Accolto il ricorso dell'imputato sottoposto al regime detentivo differenziato previsto dall'art. 41-bis al quale era stato disposto il trattenimento di una missiva in quanto contenente un atto di cui era venuto in possesso in maniera irregolare. Secondo la Cassazione, il mancato rispetto della procedura circa il possesso dell'atto non è idoneo a dimostrare la pericolosità per l'ordine e la sicurezza pubblica della trasmissione dello stesso all'esterno del carcere.
La Corte d'Appello di Reggio Calabria rigettava il reclamo presentato da un imputato, sottoposto al regime detentivo differenziato previsto dall'
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 3 giugno 2020 la Corte di appello di Reggio Calabria ha rigettato il reclamo proposto da A. P. - imputato davanti a quell'autorità giudiziaria e sottoposto al regime detentivo differenziato previsto dall'art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 - avverso il provvedimento con cui, il 24 giugno 2019, il Presidente del medesimo ufficio giudiziario ha disposto il trattenimento di una missiva da lui indirizzata alla suocera, A. R..
La Corte calabrese ha, in particolare, ritenuto ostativa all'inoltro della lettera la circostanza che ad essa fosse allegata copia di un provvedimento giurisdizionale, reso nei confronti di altra persona, di cui A. P. è venuto in possesso in modo irregolare, ciò che, ha aggiunto, «appare comunque suscettibile di determinare un pericolo per l'ordine e/o la sicurezza pubblica».
2. A. P. propone, con l'assistenza dell'avv. V. A., ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione contestando tanto l'assunto secondo cui egli avrebbe acquisito il documento allegato alla missiva senza la prescritta supervisione del personale addetto, quanto l'attitudine dell'inserimento dell'atto nella busta destinata alla congiunta a mettere a repentaglio ordine e sicurezza pubblica.
3. Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato e, pertanto, meritevole di accoglimento.
2. L'art. 15 della legge 26 luglio 1975, n. 354, prevede che il trattamento del condannato e dell'internato sia svolto, tra l'altro, agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia, che sono garantiti da colloqui visivi con soggetti liberi e dalla corrispondenza telefonica, epistolare o telegrafica.
La legge di ordinamento penitenziario contempla, per la corrispondenza epistolare o telegrafica, limitazioni meno stringenti di quanto non accada per i colloqui e le telefonate, giacché non prevede un numero massimo di lettere che il detenuto può inviare o ricevere, né restrizioni generali rispetto ai soggetti con cui egli può intrattenere scambi epistolari, e stabilisce, anzi, all'art. 18, quinto comma, al fine di favorire e di garantire il diffuso accesso a questa forma di corrispondenza, che l'amministrazione penitenziaria ponga a disposizione dei detenuti e degli internati, che ne sono sprovvisti, gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza.
2. Il diritto a tenere una corrispondenza epistolare e telegrafica può essere sottoposto, con provvedimento giurisdizionale, a limitazioni e controlli individuali, ossia riguardanti il singolo detenuto o internato.
La legge n. 354 del 1975 non regolava, nella sua formulazione originaria, i casi, le modalità ed il tempo massimo per cui potevano essere adottate siffatte misure, ciò che aveva indotto a dubitare della compatibilità della disciplina della corrispondenza epistolare in carcere con gli artt. 15 Cost., 8 e 13 Cedu ed era valso all'Italia ripetute condanne da parte della Corte di Strasburgo (cfr., tra le molte, Corte EDU, 15 novembre 1996, Calogero Diana c./ltalia; Corte EDU, 24 ottobre 2002, Messina c./ltalia).
Tale lacuna normativa è stata colmata mediante l'introduzione, ad opera della legge 8 aprile 2004, n. 95, dell'art. 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, che individua le tipologie di limitazioni che possono essere imposte alla libertà e alla segretezza della corrispondenza, i relativi presupposti e tempi, nonché le autorità competenti e i meccanismi di tutela giurisdizionale.
L'art. 18-ter dispone, al primo comma, che per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell'istituto, possano essere disposte, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi, tre diverse forme di restrizione all'invio e alla ricezione di missive, connotate da un crescente grado di intrusività.
La forma più lieve di restrizione è il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima, finalizzato a verificare, alla presenza dell'interessato, che nell'involucro non siano celati valori o oggetti non consentiti.
La limitazione più intensa consiste, invece, nell'inibizione totale o parziale della facoltà di spedire o di ricevere corrispondenza, cui è propedeutica la sottoposizione a visto di controllo, operazione di lettura e analisi - ad opera dell'autorità giudiziaria ovvero, su sua delega, dal direttore del carcere o di un appartenente all'amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore - del contenuto delle missive in entrata ed in uscita.
Essa può, dunque, eventualmente sfociare nel trattenimento della missiva, disposto con provvedimento giurisdizionale, adottato dal Magistrato di sorveglianza, per i condannati, o dal giudice che procede, per gli imputati, per effetto del quale lo scritto non viene consegnato al suo destinatario, che deve essere immediatamente informato.
3. L'art. 18-ter, pur contenendo una specifica disciplina anche della successiva operazione di trattenimento, non individua espressamente le ragioni che lo consentono.
Nondimeno, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito, in proposito, che, stante lo stretto collegamento funzionale con il visto di censura, il trattenimento può essere disposto qualora, dall'esame dei contenuti della corrispondenza, l'autorità giudiziaria ritenga che sussista una situazione di pericolo concreto per quelle esigenze di ordine e di sicurezza pubblica che costituiscono i presupposti per l'adozione del visto di controllo (così, tra le più recenti, Sez. 1, n. 51187 del 17/05/2018, Falsane, Rv. 274479, e Sez. 5, n. 32452 del 22/02/2019, F., Rv. 277527, entrambe in motivazione).
4. La disciplina generale è derogata dall'art. 41-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354, che contiene, tra l'altro, regole specificamente dedicate alla tutela della libertà e della segretezza della corrispondenza epistolare e telegrafica per i detenuti sottoposti al regime differenziato.
Tale disposizione - nel testo modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 - contiene infatti, al comma 2-quater, un elenco puntuale di limitazioni al trattamento penitenziario tra le quali, alla lett. e), «la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia».
L'utilizzo di un termine («censura») diverso da quello indicato all'art. 18-ter («controllo») non ha impedito la sostanziale assimilazione, da parte dei commentatori così come della giurisprudenza, dei concetti, che rimandano, entrambi, all'esame di una missiva, effettuato dall'autorità preposta, strumentale ad evitare la trasmissione di informazioni suscettibili di mettere a repentaglio i valori a cui presidio le disposizioni sono rispettivamente poste.
Così, in specie, se l'art. 18-ter presuppone la necessità di salvaguardare la fruttuosità di indagini ed investigazioni, di prevenire la commissione di reati e di garantire la sicurezza e l'ordine dell'istituto, l'architettura del regime detentivo speciale previsto dall'art. 41-bis è precipuamente diretta ad interrompere il flusso comunicativo tra gli esponenti criminali che versino in condizione detentiva, nonché tra gli stessi e gli esponenti delle associazioni a delinquere di riferimento che si trovino in libertà.
In un caso e nell'altro, dunque, l'intrusione nella sfera privata nella quale si traducono controllo e censura non è circoscritta alla conoscenza del contenuto delle comunicazioni e si riconnette in via diretta alla possibilità di bloccare l'inoltro della corrispondenza, ovvero di non procedere alla sua consegna al destinatario.
5. L'equivalenza tra visto di controllo e visto di censura consente di affermare che tra le disposizioni che, rispettivamente, li prevedono sussiste un rapporto di specialità e, quindi, che, nell'ipotesi di lettura della corrispondenza nei confronti dei detenuti sottoposti al regime speciale, la disciplina dell'art. 18- ter si applica solo per gli aspetti non disciplinati dall'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. e).
In questo senso si è, del resto, orientata la giurisprudenza di legittimità (cfr., in particolare, Sez. 1, n. 51187 del 17/05/2018, F., Rv. 274479, in motivazione, e Sez. 1, n. 48365 del 21/11/2012, D., Rv. 253978) nel ritenere l'applicabilità agli imputati ed ai condannati che siano assoggettati al regime di cui all'art. 41-bis delle regole previste, per la generalità dei detenuti, dall'art. 18-ter e dall'art. 38 del relativo regolamento di esecuzione con riferimento all'operazione, successiva alla censura, di eventuale di trattenimento, sulla quale l'art. 41-bis è silente.
6. La ricostruzione del tessuto di regole che si sono succedute nel tempo e che concorrono a disciplinare la materia è funzionale all'esame del ricorso proposto da A. P. il quale, il 12 giugno 2019, inviò, dal carcere ternano nel quale era ristretto, una missiva, diretta alla moglie Sarina Pantano ma indirizzata alla residenza della suocera, A. R., cui allegò copia di un'ordinanza, emessa il 27 febbraio 2019 del Tribunale di sorveglianza di Spoleto nell'ambito di procedimento relativo alla frequenza dei colloqui e della corrispondenza telefonica dei detenuti, concernente la posizione di altro soggetto il quale, in quel periodo, aveva fatto parte del medesimo gruppo di socialità di A. P.
Il trattenimento della missiva, ed il rigetto del conseguente reclamo, sono stati motivati dalle irregolari modalità di acquisizione del documento da parte di A. P., che non risulta essere stato, all'uopo, debitamente autorizzato.
Infondata appare, in proposito, la prima obiezione formulata dal ricorrente, il quale ventila - senza, tuttavia, emanciparsi da un piano di confutazione meramente logico né confortare il suo dire con pertinenti riscontri - la possibilità che A. P. ed il compagno di socialità, in realtà, abbiano, come da lui dedotto, agito in modo trasparente, informando della consegna il personale addetto e venendo, in tal senso, autorizzati.
Coglie, invece, nel segno la residua obiezione, che attiene alla coerenza razionale della motivazione sottesa alla decisione impugnata.
Il fatto che A. P. sia venuto in possesso del provvedimento giurisdizionale senza rispettare la prevista procedura, in ipotesi rilevante ad altri fini, in primis disciplinari, non appare, invero, immediatamente dimostrativo della pericolosità della sua trasmissione all'esterno del carcere per l'ordine e la sicurezza pubblica.
Occorre, allora, avere riguardo a tutte le informazioni di contesto, delle quali la Corte di appello non ha tenuto conto, al fine di verificare se ed in quale misura la contestata allegazione metta a rischio i beni tutelati dalla normativa di riferimento, per come, peraltro, ipotizzato dal Procuratore generale presso la Corte reggina all'atto di chiedere il trattenimento sul concorrente rilievo che «essendo il destinatario persona non legata da vincoli familiari al detenuto, le frasi del A. P. potrebbero essere strumentali rispetto a messaggi convenzionali rivolti a terzi all'esterno».
Tangibile appare, dunque, l'insufficienza della motivazione dell'ordinanza adottata dal giudice del reclamo, che avrebbe dovuto operare uno specifico accertamento tenendo conto dei dati disponibili ed afferenti, in specie, ai rapporti tra i soggetti coinvolti, a tenore e contenuto della missiva, all'oggetto del provvedimento allegato, al fine di comprendere, in definitiva, se debba, ed i quale misura, dubitarsi della giustificazione offerta da A. P., il quale ha esposto che la trasmissione del documento alla moglie era propedeutica all'eventuale promozione di procedimento inteso a fruire dei benefici già riconosciuti ad altro detenuto sottoposto al regime speciale e, quindi, all'esercizio del diritto di difesa.
7. Si impone, in conclusione, l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria in vista di un nuovo giudizio che, libero nell'esito, sia rispettoso dei canoni sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata appello di Reggio Calabria.