), dovendosi applicare il termine lungo di sei mesi di cui all'art. 327, primo comma, c.p.c., come modificato dalla legge n. 69 del 2009, in base al computo effettuato "nominatione dierum" e non "numeratione dierum". Invero, nel computo dei termini processuali mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall'impugnazione ex art. 327 c.p.c., si osserva, a norma degli artt. 155, comma 2, c.p.c., e 2963, comma 4, e.e., il sistema della computazione civile, non "ex numero" bensì "ex nominatione dierum", nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall'effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale (Cass., sez. 5, 15 luglio 2020, n. 15029).
8.3. La società ha provveduto a depositare altra copia della sentenza della Commissione regionale n. 4804/7/2014, munita questa volta della attestazione della cancelleria di avvenuto passaggio in giudicato (Cass., sez. L, 9 settembre 2008, n. 22883), con la memoria depositata ai sensi dell'art. 380 bis.1. c.p.c., non oltre dieci giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio.
9. Anzitutto, si osserva che la produzione della sentenza passata in giudicato non è impedita dall'art. 372 c.p.c., a condizione che il giudicato si sia formato successivamente alla sentenza impugnata, come è avvenuto nel caso in esame, essendo tale divieto volto a limitare la produzione di documenti formatisi nel corso del giudizio di merito (Cass., sez. 2, 22 gennaio 2018, n. 1534). L'art. 372 c.p.c., invece, inibisce alla parte di invocare l'efficacia di un giudicato di una pronuncia anteriore a quella impugnata, che non sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo. In particolare, questa Corte, a sezioni unite, ha affermato che nel giudizio di cassazione, l'esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell'ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del "ne bis in idem", corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all'attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall'art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; questi ultimi, d'altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una "regula iuris" alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l'ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l'impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all'udienza di discussione prima dell'inizio della relazione (Cass., sez.un., 16 giugno 2006, n. 13916; Cass., sez. 1, 23 dicembre 2010, n. 26041).
10. La questione dirimente, però, nel caso in esame, è quella relativa alla necessità, individuata dalle sezioni unite di questa Corte, ma anche da altre pronunce di legittimità (Cass., sez. 5, 7 maggio 2008, n. 11112; Cass., sez. 5, 18 ottobre 2017, n. 24531; Cass., sez. 6-5, 1° giugno 2015, n. 11365), per il ricorrente in cassazione di produrre la sentenza passata in giudicato contestualmente al ricorso ove il giudicato si sia formato "in pendenza del termine per l'impugnazione".
11. Nella specie, però, la sentenza impugnata pronunciata dalla Commissione regionale della Lombardia, n. 5051/46/2014, depositata il 29 settembre 2014, sarebbe passata in giudicato il 30 marzo 2015. Pertanto, la ricorrente aveva tempo solo fino al 29 marzo 2015 per la predisposizione e la spedizione del ricorso per cassazione. La società, quindi, ha correttamente prodotto la sentenza (CTR Lombardia, n. 4804/7/2014, depositata il 22 settembre 2014, passata in giudicato il 22 marzo 2014), senza attestazione di cancelleria, con il ricorso in cassazione spedito il 24 marzo 2015. 12. Pertanto, se la ricorrente avesse dovuto attendere il passaggio in giudicato della sentenza prodotta in giudizio con il ricorso per cassazione, avrebbe rischiato la tardività del ricorso per cassazione, in quanto il termine ultimo per la spedizione era il 29 marzo 2015. Imporre al ricorrente di attendere l'avvenuto passaggio in giudicato, da attestare da parte della Cancelleria, della sentenza di merito, avrebbe costituito una condotta inesigibile per il contribuente che, per il principio di "precauzione" o di "prudenza" non può essere costretto ad attendere l'ultimo giorno utile per proporre il ricorso per cassazione.
13. Peraltro, per questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, a fronte di un'eccezione di giudicato esterno, ancorché meramente assertiva, è compito del giudice di legittimità verificare l'effettiva esistenza di una pronuncia avente tale valenza poiché il giudicato esterno è assimilabile agli elementi normativi ed il suo accertamento, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, è effettuabile anche d'ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, in quanto corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione (Cass., sez. 3, 26 ottobre 2017, n. 25432). Tanto più che, nella specie, la contribuente aveva allegato al ricorso per cassazione la sentenza della CTR Lombardia, pur senza l'attestazione del passaggio in giudicato, quindi con l'impiego della massima diligenza da parte del suo difensore.
13.1. Deve, quindi, essere enunciato il seguente principio di diritto, trattandosi di questione di diritto di particolare importanza ai sensi dell'art. 384, primo comma, c.p.c. :"Il giudicato esterno, utilizzabile nel processo tributario per la sua capacità espansiva anche nei casi in cui può incidere su elementi riguardanti più periodi di imposta, può essere dedotto e provato anche per la prima volta in sede di legittimità, purché, però, esso si sia formato dopo la conclusione del giudizio di merito o dopo il deposito del ricorso per cassazione; se però il giudicato si sia formato nell'imminenza della scadenza del termine per la predisposizione e la spedizione del ricorso per cassazione è consentito al ricorrente, che abbia già allegato, con il ricorso per cassazione, la sentenza di merito, priva dell'attestazione di cancelleria sull'avvenuto giudicato, depositare con la memoria successiva la medesima sentenza, munita stavolta dell'attestazione di cancelleria, dovendosi tenere conto del principio di precauzione e non potendosi imporre al ricorrente di predisporre il ricorso per cassazione negli ultimi giorni utili per l'impugnazione, rischiando così di incorrere nella sanzione processuale della inammissibilità del ricorso per tardività".
14. Quanto al giudicato tributario si rileva che, per questa Corte, a sezioni unite (Cass., sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916), qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il "petitum" del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell'autonomia dei periodi d'imposta, in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d'imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d'altronde coerente non solo con l'oggetto del giudizio tributario, che attraverso l'impugnazione dell'atto mira all'accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell'accertamento dell'Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell'annullamento dell'atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l'efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale "norma agendi" cui devono conformarsi tanto l'Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell'individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d'imposta. Nel caso in esame, la Commissione regionale della Lombardia, passata in giudicato, n. 4804/2014, depositata il 22 settembre 2014, con riferimento all'anno di imposta 2007, ha affrontato la medesima situazione di fatto, caratterizzata dalla stipulazione in data 14-4-1998, del contratto di affitto di ramo di azienda da parte della contribuente (omissis) (omissis) S.p.a. alla s.r.l., sino al 13-4-2007, con proroga biennale sino al 2009. La CTR ha, quindi, ritenuto sulla base dei bilanci prodotti dalla società, della progressiva riduzione dei valori attivi, dovuta alla cessione di parte dei cespiti, del pagamento dei fornitori e di parte dei debiti verso le banche e della durata della locazione, dell'abbandono del progetto di fusione, che sussistevano "i presupposti per la disapplicazione della normativa antielusiva", escludendo che la società rientrasse tra le società di comodo.
14. La sentenza deve, dunque, essere cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, con l'accoglimento del ricorso originario della contribuente.
15. Le spese dell'intero giudizio devono essere integralmente compensate tra le parti, in ragione del sopravvenuto giudicato.
P.Q.M.
Accoglie il settimo motivo; dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente. Compensa interamente tra le parti le spese dell'intero giudizio.