Il trasferimento automatico delle controindicazioni antimafia può escludersi, infatti, solo qualora dall'esame dei contatti tra le società emerga il carattere del tutto episodico, remoto o inconsistente delle relazioni d'impresa.
Una società veniva raggiunta da un'informativa interdittiva antimafia adottata dalla Prefettura di Napoli sulla base del fatto che essa possedesse alcune “partecipazioni” presso altra società ritenuta caratterizzata da elementi di disvalore antimafia.
A seguito dell'impugnazione dell'informativa per difetto di istruttoria e di motivazione, il TAR Napoli respingeva il ricorso, dunque la società si rivolge al Consiglio di Stato.
Con la sentenza n. 7890 del 25 novembre 2021, il Consiglio di Stato dichiara l'appello infondato, rilevando che uno degli indici del tentativo di infiltrazione mafiosa all'interno dell'attività di impresa è proprio l'instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un'impresa ed una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale, a causa della significatività assunta da cointeressanze economiche particolarmente pregnanti. Tale rapporto, infatti, giustifica da solo l'emanazione di un'interdittiva antimafia, poiché è in grado di fondare il convincimento (anche solo in termini probabilistici) che l'impresa controindicata trasmetta all'altra il suo corredo di controindicazioni antimafia, presumendo che essa scelga un partner già colluso o comunque permeabile agli interessi criminali a cui essa resta assoggettata.
Del resto, anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 57/2020, aveva già affermato che le situazioni indiziarie possono di per sé supportare il provvedimento interdittivo, come ad esempio:
- Provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;
- Rapporti di parentela, contatti o rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza o amicizia;
- Vicende anomale nella struttura formale dell'impresa e nella sua gestione, ivi incluse campagne antimafia o antiriciclaggio allo scopo di mostrare un “volto di legalità” atto ad abbattere sospetti sintomatici di una contaminazione mafiosa.
Ora, il Consiglio di Stato ribadisce che per la legittima adozione di un provvedimento interdittivo basta la contiguità soggiacente agli ambienti della criminalità organizzata, non essendo quindi necessaria la contiguità compiacente, nella quale si rinvengono condotte ambigue tenute da operatori che, seppur apparentemente estranei ad associazioni mafiose, si pongono su una linea di confine tra la legalità e l'illegalità in sede di esercizio della propria attività d'impresa.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza (ud. 11 novembre 2021) 25 novembre 2021, n. 7890
Svolgimento del processo
1. La --omissis-, si occupa - omissis - della - omissis -.
E’ stata destinataria, - omissis -, di un’informativa interdittiva antimafia (-omissis -) adottata dalla Prefettura di Napoli sul duplice rilievo che a) - omissis -, avrebbe “partecipazioni” nella - omissis -, ritenuta connotata da elementi di disvalore antimafia; b) la - omissis - “svolge attività commerciale - omissis -, i cui - omissis - sono stati sciolti - omissis -, ai sensi dell’art. 143, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, a seguito di accertati fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso”.
2. L’informativa interdittiva antimafia è stata impugnata (ricorso - omissis -), innanzi al Tar Campania, sede di Napoli, deducendo, in particolare, difetto di istruttoria e di motivazione.
3. Con sentenza - omissis - Tar Napoli ha respinto il ricorso, sul rilievo che gli elementi fattuali presentati dall’amministrazione fossero idonei a fondare l’interdittiva.
4. La sentenza del Tar Napoli - omissis - è stata impugnata con appello notificato e depositato in data - omissis -.
Erroneamente il primo giudice ha rilevato l’esistenza di elementi idonei a comprovare la cointeressenza economica di - omissis - con - omissis -.
La debolezza del quadro probatorio era stata già rilevata dal Consiglio di Stato che, con l’ordinanza - omissis -, aveva richiesto all’amministrazione di chiarire le seguenti questioni: “a) l’attuazione concreta del rapporto di presupposizione citato: b) la durata di tale rapporto; c) eventuali altri elementi che depongano per l’attualità di tale rapporto o di altre cointeressenze”.
L’amministrazione prefettizia non ha adempiuto a tale ordine istruttorio, dato che non è stato chiarito né il contenuto né la durata del rapporto di presupposizione né sono stati presentati altri elementi fattuali in grado di rivelare una cointeressenza economica, in quanto i legami prospettati dal Prefetto si confondono con i legami con la -omissis-, di cui è palese l’infondatezza.
Dall’inesistenza di rapporti fra la - omissis e la -- omissis - deriva l’irrilevanza del contesto ambientale proprio del - omissis -.
5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e l’Ufficio territoriale di Governo di Napoli, che hanno sostenuto l’infondatezza, nel merito dell’appello.
6. Con ordinanza della Sezione - omissis - è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare della sentenza appellata.
7. All’udienza pubblica dell’11 novembre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. L’appello è infondato.
Al fine del decidere appare preliminarmente necessario focalizzare il quadro fattuale sotteso all’informativa antimafia adottata dal Prefetto di Napoli.
La - omissis - ha quale - omissis - - omissis - e quali - omissis - - omissis -, - omissis - e - omissis -.
L’interdittiva è stata adottata sull’assunto che - omissis -- ha partecipazioni nella - omissis - - omissis -. Soci di - omissis - sono - omissis -, il quale riveste anche la carica di - omissis -, e - omissis, titolare del - omissis -. - omissis - risultano colpiti dall'- omissis - - omissis - in quanto accusati dei reati - omissis - perché, - omissis - in un medesimo disegno criminoso con - omissis -, al fine di eludere le disposizioni di legge in misura di prevenzione patrimoniale, avevano - omissis -. Il - omissis - ha pregiudizi giudiziari che rivelano come la sua condotta sia stata posta in essere per agevolare l'attività delle - omissis - denominate - omissis - e lo stesso pregiudizio è stato posto a carico del - omissis -.
E’ stato altresì rilevato che - omissis del -- omissis -, i cui - omissis - sono stati sciolti - omissis -, ai sensi art. 143, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, a seguito di accertati fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. Il Gruppo Investigativo Antimafia ha altresì evidenziato la presenza, - omissis -, di - omissis - nonché la circostanza che - omissis - da alcuni soggetti vicini alla criminalità organizzata. Spicca, in particolare, la figura di - omissis -, indagato per - omissis -, perché, in qualità di - omissis -- e, più in generale, di - omissis -, avendo ricoperto nel tempo anche l'incarico di - omissis, si è attivato, anche collegandosi con - omissis -, tra l’altro, per - omissis -, consigliando altresì, al fine di eludere i controlli imposti dalla normativa antimafia, alcuni -omissis-, tra i quali il magistrato individua anche - omissis -, ...()..." - omissis - " ... “-omissis-" “... evitando così che - omissis -”. L'- omissis - "...avrebbe evidentemente creato problemi ai -omissis-".
Tale essendo il quadro fattuale, ad avviso del Prefetto di Napoli “le cointeressenze del -omissis- -omissis- -omissis- della -omissis- nella -omissis- pongono in evidenza, quindi, il fondato pericolo che la -omissis- -omissis- possa essere sottoposta a concreti tentativi di infiltrazioni mafiose con riferimento alle -omissis- denominate -omissis-”. Ha aggiunto il Prefetto che “i fenomeni di invasività e pervasività della criminalità organizzata e segnatamente del -omissis- nella -omissis- sono stati favoriti da condotte di -omissis- permeabili ai voleri di sodalizi criminali, come emerge sia dai richiamati atti posti a fondamento dello scioglimento del -omissis- per condizionamento da parte del -omissis- e sia dalla recente -omissis- del Tribunale di Napoli emessa a carico, tra gli altri, di -omissis-, a seguito di indagini condotte dalla Direzione Distrettuale Antimafia”.
2. Le valutazioni del Prefetto meritano di essere confermate, non essendo i motivi di appello – volti a scardinare il quadro fattuale che è alla base del provvedimento – suscettibili di positiva valutazione.
Ed invero, alla luce del principio – sul quale poi il Collegio si soffermerà sub 3 – secondo cui gli elementi di fatto assunti per adottare l’informativa non vanno letti in modo atomistico, assorbente diventa la posizione assunta da -omissis-, collegato – direttamente o indirettamente – ad esponenti della criminalità organizzata insistente sul territorio del --omissis-, attraverso la --omissis- – società attinta da un provvedimento interdittivo -omissis- – di cui è stato nominato -omissis-. La risultanza dalla -omissis- appare sufficiente, non incombendo in capo alla Prefettura un onere di ulteriore accertamento in ordine alla concretezza e alla corrispondenza alla realtà societaria.
Nella relazione della Prefettura -omissis- si insiste molto sulla capacità penetrativa della figura del -omissis-, che dà modo di partecipare alle scelte decisionali della stessa nonché di conoscere le strategie e le tecniche per il raggiungimento degli obiettivi, siano queste lecite o meno. Inoltre, come correttamente rilevato nella citata relazione, -omissis- non può che essere persona di fiducia dei soci, di cui ne condivide le scelte e le metodologie applicate nelle operazioni economiche, con la conseguenza che, nel caso sottoposto all’esame del Collegio, il -omissis- non poteva non conoscere le attività poste in essere dai soci di -omissis- e la loro vicinanza al -omissis- e, dunque, conseguentemente, ai -omissis-. Dunque, a differenza di quanto affermato dall’appellante, per ravvisare la contiguità soggiacente o compiacente del -omissis- agli ambienti della criminalità organizzata è sufficiente la figura del -omissis-, stante il ruolo attivo che lo stesso ha svolto all’interno della società e la vicinanza con i vertici della stessa, che hanno fiduciariamente conferito l’incarico.
Ulteriore elemento a riprova della corretta conclusione cui è pervenuto il Prefetto in ordine alla “più probabile che non” contiguità, soggiacente o compiacente, dell’appellante alla criminalità organizzata è dato dalla cessione, da parte della -omissis-- alla -omissis- di -omissis--, di -omissis-.
Ancora, il -omissis- è -omissis- del -omissis- -omissis-, oltre ad essere anch’egli preposto alla --omissis-, è -omissis- del --omissis-, -omissis- per vicinanza alla criminalità organizzata.
Si tratta di circostanze che attestano la vicinanza del -omissis- – attraverso la -omissis-, la -omissis- e -omissis- – ai soci di -omissis- e, tramite questi, anche al -omissis- e, dunque, ai -omissis-.
Questi elementi sono stati considerati dal Prefetto di Napoli, che ha focalizzato l’attenzione sulla contiguità - soggiacente o compiacente - del -omissis- ai -omissis-, a nulla rilevando che non abbia esplicitato tutto il complesso intreccio che conferma tale contiguità fermo restando, in ogni caso, il rinvio, ob relationem, al dettagliato verbale -omissis- del Gruppo Ispettivo Antimafia.
Questo in punto di fatto.
3. In diritto, invece, applicando la consolidata giurisprudenza della Sezione può rilevarsi che la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire una ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Ai fini dell’adozione dell’interdittiva occorre, da un lato, non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, “ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale” (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483).
Come ribadito dalla Sezione (-omissis-, riprendendo un ormai consolidato orientamento del giudice di appello), l’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Ha aggiunto la Sezione (-omissis-) che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.
Ha ancora chiarito la Sezione (-omissis-) che la legge italiana, nell’ancorare l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di “tentativi” di infiltrazione mafiosa, ha fatto ricorso, inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi “tipizzati” (quelli dell'art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f), d.lgs. n. 159 del 2011), ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, la portata della sua discrezionalità, da intendersi qui non nel senso, tradizionale e ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico, di equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione secondo corretti canoni di inferenza logica.
L’annullamento di qualsivoglia discrezionalità nel senso appena precisato in questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del resto, perché l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa.
Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio dei principî di imparzialità e buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost. e nel nome di un principio di legalità sostanziale declinato in senso forte, è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa, in base ad una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 4 gennaio 2018, n. 111).
Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame.
Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio.
La funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, -omissis-).
Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”, dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per usare ancora le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza De Tommaso c. Italia, consiste anzitutto nel «tenere il passo con il mutare delle circostanze» secondo una nozione di legittimità sostanziale.
Lo stesso Giudice delle leggi ha confermato la legittimità delle disposizioni in materia di interdittiva antimafia.
Come chiarito di recente anche dalla Corte costituzionale -omissis- – di fatto confermando la giurisprudenza della Sezione – a supportare il provvedimento interdittivo sono sufficienti anche situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale.
Tra queste: i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale; le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa; la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dal d.lgs. n. 159 del 2011; i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa; la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”; l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.
Vale ancora ricordare che ai fini della legittima adozione del provvedimenti interdittivo è sufficiente la contiguità soggiacente agli ambienti della criminalità organizzata, non richiedendosi necessariamente la ben più forte contiguità compiacente, essendo anche la prima insidiosa per la propria capacità pervasiva all’interno dell’economia Cons. St., -omissis- -omissis-), stigmatizzando la particolare insidiosità di quest’ultima,
Ha sottolineato la Sezione (-omissis-) il mutamento intervenuto nel fenomeno mafioso, che è passato dalle “tragiche stagioni di sangue degli attacchi frontali allo Stato” alla quotidiana occupazione di settori economici penetrando nell’economia legale. Il fenomeno è particolarmente evidente nel caso di contiguità compiacente, in cui si rinvengono condotte ambigue di operatori che, benché siano formalmente estranei ad associazioni mafiose, si pongono su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità nell’esercizio dell’attività imprenditoriale.
4. A confutare la censura secondo cui gli episodi richiamati nell’impugnata interdittiva e ripresi dal Tar sarebbero privi di attualità, è sufficiente richiamare il principio, affermato costantemente dalla Sezione, secondo cui i fatti sui quali si fonda tale misura di prevenzione possono anche essere risalenti nel tempo nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata. Come chiarito dalla Sezione (-omissis-), il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica, cioè, la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza della ‘risalenza’ dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l'impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d'ombra della mafiosità.
Tali principi sono ben conosciuti dall’appellante, che li richiama e li fa propri affermando però che, nella specie, la non attualità degli elementi posti a corredo dell’informativa assume rilevanza determinante, rendendo illegittimo il provvedimento cautelare proprio alla luce dei canoni ermenutici dettati dal giudice di appello.
Così non è.
Ed invero, la circostanza che il -omissis- non sia da tempo più preposto della --omissis- e che questa non ha -omissis- non indebolisce il provvedimento prefettizio che non ne ha dato espressamente atto proprio perché non è tale da far venire meno il pericolo che la vita economica della -omissis-- sia influenzata, direttamente o indirettamente, dai -omissis-.
5. Il collegamento con i clan in questione non è reciso neanche per effetto della circostanza che -omissis- della -omissis- era stato -omissis- o perché, all’atto della -omissis- del -omissis-, il -omissis- era estraneo alla --omissis-. Resta infatti la vicinanza del -omissis-, in virtù dell’incarico ricevuto e della -omissis- alla -omissis-, alla -omissis- e alla -omissis- nonché la circostanza che -omissis- della -omissis- erano stati colpiti dall'-omissis- perché, -omissis- in un medesimo disegno criminoso con -omissis- -omissis- – soggetto vicino ai -omissis- – avevano -omissis-.
Come è stato infatti chiarito sub 3, gli elementi posti alla base dell’informativa vanno visti in modo unitario. Riprendendo quanto affermato dalla costante giurisprudenza in ordine ad una visione complessiva degli elementi che la Prefettura ha posto a supporto del nuovo provvedimento interdittivo, vale rilevare che la legittimità di quest’ultimo si fonda sul principio secondo cui i fatti valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale – che è alla base della teoria della prova indiziaria - quae singula non prosunt, collecta iuvant, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità della struttura imprenditoriale a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione, il cui esercizio va scrutinato alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Sezione.
E’ proprio, dunque, la visione di insieme dei diversi fattori ed elementi istruttori che può consentire di coglierne l’esatta portata indiziaria, la quale viceversa rischierebbe di sfuggire ad una loro diagnosi ripartita e atomistica.
Tutti gli elementi richiamati nel provvedimento prefettizio, ove pure non assurgano a elementi di prova indiretta, costituiscono certamente un serio quadro indiziario sufficiente – secondo la regola dell’id quod plerumque accidit – a supportare l’interdittiva che, come è stato chiarito sub 3, ha finalità di prevenire una condotta penalmente rilevante e non di sanzionarla.
Giova sotto quest’ultimo profilo ricordare che uno degli indici del tentativo di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa - di per sé sufficiente a giustificare l’emanazione di una interdittiva antimafia - è identificabile nella instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un’impresa e una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale, in ragione della valenza sintomatica attribuibile a cointeressenze economiche particolarmente pregnanti; queste, infatti, giustificano il convincimento, seppur in termini prognostici e probabilistici, che l’impresa controindicata trasmetta alla seconda il suo corredo di controindicazioni antimafia, potendosi presumere che la prima scelga come partner un soggetto già colluso o, comunque, permeabile agli interessi criminali a cui essa resta assoggettata (o che, addirittura, interpreta e persegue); soltanto là dove l’esame dei contatti tra le società riveli il carattere del tutto episodico, inconsistente o remoto delle relazioni d’impresa deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia (Cons. St., -omissis-).
6. Tutto ciò chiarito ed a fronte del collegamento di -omissis- alle -omissis- diventa irrilevante la verifica in ordine al rapporto dell’appellante con il --omissis-, dato in ogni caso (e a prescindere dalla -omissis--), dalla -omissis-- (-omissis-), titolare di -omissis- del -omissis- -omissis-, oltre ad essere anch’egli preposto alla --omissis-, è -omissis- del --omissis-, -omissis- per vicinanza alla criminalità organizzata.
7. In conclusione, correttamente il coacervo di elementi è stato ritenuto dal Prefetto di Napoli sufficiente ad evidenziare il pericolo di contiguità con la mafia, con un giudizio peraltro connotato da ampia discrezionalità di apprezzamento, con conseguente sindacabilità in sede giurisdizionale delle conclusioni alle quali l’autorità perviene solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. -omissis-). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. -omissis-).
8. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
9. In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e va, dunque, confermata la sentenza del Tar Napoli, -omissis--, che ha respinto il ricorso di primo grado.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante alle spese e agli onorari dei giudizi, che vengono liquidate in complessivi € 5.000,00 (cinque mila) a favore di tutte le parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.