Investita della questione da parte della Regione Liguria, la Corte Costituzionale ritiene non fondate le censure sui tagli del Fondo di solidarietà comunale ma sollecita l'intervento dello Stato nella definizione dei LEP in quanto strettamente funzionale alla ripartizione delle risorse collegate al PNRR.
Con la sentenza n. 220 del 26 novembre 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondate le questioni proposte dalle Regione Liguria poiché non è stato adeguatamente dimostrato che i tagli del Fondo di solidarietà comunale avrebbero ostacolato lo svolgimento delle funzioni attribuite ai comuni. Sulla questione, la Consulta...
Svolgimento del processo
1.– Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 24 del 2020, la Regione Liguria, su istanza del Consiglio delle autonomie locali della medesima Regione, ha proposto questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), «in combinato disposto con l’art. 1, comma 892, L. n. 145/2018», in riferimento agli artt. 5 e 119, primo e quarto comma, della Costituzione; dell’art. 57, comma 1, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157, in riferimento agli artt. 5 e 119, primo, terzo e quarto comma, Cost.; dell’art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019, in riferimento agli artt. 5 e 119, primo, terzo e quarto comma, Cost.
1.1.– L’art. 1, comma 554, della legge n. 160 del 2019 è impugnato nella parte in cui consolida, per gli anni dal 2020 al 2022, il contributo riconosciuto ai Comuni per il ristoro del gettito non più acquisibile a seguito dell’introduzione del Tributo per i servizi indivisibili (TASI), di cui all’art. 1, comma 639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge di stabilità 2014)», nella misura complessiva di 300 milioni di euro, anziché nella misura di 625 milioni di euro, somma ritenuta inizialmente sufficiente a coprire i minori introiti conseguenti all’abolizione dell’Imposta municipale unica (IMU) sulla prima casa e all’introduzione della TASI.
Sostiene la ricorrente che l’ammontare complessivo della quota compensativa IMU-TASI, pari a 625 milioni di euro – definito dall’art. 1, comma 1, lettera d), del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche), convertito, con modificazioni, nella legge 2 maggio 2014, n. 68, e ripartita con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 6 novembre 2014, secondo i criteri di cui alla nota metodologica del Ministero dell’economia e delle finanze 29 luglio 2014 –, sarebbe stato quantificato tenendo conto del saldo netto tra il fabbisogno totale da finanziare e le risorse disponibili, al fine di ristorare integralmente la perdita di gettito subita dai Comuni a causa delle agevolazioni introdotte dallo Stato, in attuazione del principio di invarianza del gettito, secondo i criteri indicati dall’art. 11 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione).
Per effetto di successivi interventi normativi, a partire dal 2015 la quota ristorativa destinata ai Comuni sarebbe stata progressivamente ridotta, secondo i seguenti importi: 530 milioni di euro ai sensi dell’art. 8, comma 10, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125; 390 milioni di euro ai sensi dell’art. 1, comma 20, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)»; 300 milioni di euro nel 2017, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.P.C.m. 10 marzo 2017, recante «Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 1, comma 439, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di bilancio 2017)», somma confermata anche per il 2018 dall’art. 1, comma 870, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020). L’art. 1, comma 892, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), invece, «per ciascuno degli anni dal 2019 al 2033» ha quantificato la quota ristorativa TASI in un contributo pari a 190 milioni di euro, vincolati, peraltro, «al finanziamento di piani di sicurezza a valenza pluriennale finalizzati alla manutenzione di strade, scuole ed altre strutture di proprietà comunale». A questa somma, l’art. 1, comma 895-bis, della legge n. 145 del 2018, introdotto dall’art. 11-bis, comma 8, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, ha aggiunto, sempre per il 2019, un ulteriore contributo pari a 110 milioni di euro, così portando la quota ristorativa del fondo di solidarietà comunale (FSC) per tale annualità a 300 milioni di euro.
La somma, pari a 110 milioni di euro, è stata destinata anche per gli anni 2020, 2021 e 2022, dall’art. 1, comma 554, della legge n. 160 del 2019, sicché, in definitiva, il contributo ristorativo complessivamente stanziato e oggetto di impugnazione è, per tali annualità, pari a 300 milioni di euro. Dal 2023 al 2033, invece, sarebbero stanziati solo 190 milioni di euro, peraltro “vincolati” alla manutenzione di strade, scuole e altre strutture di proprietà comunale (art. 1, comma 892, della legge n. 145 del 2018).
Secondo il ricorrente, lo Stato, anziché compensare l’erosione di un’entrata propria del Comune con un trasferimento pari al gettito non più riscosso, avrebbe drasticamente ridotto i trasferimenti statali – che avrebbero dovuto invece neutralizzare le perdite di gettito subite – in violazione del principio di autonomia finanziaria, che implica anche il divieto di cosiddetti “tagli lineari” (sono richiamate in proposito, le sentenze di questa Corte n. 103 del 2018 e n. 10 del 2016).
Tale contrazione di risorse, unitamente all’introduzione del vincolo di destinazione (cristallizzato fino al 2033), imporrebbe ai Comuni una contrazione della spesa necessaria per l’espletamento delle funzioni loro assegnate dalla legge, con ciò ledendo non solo l’autonomia finanziaria degli enti locali (art. 119, primo comma, Cost.) e il principio della integrale correlazione fra risorse e funzioni (art. 119, quarto comma, Cost.), ma anche il principio che riconosce e promuove le autonomie locali (art. 5 Cost.).
1.2.– Viene altresì impugnato l’art. 57, comma 1, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito, nella parte in cui prevede che «[l]a quota di cui al periodo precedente è incrementata del 5 per cento annuo dall’anno 2020, sino a raggiungere il valore del 100 per cento a decorrere dall’anno 2030».
La norma censurata, sostanzialmente, dopo aver ridisegnato le percentuali di redistribuzione basate sulla differenza fra capacità fiscale e fabbisogno standard – fissandole al quaranta per cento per il 2017 e al quarantacinque per cento per gli anni 2018 e 2019 – prevede l’incremento progressivo del cinque per cento annuo a partire dal 2020, modificando così l’originaria scansione temporale fissata dall’art. 1, comma 449, lettera c), della legge n. 232 del 2016.
Sostiene il ricorrente che l’incremento della percentuale di perequazione calibrata sulla differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard – sebbene più graduato rispetto a quanto originariamente previsto dall’art. 1, comma 449, lettera c), della legge n. 232 del 2016, ossia il quaranta per cento nel 2017, il cinquantacinque per cento nel 2018, il settanta per cento nel 2019, l’ottantacinque per cento nel 2020 e il cento per cento nel 2021, progressione bloccata per il 2019 ai sensi dell’art. 1, comma 921, della legge n. 145 del 2018 – di fatto attuerebbe e perpetuerebbe una sperequazione fra i Comuni, essenzialmente per tre ragioni: per il carattere sostanzialmente “orizzontale” del FSC; per le modalità con cui sono calcolate le capacità fiscali; e per come sono strutturati i fabbisogni standard.
Con riferimento alla natura orizzontale del FSC, la Regione Liguria sostiene che tanto la legge delega sul federalismo fiscale, quanto la giurisprudenza costituzionale avrebbero affermato la natura “verticale” dei fondi perequativi di cui all’art. 119, terzo comma, Cost.: il fondo perequativo dovrebbe essere alimentato con il solo gettito dei tributi erariali o con trasferimenti diretti dello Stato. Il FSC, invece, tradirebbe la propria vocazione solidaristica a carattere “verticale” in quanto è alimentato esclusivamente dai Comuni, attraverso il gettito dell’imposta municipale propria, e non anche dalla fiscalità generale, come invece prevede la legge n. 42 del 2009 in riferimento al fondo perequativo per le funzioni fondamentali (art. 13, comma 1, lettera a, della legge n. 42 del 2009).
Tale situazione dipenderebbe dal fatto che la componente verticale, finanziata dallo Stato, sarebbe stata annullata dai tagli riconducibili alle misure di concorso alla finanza pubblica previste per i Comuni negli anni compresi fra il 2010 e il 2015, tanto da diventare, dal 2015 ad oggi, un “trasferimento negativo”, nel senso che sarebbe il comparto dei Comuni a trasferire risorse allo Stato. Sarebbe così violato l’art. 119, terzo comma, Cost.
Quanto ai criteri perequativi, il ricorrente fa notare che i Comuni con maggiori capacità fiscali contribuiscono maggiormente al FSC e ricevono meno di altri, senza che a tale maggiore contribuzione corrisponda necessariamente una maggiore ricchezza della popolazione del Comune interessato. A riprova della sostenuta irragionevole discriminazione, viene dedotto che, per effetto del sistema di rendita catastale vigente in Italia, i Comuni che hanno aggiornato le rendite catastali presentano una capacità fiscale maggiore rispetto a quelli che non hanno provveduto in tal senso. Questo meccanismo si riverbererebbe sul valore della quota di contribuzione al FSC – alla maggiore capacità fiscale corrisponde, infatti, una maggiore quota di contribuzione al fondo – che non rifletterebbe, però, l’effettiva ricchezza della popolazione dei Comuni. Sarebbe emblematico il caso del Comune di Genova, ma anche di tutti i Comuni liguri in genere, i quali, solo per aver aggiornato i valori catastali, sono i primi in Italia per capacità fiscale (776 euro pro capite, rispetto ad una media nazionale di 475 euro) e, pertanto, contribuirebbero più di quanto ricevono, rispetto ai Comuni che non hanno aggiornato le rendite catastali.
Per effetto di questa “distorsione” del criterio perequativo, ad elevati contributi versati non corrisponderebbe un adeguato livello di risorse disponibili, e verrebbero così contraddetti i principi della certezza delle risorse e del finanziamento integrale delle funzioni con le risorse attribuite, di cui all’art. 119, primo e quarto comma, Cost., con conseguente violazione anche delle prerogative delle autonomie locali di cui all’art. 5 Cost.
Il criterio perequativo viene, infine, censurato anche laddove rapporta le capacità fiscali ai fabbisogni standard, in quanto tale criterio sarebbe insufficiente a misurare l’effettiva capacità di un ente di provvedere integralmente all’esercizio delle funzioni. I fabbisogni standard, secondo la ricorrente, laddove prevedono che l’unica spesa da considerare per decidere la redistribuzione sia quella per le funzioni fondamentali, prescindendo da altre voci che gravano sui bilanci degli enti locali e che devono trovare comunque soddisfacimento nelle loro capacità fiscali (si menziona il debito pregresso, anche ereditato da amministrazioni precedenti), non garantirebbero un livello di risorse adeguato per finanziare integralmente le funzioni attribuite agli enti locali.
1.3.– Infine, la ricorrente impugna l’art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019, che – aggiungendo la lettera d-quater) all’art. 1, comma 449, della legge n. 232 del 2016 – prevede la seguente progressione di incremento del FSC: 100 milioni di euro nel 2020; 200 milioni di euro nel 2021; 300 milioni di euro nel 2022; 330 milioni di euro nel 2023 e 560 milioni di euro annui a decorrere dal 2024, così provvedendo a una progressiva reintegrazione delle risorse venute meno ai sensi dell’art. 47, comma 8, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89.
I tagli alla dotazione del FSC, introdotti con il menzionato d.l. n. 66 del 2014 e inizialmente circoscritti al triennio 2015-2017, sono stati estesi dapprima al 2018 e poi anche al 2019 (art. 1, comma 921, della legge n. 145 del 2018).
Secondo la Regione Liguria, la disposizione impugnata, anziché integrare complessivamente le risorse sottratte al FSC dai richiamati tagli, ne prevedrebbe solo una esigua e comunque lenta ricostituzione, arrivando ad integrarle per intero solo dieci anni dopo la loro soppressione.
In proposito è richiamata la giurisprudenza costituzionale che ha giudicato legittimi i “tagli lineari” alla duplice condizione: che tali misure prevedano un contenimento complessivo e siano temporanee.
Secondo la ricorrente, la norma censurata difetterebbe della transitorietà, poiché protrae per un periodo più che doppio i tagli inizialmente disposti per un triennio.
Mediante un richiamo alle argomentazioni svolte nei precedenti motivi, è poi aggredita la natura sostanzialmente orizzontale del FSC: i “tagli lineari” al FSC hanno, infatti, azzerato i trasferimenti statali – ossia, la sua componente verticale – e il fondo viene così unicamente alimentato dalla quota di IMU prelevata ai Comuni, dal che si lamenta la violazione dell’art. 119, terzo comma, Cost.
La Regione ricorrente, in proposito, cita un documento del Servizio studi della Camera dei deputati del 7 marzo 2018, da cui emergerebbe che la struttura attuale del FSC è a carattere «prevalentemente orizzontale», poiché risulta «alimentato esclusivamente dai Comuni attraverso il gettito dell’imposta municipale propria, e non anche dalla fiscalità generale, come, invece, richiesto dalla legge n. 42 del 2009 in riferimento al fondo perequativo per le funzioni fondamentali». Nel medesimo documento riportato dalla ricorrente sarebbe, poi, affermato che tale situazione dipende dal fatto che la componente verticale del FSC è stata annullata dai tagli alle risorse introdotti e reiterati negli anni dal legislatore, con la conseguenza che i trasferimenti complessivi (al netto delle compensazioni dei tributi soppressi) risultano negativi, ossia il comparto dei Comuni trasferisce risorse allo Stato.
Parimenti sarebbe lesa l’autonomia tributaria degli enti locali, di cui all’art. 119, primo comma, Cost. nonché il principio del cosiddetto parallelismo di risorse per lo svolgimento delle funzioni attribuite (art. 119, primo comma, Cost.), così ledendo la stessa autonomia riconosciuta dall’art. 5 Cost.
La ricorrente conclude, pertanto, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma/disposizione impugnata con il presente motivo nella parte in cui, anziché ricostituire, a partire dall’anno 2020 il fondo di solidarietà comunale nella misura di euro 563,4 milioni, sottratta per effetto dell’art. 47, comma 8, del d.l. n. 66 del 2014, stabilisce un meccanismo di ricomposizione progressiva che ne consentirà il pieno reintegro solo nel 2024.
2.– Con memoria depositata il 10 aprile 2020, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
Anzitutto, la difesa erariale sostiene l’inammissibilità del ricorso per l’omessa enunciazione delle ragioni per le quali la legislazione statale impugnata sarebbe idonea a produrre un effetto «diretto ed immediato» sulle prerogative costituzionali riconosciute dalla Costituzione alle Regioni. Secondo l’Avvocatura dello Stato, la Regione Liguria avrebbe dovuto quantomeno dimostrare come la «stretta connessione», in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali si rifletta sulle competenze legislative regionali (in proposito è richiamata la sentenza di questa Corte n. 170 del 2017).
Il ricorso sarebbe parimenti inammissibile quanto all’asserita lesione del principio della necessaria correlazione fra risorse a disposizione e svolgimento delle funzioni assegnate, poiché il ricorrente non avrebbe adeguatamente dimostrato come il venir meno delle risorse indispensabili impatti sull’effettivo e concreto svolgimento delle funzioni degli enti locali, con conseguente difetto di autosufficienza del gravame (sono richiamate, al riguardo, le sentenze di questa Corte n. 127 del 2016, n. 239 del 2015 nonché n. 36, n. 26 e n. 23 del 2014).
Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce, poi, l’inammissibilità per mancanza di completezza e chiarezza del ricorso, poiché la ricorrente, non avendo dimostrato il rapporto di causalità esistente fra i tagli subiti dai Comuni e gli impegni di spesa assunti, non avrebbe adeguatamente motivato il pregiudizio derivante dai tagli medesimi.
Parimenti inammissibili sarebbero le censure relative allo squilibrio provocato dalle misure di contenimento della finanza pubblica, poiché l’onere di dimostrare l’impossibilità di svolgere i compiti assegnati alla Regione o agli enti locali incombe sulla parte ricorrente (sono in proposito richiamate le sentenze di questa Corte n. 205 e n. 127 del 2016).
L’Avvocatura erariale eccepisce inoltre l’inammissibilità della seconda questione per carenza di interesse ed aberratio ictus perché – rispettivamente – l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata farebbe rivivere quella precedente, che dettava una più rapida progressione perequativa, e perché la disciplina dei criteri di calcolo della capacità fiscale sarebbe dettata da un’altra norma, segnatamente l’art. 1, comma 380-ter, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità 2013)».
Viene infine eccepita l’inammissibilità di tutte le doglianze avanzate dalla ricorrente in riferimento all’art. 5 Cost., per l’omessa dimostrazione di come la violazione di questo parametro ridondi sull’ambito delle competenze legislative delle Regioni (è citata la sentenza di questa Corte n. 251 del 2015).
2.1.– Ove si accedesse al merito delle questioni, l’Avvocatura dello Stato ne paventa comunque la non fondatezza.
Con riferimento al primo motivo, lo Stato sostiene che le misure volte a compensare il mancato gettito della TASI non attuerebbero una mera reiterazione dei tagli, quanto piuttosto una loro rimodulazione, e pertanto l’effetto dell’asserito vulnus al fabbisogno finanziario sarebbe temperato dalla progressiva riassegnazione delle risorse originariamente trattenute (è richiamata, in proposito, la sentenza di questa Corte n. 46 del 2019).
L’Avvocatura dello Stato confuta poi anche il riferimento al contenuto della nota metodologica, poiché essa sarebbe riferita non tanto all’ammontare delle risorse del fondo compensativo (fissato dall’art. 1, comma 731, della legge n. 147 del 2013) quanto al riparto del fondo stesso.
2.2.– Con riferimento al secondo motivo, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata non muterebbe il sistema di redistribuzione del fondo in questione, tantomeno ne bloccherebbe la progressione.
Afferma la difesa statale che, in assenza della disposizione impugnata – una volta cessata l’efficacia del regime derogatorio previsto dall’art. 1, comma 992, della legge n. 145 del 2018, che aveva bloccato per il 2019 l’incedere della perequazione – a partire dal 2020 ritroverebbe efficacia il regime stabilito dall’art. 1, comma 449, lettera c), della legge n. 232 del 2016.
Poiché dall’oggetto del ricorso non sembrerebbe emergere la richiesta di reiterare la deroga introdotta dall’art. 1, comma 992, della legge n. 145 del 2018, bensì la mera ablazione della norma impugnata, laddove introduce il criterio summenzionato, l’Avvocatura dello Stato eccepisce dunque l’inammissibilità della doglianza per difetto di interesse, ovvero, alternativamente, la sua non fondatezza.
Parimenti inammissibili, o, in alternativa, non fondate, sarebbero le censure sollevate in riferimento alle diseguaglianze derivanti dall’applicazione della perequazione calibrata sulla capacità fiscale e sui fabbisogni standard, poiché la norma impugnata non attiene alla disciplina di tali aspetti.
2.3.– Con riferimento al terzo motivo, la difesa dello Stato sostiene la non pertinenza alla vicenda de qua dei principi elaborati da questa Corte in tema di “tagli lineari”, poiché la norma impugnata introdurrebbe un graduale aumento delle risorse del FSC e non attuerebbe un mero taglio lineare.
Il Presidente del Consiglio dei ministri contesta poi la ricostruzione normativa operata dal ricorrente, sostenendo che le asserite riduzioni al FSC non sarebbero «direttamente ricollegabil[i] ai tagli lineari di cui all’art. 47, comma 8, del D.L. n. 66/2014, anche se di questi si è tenuto “anche conto” nella ridefinizione della dotazione del fondo di solidarietà comunale ai sensi del precedente comma 848».
La difesa erariale ammette che una effettiva decurtazione di risorse, protratta anche per il 2019, ai sensi dell’art. 1, comma 921, della legge n. 145 del 2016, non potrebbe considerarsi costituzionalmente legittima, dal momento che tale taglio era previsto solo fino al 2018, a norma dell’art. 47, comma 8, del d.l. n. 66 del 2014.
Tuttavia, per confutare le censure della Regione Liguria, il resistente sostiene che la normativa di riferimento per la dotazione del FSC non sia quella risultante dal d.l. n. 66 del 2014 e sue successive modifiche, ma quella risultante dall’art. 1, comma 448, della legge n. 232 del 2016, che ha stabilito per il 2017 la dotazione del FSC pari ad euro 6.197.184.364,87 e, a decorrere dal 2018, una dotazione di euro 6.208.184.364,87.
La conferma della dotazione del FSC “a regime” a partire dal 2018 – secondo la difesa dello Stato – proverebbe che non vi è stata alcuna decurtazione del fondo in questione, e non verrebbe pertanto in rilievo il carattere della temporaneità o meno della misura legislativa adottata, ma «esclusivamente il carattere stabile della dotazione del fondo di solidarietà comunale».
Quanto alla asserita natura orizzontale del FSC, l’Avvocatura dello Stato sostiene che la necessaria natura verticale del fondo perequativo sarebbe riferibile solo al fondo di cui all’art. 119, quinto comma, Cost., e non a quello di cui all’art. 119, terzo comma, Cost., come si ricaverebbe dalla giurisprudenza costituzionale (sono riportate, in proposito, le sentenze n. 61 del 2018, n. 79 del 2014 e n. 176 del 2012).
Con riferimento, invece, alle dedotte sperequazioni generate dall’applicazione dei criteri della capacità fiscale e dei fabbisogni standard, secondo il resistente non vi sarebbe prova del danno subìto, dal momento che per 64 Comuni della Regione Liguria l’ammontare di risorse attribuite sarebbe superiore a quello derivante dall’applicazione del solo criterio delle risorse storiche.
3.– Con memoria integrativa del 16 febbraio 2021, la Regione Liguria ha anzitutto ribadito la propria legittimazione a promuovere ricorso per conto degli enti locali.
A confutazione dell’eccezione statale sulla mancata dimostrazione della lesione dell’autonomia finanziaria derivante dalle norme oggetto di censura, la ricorrente allega alcuni documenti relativi alla ripartizione del FSC nel 2021 per il Comune di Genova (che assorbirebbe oltre l’80 per cento della quota di FSC assegnata ai Comuni liguri).
Quanto ai tagli sulla “quota ristorativa IMU-TASI”, la ricorrente allega una Tabella riferita ai trasferimenti al Comune di Genova che ne proverebbe il «drastico ridimensionamento», poiché le risorse passano da euro 27.560.641,48 nel 2014, ad euro 13.229.107,91 nel 2021 (circa il 52 per cento in meno), con una perdita di risorse pari a circa 19 milioni di euro, contrazione che non sarebbe compensata da alcun incremento di autonomia tributaria dell’Ente.
Quanto agli effetti negativi prodotti dall’incedere della perequazione calibrata sulla differenza tra capacità fiscali e fabbisogni standard, il ricorrente allega un prospetto che proverebbe come tale progressione della perequazione abbia prodotto (e sia destinata a produrre, a pieno regime) una consistente contrazione delle risorse per il Comune di Genova, che di fatto riceve in perequazione la metà di quanto versa, con una perdita costante annua dal 2021 in poi di circa 1,6 milioni di euro. Viene pertanto ribadita la censura di illegittimità costituzionale della norma che – anziché mutare il criterio di calcolo della perequazione – dispone la lenta ma inevitabile progressione di un criterio le cui conseguenze in termini di «shock perequativo» sarebbero già acclarate nonché condivise dallo stesso legislatore statale (ragion per cui la legge impugnata avrebbe disposto un “rallentamento” della progressione rispetto al calendario originariamente fissato).
Viene, infine, allegato il prospetto di sintesi del bilancio di previsione del Comune di Genova, da cui emergerebbe che le risorse assegnate alle varie Direzioni dell’ente dal 2021 al 2023 sono tutte in progressiva diminuzione, a riprova della incidenza dei tagli sull’esercizio delle funzioni assegnate. In proposito, sarebbe emblematica la flessione negli stanziamenti della Direzione politiche sociali, che dal 2021 al 2023 subiscono una contrazione di risorse del 50 per cento.
Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato una memoria nei termini, in cui sostanzialmente ribadisce le eccezioni sollevate e le argomentazioni di non fondatezza prospettate nell’atto di costituzione.
4.– Nella camera di consiglio del 9 marzo 2021, ai sensi dell’art. 12 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, come disposto con ordinanza istruttoria n. 79 del 2021, sono stati ascoltati il Ragioniere generale dello Stato e il Presidente dell’Istituto della finanza e l’economia locale (IFEL), alla presenza delle parti, le quali, nella successiva udienza pubblica del 5 ottobre 2021, hanno replicato alle affermazioni rilasciate in audizione.
Motivi della decisione
1.– Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 24 del 2020, la Regione Liguria, su istanza del Consiglio delle autonomie locali della medesima Regione, ha proposto questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), «in combinato disposto con l’art. 1, comma 892, della L. n. 145/2018», in riferimento agli artt. 5 e 119, primo e quarto comma, della Costituzione; dell’art. 57, comma 1, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157, in riferimento agli artt. 5 e 119, primo, terzo e quarto comma, Cost.; e dell’art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019, in riferimento agli artt. 5 e 119, primo, terzo e quarto comma, Cost.
1.1.– L’art. 1, comma 554, della legge n. 160 del 2019 è impugnato nella parte in cui consolida, per gli anni dal 2020 al 2022, il contributo riconosciuto ai Comuni per il ristoro del gettito tributario non più acquisibile a seguito dell’introduzione della Tariffa per i servizi indivisibili (TASI) di cui all’art. 1, comma 639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella misura complessiva di 300 milioni di euro, anziché nella misura 625 milioni di euro, somma ritenuta inizialmente sufficiente a coprire i minori introiti conseguenti all’introduzione della TASI nonché all’abolizione dell’Imposta municipale unica (IMU) sulla prima casa.
Sostiene la Regione ricorrente che lo Stato, anziché compensare l’erosione di un’entrata propria del Comune con un trasferimento pari al gettito non più riscosso, avrebbe drasticamente ridotto i trasferimenti statali, in violazione del principio di autonomia finanziaria, che implicherebbe anche il divieto di cosiddetti “tagli lineari”.
Tale contrazione di risorse, unitamente all’introduzione del vincolo di destinazione (cristallizzato fino al 2033), imporrebbe ai Comuni una riduzione della spesa necessaria per l’espletamento delle funzioni loro assegnate dalla legge, con ciò ledendo non solo l’autonomia finanziaria degli enti locali (art. 119, primo comma, Cost.) e il principio dell’integrale correlazione fra risorse e funzioni (art. 119, quarto comma, Cost.), ma anche il principio che riconosce e promuove le autonomie locali (art. 5 Cost.).
1.2.– Viene altresì impugnato l’art. 57, comma 1, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito, nella parte in cui prevede che «[l]a quota [di perequazione calibrata sulla differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard] di cui al periodo precedente è incrementata del 5 per cento annuo dall’anno 2020, sino a raggiungere il valore del 100 per cento a decorrere dall’anno 2030».
Sostiene la ricorrente che l’incremento della percentuale di perequazione calibrata sulla differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard di fatto attuerebbe e perpetuerebbe una sperequazione fra i Comuni, essenzialmente per tre ragioni: a) per il carattere sostanzialmente “orizzontale” del Fondo di solidarietà comunale (FSC); b) per le modalità con cui sono calcolate le capacità fiscali; c) per come sono strutturati i fabbisogni standard.
Con riferimento alla natura orizzontale del FSC, la Regione Liguria sostiene che la componente verticale, finanziata dallo Stato, di fatto sarebbe stata annullata dai tagli riconducibili alle misure di concorso alla finanza pubblica previste per i Comuni negli anni 2010-2015, tanto che, dal 2015 a oggi, sarebbe il comparto dei Comuni a trasferire risorse allo Stato. Sarebbe così violato l’art. 119, terzo comma, Cost.
Quanto ai criteri perequativi, la ricorrente osserva che i Comuni con maggiori capacità fiscali contribuirebbero maggiormente al FSC ma riceverebbero meno di altri, senza che a tale maggiore contribuzione corrisponda necessariamente una maggiore ricchezza della popolazione del Comune interessato.
A riprova dell’asserita irragionevole discriminazione, viene dedotto che, per effetto del sistema vigente, i Comuni che hanno aggiornato le rendite catastali presenterebbero una capacità fiscale maggiore rispetto a quelli che non hanno provveduto in tal senso. Questo meccanismo si riverbererebbe sul valore della quota di contribuzione al FSC – alla maggiore capacità fiscale corrisponderebbe, infatti, una maggiore quota di contribuzione al fondo – che non rifletterebbe, però, l’effettiva ricchezza della popolazione dei Comuni.
Per effetto di questa “distorsione” del criterio perequativo, a elevati contributi versati non corrisponderebbe un adeguato livello di risorse disponibili, e verrebbero pertanto contraddetti i principi della certezza delle risorse e del finanziamento integrale delle funzioni con i fondi attribuiti, di cui all’art. 119, primo e quarto comma, Cost., con conseguente violazione anche delle prerogative delle autonomie locali di cui all’art. 5 Cost.
1.3.– Infine, il ricorrente impugna l’art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019, che – aggiungendo la lettera d-quater) all’art. 1, comma 449, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019) – prevede la seguente progressione di incremento del FSC: 100 milioni di euro nel 2020; 200 milioni di euro nel 2021; 300 milioni di euro nel 2022; 330 milioni di euro nel 2023 e 560 milioni di euro a decorrere dal 2024, così provvedendo a un progressivo recupero delle risorse venute meno per effetto dei tagli praticati nel 2014 dall’art. 47, comma 8, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89.
Protraendo per un periodo più che doppio le riduzioni inizialmente disposte per un triennio, la norma impugnata confliggerebbe con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di “tagli lineari”, i quali sarebbero legittimi alla duplice condizione che prevedano un contenimento complessivo e che siano temporanei.
Inoltre, i “tagli lineari” al FSC avrebbero azzerato i trasferimenti statali – ossia, la componente verticale – e il fondo sarebbe unicamente alimentato dalla quota di IMU prelevata ai Comuni, dal che discenderebbe la violazione dell’art. 119, terzo comma, Cost.
Le decurtazioni così descritte sarebbero pertanto lesive dell’autonomia finanziaria degli enti locali (art. 119, primo comma, Cost.), i quali sarebbero parimenti penalizzati nella dotazione di risorse necessarie all’integrale soddisfacimento delle funzioni loro attribuite (art. 119, quarto comma, Cost.), con conseguente compromissione delle loro stesse prerogative costituzionali (art. 5 Cost.).
2.– Devono essere anzitutto disattese le eccezioni d’inammissibilità sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.
2.1. – Più precisamente, a parere dell’Avvocatura generale dello Stato, la stretta connessione tra le attribuzioni regionali e quelle spettanti alle autonomie locali non sussisterebbe in re ipsa, ma necessiterebbe di una dimostrazione.
Tale eccezione è priva di fondamento.
Ai sensi dell’art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), come sostituito dall’art. 9, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), la questione di legittimità costituzionale nei confronti di una legge dello Stato può essere promossa dalle Regioni su iniziativa del Consiglio delle autonomie locali (organo consultivo regionale, ai sensi dell’art. 123 Cost.).
Questa Corte ha peraltro progressivamente ampliato il menzionato potere d’iniziativa regionale (ex multis, sentenze n. 196 del 2004 e n. 533 del 2002) e, a partire dal 2009, ha affermato che «le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale» (sentenza n. 298 del 2009), in quanto «la stretta connessione […] tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (sentenza n. 195 del 2019).
2.2.– Altrettanto non fondata è l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnativa promossa in riferimento all’art. 5 Cost., per l’omessa dimostrazione di come la violazione di questo parametro ridondi sull’ambito delle competenze legislative della Regione.
Il filtro della ridondanza è stato richiamato dalla giurisprudenza di questa Corte a fronte di impugnazioni proposte dalle Regioni in riferimento a parametri non competenziali, ritenute «ammissibili al ricorrere di due concomitanti condizioni: in primo luogo, la ricorrente deve individuare gli ambiti di competenza regionale – legislativa, amministrativa o finanziaria – incisi dalla disciplina statale, indicando le disposizioni costituzionali sulle quali, appunto, trovano fondamento le proprie competenze in tesi indirettamente lese; in secondo luogo, l’illustrazione del cosiddetto vizio di ridondanza non dev’essere apodittica, bensì adeguatamente motivata, in ordine alla sussistenza, nel caso oggetto di giudizio, di un titolo di competenza regionale rispetto all’oggetto regolato dalla legge statale» (sentenza n. 187 del 2021).
Nel caso di specie, tuttavia, l’art. 5 Cost., lungi dall’essere un parametro non competenziale, nella parte in cui riconosce e promuove le autonomie locali, è per contro la norma costituzionale che sta alla base delle competenze riconosciute alle Regioni e agli enti locali dal Titolo V, Parte II, della Costituzione. Di qui la possibilità per le Regioni di dedurne la violazione nei giudizi in via principale.
2.3.– Quanto all’eccepita inammissibilità per carenza di interesse al ricorso, l’Avvocatura generale sostiene che l’eventuale caducazione della norma impugnata (nella specie, l’art. 57, comma 1, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito) non muterebbe l’incedere del sistema perequativo, bensì lo aggraverebbe a danno degli enti locali, poiché tornerebbe in vigore il previgente regime di cui all’art. 1, comma 449, lettera c), della legge n. 232 del 2016 – sostituito dalla disposizione impugnata – il quale prevedeva una più rapida progressione della perequazione fondata sulla differenza fra capacità fiscali e fabbisogni standard (perequazione al cento per cento delle capacità fiscali-fabbisogni standard già dal 2021).
L’eccezione evoca il tema della reviviscenza delle norme, rispetto al quale questa Corte ha chiarito, con giurisprudenza costante, che tale fenomeno è circoscritto a casi tassativi, coincidenti con le ipotesi di annullamento di norme meramente abrogatrici di altre disposizioni (ex multis, sentenze n. 10 del 2018 e n. 218 del 2015).
Nel caso di specie, la norma impugnata non dispone la mera abrogazione di un’altra, ma ne sostituisce il contenuto. Pertanto, l’eventuale caducazione della stessa non produrrebbe l’effetto di far tornare in vita quella precedente, dal che la non fondatezza dell’eccezione.
2.4.– Con riferimento all’eccepita inammissibilità per cosiddetta aberratio ictus, poiché gli effetti lamentati dalla ricorrente – derivanti dall’applicazione, come criterio perequativo, del rapporto fra le capacità fiscali e i fabbisogni standard – non sarebbero imputabili alla norma impugnata, ma ad altra disposizione, individuata dal resistente nell’art. 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», occorrono alcune brevi precisazioni.
L’art. 57, comma 1, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito, viene impugnato nella parte in cui prevede l’incremento della percentuale di perequazione, calibrata sulla differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, del cinque per cento annuo, fino al raggiungimento del cento per cento nel 2030.
Dal tenore letterale della disposizione emerge che essa sostituisce l’art. 1, comma 449, lettera c), della legge n. 232 del 2016 con una norma di contenuto diverso, quanto alla progressione delle percentuali di perequazione (sia nelle cifre che nei tempi), e, al contempo, àncora tale progressione perequativa al criterio della differenza fra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, ossia al criterio oggetto di censura della ricorrente.
Nel caso di specie, l’eccezione non è fondata perché il ricorrente ha correttamente individuato la norma di legge relativa ai criteri perequativi: per l’appunto, l’art. 1, comma 449, lettera c), della legge n. 232 del 2016 e non l’art. 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012, il quale, invece, ha trovato applicazione sino alla determinazione del FSC relativo all’anno 2016; di conseguenza, dal 1° gennaio 2017 il riferimento normativo per i criteri di riparto del FSC è l’art. 1, commi 449 e seguenti, della legge n. 232 del 2016. Ne discende l’insussistenza della eccepita aberratio ictus.
2.5.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, il ricorso sarebbe inammissibile perché la ricorrente non avrebbe adeguatamente dimostrato come il venir meno delle risorse impatti sull’effettivo e concreto svolgimento delle funzioni assegnate, con conseguente difetto di autosufficienza del gravame; nonché per mancanza di completezza e chiarezza, perché la ricorrente – non avendo comprovato il rapporto di causalità esistente fra i tagli subiti dai Comuni e gli impegni di spesa assunti – non avrebbe adeguatamente motivato il pregiudizio derivante dai tagli medesimi.
Al riguardo questa Corte ha in più occasioni ricordato che l’autonomia finanziaria costituzionalmente garantita agli enti territoriali non comporta una rigida garanzia quantitativa e che sono pertanto ammesse anche riduzioni delle risorse disponibili, «purché tali diminuzioni non rendano impossibile lo svolgimento delle funzioni attribuite agli enti territoriali medesimi» (sentenza n. 83 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 155 del 2020). Ha inoltre ulteriormente precisato che «grava sul ricorrente l’onere di provare l’irreparabile pregiudizio lamentato» (ex plurimis, sentenza n. 76 del 2020), onere peraltro soggetto a gradazioni, a seconda che debba essere valutato ai fini dell’ammissibilità del ricorso o della sua fondatezza.
In proposito, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, sotto il profilo dell’onere di allegazione ai fini dell’ammissibilità, è sufficiente una motivazione che chiarisca «l’incidenza della misura introdotta dal legislatore statale sulle risorse destinate a tali funzioni» (sentenza n. 137 del 2018).
Tanto premesso, benché l’Avvocatura generale rivolga l’eccezione d’inammissibilità all’intero ricorso, la valutazione sulla sua fondatezza deve essere rapportata alle singole impugnative.
Quanto alla prima, relativa all’art. 1, comma 554, della legge n. 160 del 2019, la ricorrente ha assolto all’onere di allegazione su di essa gravante, poiché appare ictu oculi che il contributo posto a carico dello Stato dalla norma impugnata a titolo di quota ristorativa del minor gettito relativo a IMU e TASI (110 milioni di euro) è notevolmente ridotto rispetto alla somma originariamente individuata dallo Stato medesimo a titolo compensativo (625 milioni di euro), quantificata sul saldo netto tra il fabbisogno da finanziare e le risorse disponibili.
La cospicua contrazione della somma trasferita dallo Stato è di per sé in grado di sostenere le potenzialità lesive in relazione allo svolgimento delle funzioni assegnate e quindi di consentire l’esame nel merito della questione (ex multis, sentenze n. 137 del 2018, n. 188 del 2015 e n. 88 del 2014).
Quanto alla seconda impugnativa, relativa all’art. 57, comma 1, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito, l’eccezione è parimenti non fondata, poiché la ricorrente ha allegato una documentazione da cui è agilmente individuabile la differenza (positiva) fra le quote di FSC versate in perequazione e quelle ricevute. Peraltro, la denuncia non si rivolge esclusivamente alla compressione delle risorse rispetto alle funzioni da svolgere, quanto piuttosto e, soprattutto, all’irragionevolezza della scelta di non considerare fra i criteri di calcolo delle capacità fiscali l’aggiornamento delle rendite catastali. Pertanto il ricorso, sul punto, deve ritenersi sufficientemente motivato.
Quanto, infine, alla terza impugnativa, relativa all’art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019, la ricorrente individua in modo preciso l’ammontare di contributo statale al FSC decurtato (563,4 milioni di euro), nonché l’esatto importo di cui si censura la sproporzione in relazione al quantum originariamente sottratto (100 milioni di euro, per il 2020). In questo caso, peraltro, viene lamentata anche la protrazione dei tagli del contributo statale al FSC, per una durata più che doppia rispetto a quanto originariamente previsto. La valutazione circa la fondatezza degli argomenti svolti a suo sostegno appartiene perciò al sindacato di merito, onde il rigetto della eccepita inammissibilità.
2.6.– Deve poi rilevarsi d’ufficio che la ricorrente impugna l’art. 1, comma 554, della legge n. 160 del 2019 «in combinato disposto» con l’art. 1, comma 892, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), trascurando che per la seconda norma/tale disposizione sono decorsi i termini perentori per l’impugnazione davanti a questa Corte (art. 127, secondo comma, Cost. e art. 32, secondo comma, della legge n. 87 del 1953), che ha avuto modo di chiarire come sia inammissibile il ricorso che integri un tentativo di aggiramento dei termini di decadenza per l’impugnazione di leggi ritenute costituzionalmente illegittime (ex multis, sentenze n. 39 del 2020 e n. 160 del 2009).
Tale rilievo, peraltro, non mina l’ammissibilità della questione afferente al solo art. 1, comma 554, della legge n. 160 del 2019, in relazione alla quale l’oggetto della doglianza è l’insufficiente stanziamento di risorse a titolo ristorativo per il 2020, quantificato dalla norma impugnata in 110 milioni di euro, che, pur sommandosi al pregresso e consolidato stanziamento di 190 milioni di euro, sono ritenuti comunque insufficienti, a fronte degli originari 625 milioni di euro individuati come ammontare da ristorare. Ciò trova conferma anche nel tenore letterale della delibera a impugnare della Giunta regionale, che individua come norma lesiva esclusivamente l’art. 1, comma 554, della legge n. 160 del 2019, laddove “consolida” a titolo ristorativo la cifra di 300 milioni di euro, somma che rappresenta esclusivamente il risultato finanziario delle due disposizioni.
3.– Prima di accedere al merito, deve rilevarsi che, nelle more del giudizio, l’art. 1, comma 848, della legge n. 160 del 2019 è stato abrogato dall’art. 1, comma 793, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023).
In particolare, l’art. 1, comma 791, della legge n. 178 del 2020, ha previsto due incrementi progressivi della dotazione del FSC, vincolati a due diverse finalità. Il successivo comma 792 ha inserito tale modifica nella legge n. 232 del 2016, aggiungendo all’art. 1, comma 449, le lettere d-quinquies) e d-sexies). Infine, il comma 793 ha espressamente abrogato l’art. 1, commi 848 e 850, della legge n. 160 del 2019.
Per effetto delle descritte modifiche, gli incrementi al FSC dall’anno 2021 al 2024, oggetto di impugnazione con il terzo motivo del ricorso, sono stati abrogati e sostituiti dagli incrementi vincolati di cui all’art. 1, commi 791 e 792, della legge n. 178 del 2020, nei seguenti termini: 215.923.000 euro per l’anno 2021, 254.923.000 euro per l’anno 2022, 299.923.000 euro per l’anno 2023, 345.923.000 euro per l’anno 2024, 390.923.000 euro per l’anno 2025, 442.923.000 euro per l’anno 2026, 501.923.000 euro per l’anno 2027, 559.923.000 euro per l’anno 2028, 618.923.000 euro per l’anno 2029 e 650.923.000 euro annui a decorrere dal 2030, per lo sviluppo e l’ampliamento dei servizi sociali comunali; nonché 100 milioni di euro per l’anno 2022, 150 milioni di euro per l’anno 2023, 200 milioni di euro per l’anno 2024, 250 milioni di euro per l’anno 2025 e 300 milioni di euro annui a decorrere dal 2026, finalizzati all’aumento del numero di posti disponibili negli asili nido comunali.
Ciò posto, occorre rilevare che l’impugnato art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019 ha trovato applicazione per il 2020, sicché in relazione a tale annualità la censura deve essere esaminata.
Con riferimento al periodo successivo, a partire dal 2021, occorre verificare se le modifiche introdotte dalla legge n. 178 del 2020 presentino i caratteri che – secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – consentono il trasferimento della questione sulla nuova norma, in forza «del principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via d’azione» (ex multis, sentenze n. 44 del 2018 e n. 80 del 2017).
Ai fini del trasferimento, infatti, occorre verificare se lo ius superveniens non sia satisfattivo per la ricorrente, abbia carattere marginale, ovvero non sia dotato di un contenuto radicalmente innovativo rispetto alla norma originaria, in grado di alterarne la portata precettiva.
Nel caso in esame, le modifiche apportate dalla legge n. 178 del 2020, se da un lato non appaiono satisfattive per la ricorrente (in quanto rinviano solo al 2025 la ricostituzione nel FSC delle risorse sottratte nel 2014), al contempo, però, non sono dotate di quella marginalità in grado di escludere una diversa portata precettiva della disposizione modificata. L’inserimento del doppio vincolo di destinazione ora gravante sugli enti locali depone, infatti, per la natura di innovazione sostanziale (ex plurimis, sentenza n. 137 del 2018).
Non sussistono, pertanto, le condizioni che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, consentono di trasferire la questione sulla norma sopravvenuta, altrimenti supplendosi impropriamente all’onere di impugnazione (ex multis, sentenze n. 40 del 2016, n. 17 del 2015 e n. 138 del 2014).
4.– Al fine di una corretta valutazione del merito, è necessaria una sia pur breve ricostruzione della disciplina normativa del FSC, sulla cui evoluzione hanno inciso le difficoltà e i ritardi nell’attuazione del federalismo fiscale.
Il FSC è stato istituito dall’art. 1, comma 380, lettera b), della legge n. 228 del 2012 in sostituzione del Fondo sperimentale di riequilibrio, di cui all’art. 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), il quale era alimentato da trasferimenti statali e da compartecipazioni al gettito di tributi erariali (sentenza n. 129 del 2016).
Rispetto all’assetto del Fondo sperimentale di riequilibrio, il FSC presentava – almeno in origine – una natura mista (orizzontale e verticale), in quanto veniva alimentato prevalentemente dai Comuni mediante la trattenuta di una parte del gettito standard derivante dall’IMU e da una quota minoritaria di risorse trasferite dallo Stato.
Sul FSC così strutturato, a partire dal 2010, si sono riversati i tagli determinati dalle misure di finanza pubblica a carico dei Comuni, che hanno inciso sulle risorse effettivamente disponibili, erodendo completamente la componente verticale del FSC. Inoltre, l’abolizione dell’IMU e della TASI sull’abitazione principale e le molteplici modifiche normative che hanno riguardato la prima imposta hanno contemporaneamente ridotto il gettito dei tributi locali. La dotazione del FSC è stata tuttavia corrispondentemente incrementata dallo Stato al fine di garantire le risorse necessarie a compensare i Comuni delle minori entrate.
Per effetto congiunto di queste misure l’attuale struttura del FSC – fatta eccezione per la menzionata quota compensativa destinata al ristoro delle minori entrate di IMU e TASI – è divenuta interamente orizzontale, tanto da determinare, dal 2015 al 2020, un “trasferimento negativo”, nel senso che è il comparto dei Comuni a trasferire risorse allo Stato.
Attualmente, la disciplina a regime del FSC è dettata dall’art. 1, commi da 446 a 452, della legge n. 232 del 2016, che fissa la dotazione complessiva (comprensiva della quota ristorativa di IMU e TASI e della quota generale) del FSC per il 2020 in 6.213,7 milioni di euro; per il 2021 in 6.616,5 milioni di euro; per il 2022 in 6.855,5 milioni di euro; per il 2023 in 6.980,5 milioni di euro; per il 2024 in 7.306,5 milioni di euro; per il 2025 in 7.401,5 milioni di euro; per il 2026 in 7.503,5 milioni di euro; per il 2027 in 7.562,5 milioni di euro; per il 2028 in 7.620,5 milioni di euro; per il 2029 in 7.679,5 milioni di euro e a decorrere dal 2030 in 7.711,5 milioni di euro.
Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 marzo 2020 (Criteri di formazione e di riparto del Fondo di solidarietà comunale 2020) dispone che la quota ristorativa di IMU e TASI è pari a 3.753,3 milioni di euro e che, invece, la componente tradizionale e destinata alla perequazione ammonta a 2.768,8 milioni di euro ed è finanziata unicamente dal 22,43 per cento dell’IMU versata dai Comuni.
5.– Così ricostruiti i tratti essenziali della disciplina e dell’evoluzione della dotazione del FSC, è possibile esaminare il merito delle questioni.
5.1.– La Regione Liguria anzitutto impugna l’art. 1, comma 554, della legge n. 160 del 2019, laddove prevede l’assegnazione complessiva di 110 milioni di euro da parte dello Stato a titolo di ristoro del gettito non più acquisibile dalla TASI, in luogo di 625 milioni di euro originariamente individuati dall’art. 1, comma 731, della legge n. 147 del 2013. La norma impugnata comporterebbe un’irragionevole compressione dell’autonomia finanziaria degli enti locali, anche perché comprometterebbe lo svolgimento delle funzioni fondamentali assegnate ai Comuni, violando così il principio costituzionale che garantisce agli enti locali le risorse necessarie all’integrale finanziamento delle funzioni attribuite (art. 119, quarto comma, Cost.).
La questione non è fondata.
Il Ragioniere generale dello Stato ha riferito nell’audizione resa nella camera di consiglio del 24 giugno 2021 che il contributo ristorativo di IMU e TASI sarebbe stato oggetto di una ridefinizione, calcolata sulla base delle effettive perdite di gettito subite, rispetto al precedente regime IMU e allo sforzo fiscale esercitabile sulla nuova TASI, importo pari a circa 340 milioni di euro, e non più a 625 milioni di euro.
Alla luce di questo ricalcolo, la differenza fra quanto effettivamente perso dai Comuni e quanto assegnato dallo Stato a titolo di contributo ristorativo ammonterebbe a circa 40 milioni di euro.
Tale ridimensionamento – determinato dal fatto che lo Stato, con la disposizione impugnata, assegna complessivamente 300 milioni di euro, a fronte di un “ricalcolo” di effettiva perdita di gettito pari a 340 milioni di euro – consentirebbe di affermare che le riduzioni oggetto d’impugnazione non sono tali da incidere significativamente sul livello dei servizi fondamentali, pur in assenza della definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP).
Comunque, il ricorrente non fornisce prova che la riduzione in questione abbia impattato significativamente sulle finanze locali, soprattutto in relazione all’ammontare complessivo del fondo ristorativo (pari a 3.767,45 milioni di euro) e alla mancata ricostruzione del complessivo sistema di trasferimenti in favore degli enti locali.
In proposito, questa Corte ha precisato che le norme incidenti sull’assetto finanziario degli enti territoriali «non possono essere valutate in modo “atomistico”, ma solo nel contesto della manovra complessiva, che può comprendere norme aventi effetti di segno opposto sulla finanza delle Regioni e degli enti locali» (sentenza n. 83 del 2019).
Con riferimento al rapporto tra funzioni da finanziarie e risorse, questa Corte ha, infatti, chiarito che la riassegnazione di queste ultime «è priva di qualsiasi automatismo e comporta scelte in ordine alle modalità, all’entità e ai tempi, rimesse al legislatore statale» (sentenza n. 83 del 2019).
La non fondatezza della questione peraltro non esime questa Corte dal valutare negativamente il perdurante ritardo dello Stato nel definire i LEP, i quali indicano la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, nonché «il nucleo invalicabile di garanzie minime» per rendere effettivi tali diritti (ex multis, sentenze n. 142 del 2021 e n. 62 del 2020).
In questa prospettiva i LEP rappresentano un elemento imprescindibile per uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali (ex multis, sentenze n. 197 del 2019 e n. 117 del 2018).
Oltre a rappresentare un valido strumento per ridurre il contenzioso sulle regolazioni finanziarie fra enti (se non altro, per consentire la dimostrazione della lesività dei tagli subìti), l’adempimento di questo dovere dello Stato appare, peraltro, particolarmente urgente anche in vista di un’equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), approvato con il decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59 (Misure urgenti relative al Fondo complementare al Piano nazionale di ripresa e resilienza e altre misure urgenti per gli investimenti), convertito, con modificazioni, in legge 1° luglio 2021, n. 101.
In definitiva, il ritardo nella definizione dei LEP rappresenta un ostacolo non solo alla piena attuazione dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali, ma anche al pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti sociali.
5.2.– La ricorrente denuncia altresì la progressione dei criteri perequativi che concorrono alla ripartizione del FSC, calibrata sulla differenza fra capacità fiscali e fabbisogni standard (art. 57, comma 1, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito).
La sperequazione provocata dai criteri oggetto d’impugnazione produrrebbe un’illegittima compressione dell’autonomia finanziaria degli enti locali, tale da incidere sulle risorse necessarie allo svolgimento delle funzioni loro assegnate.
5.2.1.– Occorre ricordare che l’art. 13, comma 1, lettera e), della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), e l’art. 1-bis del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 (Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2016, n. 160, definiscono il sistema di calcolo e di aggiornamento annuale della capacità fiscale e demandano a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze l’adozione della stima e della nota metodologica della capacità fiscale, i cui risultati confluiscono nei d.P.C.m. di riparto del FSC impugnabili, se del caso, dinanzi al giudice competente.
Le censure della ricorrente lamentano la mancanza di un meccanismo correttivo che consideri gli effetti dell’aggiornamento dei valori catastali (rispetto ai quali i Comuni italiani si sono mossi in ordine sparso).
Secondo la ricorrente, non considerare il divario esistente tra i valori di mercato e i valori catastali degli immobili produrrebbe un’irragionevole penalizzazione per quei Comuni che hanno aggiornato le rendite catastali degli immobili (quali, asseritamente, i Comuni liguri) e premierebbe con la perequazione quelli che presentano ancora valori di rendita obsoleti, senza alcuna correlazione con il reale valore di mercato dell’immobile e, pertanto, con il livello di ricchezza della popolazione.
5.2.2.– Tanto premesso, la questione non è fondata.
Ai sensi dell’art. 119, quarto comma, Cost., le funzioni degli enti territoriali devono essere assicurate in concreto mediante le risorse menzionate ai primi tre commi del medesimo art. 119 Cost., attraverso un criterio perequativo trasparente e ostensibile, in attuazione dei principi fissati dall’art. 17, comma 1, lettera a), della legge n. 42 del 2009.
Questa Corte ha già avuto modo di censurare la disposizione normativa che ancorava i criteri di riparto della riduzione dei fondi perequativi «alla media delle spese sostenute per consumi intermedi nel triennio 2010-2012, desunte dal SIOPE [Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici]» (sentenza n. 129 del 2016). In quel caso, il criterio individuato dal legislatore è stato valutato irrazionale perché «si presta[va] a far gravare i sacrifici economici in misura maggiore sulle amministrazioni che erogano più servizi, a prescindere dalla loro virtuosità nell’impiego delle risorse finanziarie. […] Il criterio delle spese sostenute per i consumi intermedi non è dunque illegittimo in sé e per sé; la sua illegittimità deriva dall’essere parametro utilizzato in via principale anziché in via sussidiaria, vale a dire solo dopo infruttuosi tentativi di coinvolgimento degli enti interessati attraverso procedure concertate o in ambiti che consentano la realizzazione di altre forme di cooperazione».
La disposizione impugnata con l’odierno ricorso, per contro, non risulta affetta dall’irrazionalità che ha indotto questa Corte a dichiarare costituzionalmente illegittimi i criteri di riparto del Fondo sperimentale di riequilibrio con la sentenza n. 129 del 2016.
Tuttavia, i dati emersi – tanto in sede di audizione del 24 giugno 2021, quanto dalla documentazione depositata – sugli effetti in termini di «shock perequativo» subiti da circa 4100 enti in conseguenza della ridistribuzione del FSC, confermano la presenza di criticità nella distribuzione delle risorse fra i Comuni italiani.
Tali criticità peraltro hanno origine non tanto dalla norma impugnata, ma rappresentano soprattutto la conseguenza di una situazione di fatto, coincidente con il mancato adeguamento dei valori catastali degli immobili. La lamentata sperequazione, infatti, da un lato, discende da tale mancato adeguamento in numerose realtà comunali, che di fatto determina irrazionali differenziazioni, dall’altro è amplificata dal carattere meramente orizzontale che aveva assunto il FSC. Ciò che determina il rigetto della prospettata questione.
5.3.– Infine, la Regione Liguria impugna l’art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019.
5.3.1.– La disamina della questione deve preliminarmente tenere in considerazione gli effetti prodotti dallo ius superveniens, da cui consegue, per quanto si è in precedenza evidenziato, la necessità di circoscrivere le doglianze all’annualità 2020, rispetto alla quale la norma impugnata ha trovato applicazione, prevedendo un contributo dello Stato al FSC pari a 100 milioni di euro in luogo di 563,4 milioni di euro.
Secondo la ricorrente, la riduzione dei trasferimenti statali al FSC comporterebbe un’irragionevole compressione dell’autonomia finanziaria degli enti locali, nonché la violazione dell’art. 119, terzo e quarto comma, Cost., poiché il fondo avrebbe assunto un carattere interamente orizzontale, compromettendo anche la clausola di salvaguardia relativa al cosiddetto parallelismo fra funzioni e risorse.
Come segnalato anche dalla Corte dei conti, le somme attribuite dalla norma impugnata rappresentano una progressiva restituzione della quota “verticale” del fondo, quota che era stata completamente sottratta dall’art. 47 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, a titolo di concorso degli enti locali al risanamento delle finanze pubbliche (Corte dei conti, sezione autonomie, Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali, Esercizi 2019-2020, deliberazione n. 11 del 2021). Tale decurtazione, circoscritta originariamente al triennio 2015-2017, è stata dapprima estesa dal legislatore al 2018 e successivamente prorogata al 2019. Per effetto della norma impugnata il taglio viene progressivamente restituito, fino alla reintegrazione integrale di quanto originariamente sottratto solo nel 2024.
5.3.2.– Tanto premesso, la questione non è fondata.
Come emerso in sede di audizione del 24 giugno 2021 e confermato dalla documentazione successivamente depositata, le somme stanziate per il FSC 2020 e i criteri di riparto di cui al d.P.C.m. 26 maggio 2020 sono stati oggetto di specifica intesa, in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali del 30 gennaio 2020 (Intesa sull’individuazione dei Comuni beneficiari e la definizione dei criteri e delle modalità di riparto dell’incremento di 100 milioni di euro, per l’anno 2020, del Fondo di solidarietà comunale).
Benché tale circostanza non precluda il diritto a ricorrere per la tutela delle proprie competenze e attribuzioni costituzionali, il raggiungimento dell’intesa nel caso di specie assume un particolare valore, perché rappresenta l’inizio della graduale ricostituzione della componente verticale di risorse del FSC a disposizione degli enti locali.
In questo senso, la norma impugnata segna una netta soluzione di continuità rispetto alla fase dei tagli lineari e inaugura il progressivo ripristino dell’ammontare originario del FSC.
Così come in precedenza evidenziato, le norme incidenti sull’assetto finanziario degli enti territoriali «[n]ella prospettiva, in precedenza evidenziata, per cui le norme incidenti sull’assetto finanziario degli enti territoriali non possono essere valutate in modo “atomistico”, ma solo nel contesto della manovra complessiva, questa Corte ha sostenuto, con riferimento al rapporto tra funzioni da finanziare e risorse, che la riassegnazione di queste ultime «è priva di qualsiasi automatismo e comporta scelte in ordine alle modalità, all’entità e ai tempi, rimesse al legislatore statale» (sentenza n. 83 del 2019). Con riferimento al rapporto tra funzioni da finanziarie e risorse, la Corte ha, infatti, sostenuto che la riassegnazione di queste ultime «è priva di qualsiasi automatismo e comporta scelte in ordine alle modalità, all’entità e ai tempi, rimesse al legislatore statale» (sentenza n. 83 del 2019).
In questa prospettiva, nella valutazione complessiva della questione, deve altresì considerarsi che, nell’ambito degli stanziamenti previsti durante l’emergenza da COVID-19, l’art. 106 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, ha istituito un fondo per destinare risorse aggiuntive ai Comuni, finalizzato al finanziamento delle funzioni degli enti locali, pari complessivamente a 3,5 miliardi di euro in relazione alla possibile perdita di entrate locali connessa all’emergenza sanitaria.
Successivamente, l’art. 39, comma 1, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126, ha incrementato di ulteriori 1,67 miliardi di euro detto fondo speciale per il 2020, portandolo a un ammontare complessivo di circa 5,17 miliardi di euro.
In aggiunta a quanto stanziato per il 2020, la legge n. 178 del 2020 ha provveduto all’integrazione del fondo per le funzioni degli enti locali anche per il 2021, stanziando complessivamente 500 milioni di euro da ripartire fra Comuni (450 milioni di euro), Città metropolitane e Province (50 milioni di euro).
A questo proposito, in sede di audizione, il Ragioniere generale dello Stato ha precisato che le risorse destinate a ristorare gli enti locali delle minori entrate e delle maggiori spese connesse all’emergenza sanitaria/epidemiologica da COVID-19 ammontano complessivamente a circa 15,6 miliardi di euro per il 2020 e 4,9 miliardi di euro per il 2021. Peraltro, sempre il Ragioniere generale dello Stato ha chiarito che tali risorse sono state distribuite secondo criteri articolati, che tengono conto delle specificità dei territori, e che sono definiti da tre note metodologiche adottate con altrettanti decreti del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, rispettivamente del 16 luglio, dell’11 novembre e del 14 dicembre 2020.
Deve pertanto rilevarsi che la disposizione impugnata si inserisce in un contesto complessivo di ripristino dei trasferimenti erariali agli enti territoriali, sovvenendo in parte anche ai tagli imposti negli anni della crisi finanziaria, dal che il rigetto della questione di legittimità costituzionale promossa.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 892, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), promossa, in riferimento agli artt. 5 e 119, primo e quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 554, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), promosse, in riferimento agli artt. 5 e 119, primo e quarto comma, Cost., dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157, promosse, in riferimento agli artt. 5 e 119, primo, terzo e quarto comma, Cost., dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 5 e 119, primo, terzo e quarto comma, Cost., dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe.