La Corte di Cassazione stabilisce come tale eccezione, considerata in senso stretto, è rilevabile solo dalla parte che ne ha l'interesse.
Il Tribunale, in sede di gravame, rigettava l'impugnazione avverso la sentenza del Giudice di Pace, con la quale l'appellante era stato condannato al pagamento dei compensi per l'attività giudiziale e stragiudiziale svolta dall'avvocato, nonostante lo stesso avesse esercitato il recesso in assenza di giusta causa.
L'istante...
Svolgimento del processo/Motivi della decisione
Il Tribunale di Bari con la sentenza n. 1006 del 6/3/2019 ha rigettato l’appello proposto della AS L. S.r.l. avverso la sentenza del Giudice di Pace di Monopoli n. 1 del 13 gennaio 2015, con la quale era stata condannata al pagamento in favore dell’avv. T.S. della somma di € 3.461,48, quale compenso per l’attività professionale giudiziale e stragiudiziale svolta in favore dell’appellante. Il Tribunale, dopo avere disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello per la pretesa violazione dell’art. 342 c.p.c., riteneva infondato il motivo di gravame con il quale si contestava che il giudice di primo grado non avesse rilevato ex officio l’illegittimità del recesso esercitato dall’appellato, che aveva appunto rinunciato al mandato professionale in assenza di giusta causa. La sentenza di appello, dopo aver ricordato che gli effetti dell’esercizio del recesso senza giusta causa sono ad esclusivo favore del cliente, sosteneva che fosse esclusivo interesse di quest’ultimo dedurre la ricorrenza dell’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 2237 c.c., dovendosi quindi ritenere che l’eccezione in esame sia rimessa all’iniziativa della parte interessata, non potendo il giudice procedere al rilievo d’ufficio. L’illegittimità del recesso, in quanto foriera del diritto al risarcimento del danno e del diritto di rifiutare l’adempimento dell’obbligo di pagare il compenso professionale, corrisponde all’esercizio di un diritto azionabile in un giudizio autonomo, che richiede una manifestazione di volontà e costituisce quindi un’eccezione in senso stretto. Correttamente il giudice di pace non aveva rilevato l’assenza di giusta causa né poteva a tanto provvedere il giudice di appello, atteso il disposto dell’art. 345 c.p.c., che preclude la proposizione di eccezioni in senso stretto in appello. Quindi, ravvisata l’inammissibilità dell’altro motivo di appello che invece contestava l’ammontare della liquidazione effettuata, il Tribunale ravvisava altresì la responsabilità dell’appellante ex art. 96 c.p.c., con la condanna, in aggiunta al rimborso delle spese del grado, al pagamento della somma di € 1.000,00. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso articolato in due motivi la AS L. S.r.l. L’intimato non ha svolto difese in questa sede. Il primo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, quanto alla declaratoria di eccezione in senso stretto riferita all’eccezione sollevata dal ricorrente in sede di appello, circa il recesso del professionista in assenza di giusta causa. Si rileva che la regola generale che deve trarsi dal sistema è che, in mancanza di una specifica previsione normativa ovvero laddove l’eccezione corrisponda ad un diritto potestativo azionabile in giudizio solo da parte di chi ne abbia interesse, l’eccezione deve considerarsi in senso lato e quindi suscettibile di rilievo d’ufficio anche in grado di appello. Il secondo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, nella parte in cui il Tribunale, ritenendo erroneamente inammissibile l’eccezione di cui al primo motivo, ha omesso di considerare le conseguenze derivanti dall’avvenuto recesso con modalità contrarie alla legge. I due motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili. Rileva il Collegio che come sottolineato dalla dottrina, l’esercizio del diritto di recesso da parte del professionista in assenza di giusta causa non incide sull’effetto risolutorio del vincolo sinallagmatico, ma si ripercuote sulla possibilità per il cliente di richiedere il risarcimento dei danni e sul diritto a rifiutare il pagamento del compenso sino a quel momento maturato, stante l’illegittima cessazione del rapporto contrattuale. Deve quindi ritenersi che tra gli obblighi scaturenti dal contratto in capo al professionista, vi sia anche quello di continuare a prestare la propria opera, fatta salva la possibilità di recedere solo se la stessa risulti supportata da una giusta causa, la cui assenza lo espone alle conseguenze di cui all’art. 2237 co. 2 c.c. Trattasi di conseguenze che appaiono quindi ricollegabili all’inadempimento dell’obbligo negoziale di prestare l’opera da parte del professionista. La deduzione quindi che il recesso è stato esercitato in carenza di giusta causa la pretesa di trarre da tale violazione dell’obbligo di prestare la propria attività la conseguenza dell’esonero dal pagamento del compenso, equivale quindi alla proposizione di un’eccezione di inadempimento che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 6168/2011; Cass. n. 13746/2002) costituisce un’eccezione in senso stretto, la cui proposizione, anche a seguito della novella di cui alla legge n. 353/1990, è preclusa in grado di appello. La decisione impugnata ha quindi fatto corretta applicazione delle norme di diritto di cui si denuncia la violazione, dovendosi quindi pervenire all’inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis n. 1 c.p.c.. Nulla a disporre quanto alle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.