Ai fini della nozione di bene culturale è necessaria la cd. corporalità del bene culturale, la quale rileva quando il valore culturale pervada il bene mobile o immobile, non potendo desumersi solo dalle attività svolte.
L'attuale ricorrente aveva ereditato un podere agricolo, il quale era divenuto oggetto di un procedimento in vista dell'apposizione del vincolo di interesse culturale, in considerazione del fatto che il terreno vitato si caratterizzava per l'esistenza di un sistema a piantata che era stato diffusamente adottato in Romagna per parecchi secoli e che oggi risultava sostituito in toto dall'agricoltura estensiva.
La stessa impugnava il provvedimento della Commissione Regionale per il patrimonio culturale che aveva dichiarato il suo podere di interesse culturale, in quanto il vincolo avrebbe dovuto riferirsi ad un bene mobile o immobile e non ad una tecnica di coltivazione agricola, oltre al fatto che esso ricomprendeva, oltre alla vigna, anche l'intero immobile ereditato. Ancora, ella lamentava il fatto che non sussisteva più alcuna traccia della pratica di coltivazione che stava alla base del provvedimento impugnato, essendo rimasta solo una vegetazione incolta inidonea a consentire anche solo una vaga percezione dell'attività praticata molti anni addietro.
Con la sentenza n. 955 del 22 novembre 2021, il TAR Bologna accoglie il ricorso, rilevando come dalla dettagliata documentazione fotografica depositata dalle parti emerga l'evidente diffusione della vegetazione spontanea caratterizzante l'area del podere che un tempo era destinata a vigneto con il sistema della vite maritata.
In virtù dell'
In tal senso, l'ampia discrezionalità che sta alla base del giudizio che presiede l'imposizione di una dichiarazione di interesse culturale o di una “qualitas culturae” è limitata a ciò che può essere vincolato per scelta del legislatore, non potendo, dunque, avere ad oggetto un'attività economica o ricreativa laddove essa non si sia «compenetrata negli arredi o nelle strutture del locale».
Ciò posto, nel caso di specie l'abbandono delle coltivazioni e la diffusione della vegetazione spontanea rendono difficile sostenere la presenza di una traccia identitaria che consenta di associare le condizioni del posto ad un impianto di vite maritata a piantata romagnola oppure di una tecnica particolare di coltivazione che ormai risulta scomparsa.
Per questa ragione, il TAR annulla il provvedimento impugnato.
TAR Bologna, sez. I, sentenza (ud. 13 ottobre 2021) 22 novembre 2021, n. 955
Svolgimento del processo
1.-Espone l’odierna ricorrente di esser divenuta proprietaria “iure ereditatis” di podere agricolo ubicato nella campagna del Comune di Ravenna in località Mezzano, iscritto al catasto terreni al foglio 109, sezione B (Sant’Alberto) alle particelle 317, 43, 130, 208 e 207, meglio noto come Podere Baruzzi.
Con comunicazione del 18 agosto 2018 ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 42/2004 la locale Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio avviava il procedimento per l’apposizione del vincolo di interesse culturale, motivato dall’essere il terreno vitato del podere Baruzzi “uno dei più importanti relitti del paesaggio agrario storico della provincia ravennate e una tangibile testimonianza del sistema a piantata diffusamente adottato in Romagna per molti secoli e oggi quasi totalmente sostituito dalla agricoltura estensiva”.
Seguiva la presentazione di osservazioni da parte della sig.ra Merendi ed un sopralluogo congiunto in data 14 novembre 2018.
Con provvedimento del 16 aprile 2019 la Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale dichiarava l’interesse culturale, ai sensi dell art. 15 d.lgs 42/2004, sull'immobile in questione denominato “Filari di vite maritata del Podere Baruzzi” limitatamente ai mappali 43 e 130 per le ragioni già indicate nella comunicazione di avvio del procedimento.
Con il ricorso in esame la ricorrente ha impugnato il suddetto provvedimento, deducendo motivi così riassumibili:
I)VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 10, 14 E 15 DEL D. LGS 42/2004 - ECCESSO DI POTERE – PROPORZIONALITÀ - ERRONEITÀ NEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO, CONTRADDITTORIETÀ, LACUNOSITÀ, PERPLESSITÀ E MANIFESTA INGIUSTIZIA: l’interesse culturale ex art 10 del Codice dei beni culturali deve riferirsi a bene mobile o immobile e non ad una tecnica di coltivazione agricola; sussisterebbe il difetto proporzionalità essendo il vincolo esteso all’intero immobile pur rilevandosi come la vigna corrisponde soltanto ad alcune fasce.
II) VIOLAZIONE DI LEGGE ART. 10 D. LGS. 42/2004 E ART. 3 L. N. 241/1990) VIOLAZIONE DELL'ART. 97 COST. (BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA) VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ – ECCESSO DI POTERE (ERRORE DI FATTO E DI DIRITTO – CARENZA DEI PRESUPPOSTI - CONTRADDITTORIETÀ, ILLOGICITÀ ED IRRAGIONEVOLEZZA, ABNORMITÀ, ARBITRARIETÀ, SVIAMENTO, INGIUSTIZIA MANIFESTA, DIFETTO DI MOTIVAZIONE, DIFETTO D’ISTRUTTORIA): non vi sarebbe più alcuna traccia della struttura originariamente insediata per la lunga assenza di pratiche agronomiche e l’abbandono delle coltivazioni, risultando i caratteri distinti della coltivazione (vite maritata) allo stato attuale del tutto cancellati, rimanendo soltanto una vegetazione incolta non idonea a consentire anche solo una vaga percezione dell’attività un tempo praticata.
III) VIOLAZIONE DI LEGGE ART. 3 DELLA L. 241/1990 – ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITTORIETÀ, SVIAMENTO, DIFETTO DI MOTIVAZIONE: se il terreno in questione è caratterizzato da un bosco planiziale, termine che caratterizza la foresta nelle pianure, non è dato comprendere come possa convivere questa condizione, sicuramente presente, con l’esistenza di una vigna che non vi è più perché sopraffatta dalle essenze arboree ed arbustive che hanno preso il sopravvento e che caratterizzano il bosco planiziale.
Ha altresì presentato domanda risarcitoria riservandosi di quantificare in corso di causa i danni subiti e subendi.
Si è costituito in giudizio il Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali eccependo l’infondatezza di tutti i motivi “ex adverso” dedotti, poiché in sintesi: - la compresenza dei relitti di coltura a vite maritata e il fenomeno della rinaturalizzazione, ormai tra loro inscindibili rendevano e rendono questo insieme di eccezionale interesse culturale: - non vi sarebbe difetto di proporzionalità anche in relazione all’avvenuta riduzione dell’estensione del vincolo dal momento che nel più recente sopralluogo si è valutato di ridurre sensibilmente rispetto a quanto proposto nell’avvio del procedimento l’area da sottoporre a tutela, limitandola ai soli mappali 43 e 130 del foglio 109 sezione B (Sant’Alberto); - diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente in base alle relazioni fornite dal Corpo Forestale della Stazione di Ravenna (doc. nn. 3 e 10), il podere Baruzzi si trova “in eccellente stato di conservazione e con potenzialità funzionali integre”.
Con memoria la difesa di parte ricorrente ha rappresentato come l’area ove è ubicato il podere in questione è posta all’interno di sito di interesse naturalistico per il quale sono già state assunte dalla Regione Emilia Romagna le misure di tutela coerenti ed adeguate alle caratteristiche del sito, a conferma dell’uso distorto dello strumento di tutela culturale. Ha chiesto disporsi eventuale verificazione al fine di accertare l’effettivo stato dei luoghi.
Con ulteriore memoria ha insistito per l’accoglimento del gravame citando a supporto delle proprie tesi difensive sentenza del Tribunale Amministrativo regionale del Lazio (sez. II-quater, n. 5864/2021) secondo cui quel che può essere vincolato è soltanto l’immobile, ove sussistano le condizioni, diverse ed ulteriori, prescritte dall’art. 10 e 13 del Codice per dichiararlo “bene culturale”, non l’attività ivi svolta.
All’udienza pubblica del 13 ottobre 2021, uditi i difensori come da verbale d’udienza, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1.-E’ materia del contendere la legittimità del provvedimento del 16 aprile 2019 con cui la Commissione Regionale per il patrimonio culturale ha effettuato la dichiarazione di interesse culturale, ex art. 15 D. Lgs 42/2004, sull'immobile di proprietà della ricorrente denominato “Filari di vite maritata del Podere Baruzzi” nel Comune di Ravenna.
Lamenta in buona sintesi parte ricorrente l’uso distorto dello strumento di tutela in violazione e falsa applicazione del Codice dei beni culturali, non potendo l’autorità tutoria pretendere di vincolare non già un immobile quanto una tecnica di coltivazione della vite (maritata) da tempo abbandonata di cui non vi sarebbe più alcuna traccia in loco.
2.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
3.- In punto di fatto va osservato che in base alla dettagliata documentazione fotografica deposita dalle parti (doc. n. 3 allegato al ricorso e doc. n. 11 del Ministero) nonché al sopralluogo effettuato dalla Forestale di Ravenna risultano visibili una serie di filari di lunghezza di c.a. 140 metri distanti tra loro c.a. 35 metri.
In particolare parte ricorrente ha depositato anche foto di struttura a piantata esistente ancora a tutore vivo, al fine di confutare le valutazioni espresse dall’Amministrazione in sede di sopralluogo ed evidenziare le differenze rispetto a quanto rimasto nel proprio podere.
Non può non notarsi, ad avviso del Collegio, l’evidente diffusione della vegetazione spontanea che pervade l’area del podere un tempo destinata a vigneto con il sistema della vite maritata, non avendo sul punto le divergenti osservazioni della Forestale di Ravenna valore di fede privilegiata, riguardando esse, più che fatti privi di margine di apprezzamento, valutazioni del tutto opinabili (ex multis Cassazione civile sez. lav., 22 luglio 2020, n. 15638; Consiglio di Stato sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7129).
Da tale stato dei luoghi trae comunque la locale Soprintendenza il convincimento dell’essere l’area de qua testimonianza del sistema a piantata diffusamente adottato in Romagna per molti secoli e dunque la “qualitas” culturale.
4.- Ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. 42/2004 se è vero che la nozione di bene culturale è di tipo aperto e non strettamente tipizzata (cfr. T.A.R. Sardegna sez. II, 2 maggio 2012, n. 421) è altrettanto vero che è necessaria la c.d. corporalità del bene culturale nel senso che l’attività espletata attraverso il bene può rilevare unicamente ove il valore culturale per così dire pervada il bene immobile o mobile, non essendo altrimenti possibile desumerlo dalle sole attività svolte (in questo senso T.A.R. Lazio sez. II-quater, 19 maggio 2021, n. 5864; Consiglio di Stato sez. VI, 10 ottobre 1993, n. 741).
L’ampia discrezionalità tecnica alla base del giudizio che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse culturale ovvero della “qualitas” culturale (ex plurimis Consiglio di Stato sez. VI, 4 settembre 2020, n. 5357) è dunque delimitata da ciò che può essere per scelta legislativa vincolato, non avendo l’ordinamento (per scelta legislativa) esteso il vincolo alle mere attività espletate attraverso il bene ove non ve ne sia significativa traccia.
Non può pertanto vincolarsi un’attività economica o ricreativa ove l’attività non si sia compenetrata negli arredi o nelle strutture del locale (ancora Consiglio di Stato sez. VI, 10 ottobre 1993, n. 741).
5.- Nel caso di specie l’evidente abbandono delle coltivazioni e la diffusione della vegetazione spontanea rende quantomai ardua la sostenuta presenza di una traccia identitaria che consenta di associare le condizioni del sito ad un impianto di vite maritata a piantata romagnola ovvero ad una particolare tecnica di coltivazione oramai scomparsa.
6.- Giova poi rilevare come le esigenze di tutela quantomeno sotto il profilo ambientale siano state già adeguatamente tenute in considerazione mediante l’inserimento del sito nella Rete ecologica europea Natura 2000 con la conseguente sottoposizione alle prescritte misure di conservazione.
7.- Ne consegue la fondatezza dei dedotti motivi di violazione dell’art. 10 d.lgs. 42/2004 e 3 L.241/90 oltre che di eccesso di potere per sviamento e difetto di istruttoria.
8. - Per i suesposti motivi il ricorso è fondato e va accolto con l’effetto dell’annullamento del provvedimento impugnato.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite in considerazione della complessità delle questioni esaminate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna Bologna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.