Risposta affermativa: non sussiste, infatti, alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in quanto si tratta del riconoscimento di un «bene della vita omogeneo» anche se ridimensionato rispetto a quello richiesto inizialmente.
Gli attori si rivolgevano al Tribunale di Matera invocando la risoluzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare per fatto e colpa dei promittenti venditori, chiedendo altresì la condanna del convenuto al pagamento di una somma pari a 30mila euro corrispondente al doppio della caparra ricevuta al momento della firma del contratto.
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Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 8.3.1997 C. S. e M. M. evocavano in giudizio D. S. innanzi il Tribunale di Matera, invocando la risoluzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare del 12.9.1995, con il quale il convenuto si era obbligato, insieme alla moglie A. M., a vendere agli attori un immobile sito in (omissis), per fatto e colpa dei promittenti venditori, convenuti, nonché la sua condanna al pagamento della somma di € 30.000 corrispondente al doppio della caparra ricevuta alla firma del predetto contratto.
Si costituiva il convenuto, resistendo alla domanda e spiegando a loro volta domanda riconvenzionale, in via principale per l'emissione di sentenza costitutiva ex art. 2932 c. c., ed in subordine per il risarcimento del danno.
Con sentenza n. 873/1999 il Tribunale accoglieva la domanda, dichiarando risolto il contratto preliminare del 12.9.1995 per fatto e colpa del D. S., che condannava al pagamento della somma di € 30.000 ed alle spese del grado.
Interponeva appello avverso detta decisione il D. S. e la Corte di Appello di Potenza, nella resistenza degli originari attori, con sentenza n. 104/2001 dichiarava nulla la sentenza del Tribunale di Matera, dinanzi al quale rimetteva le parti per la ripetizione del giudizio di primo grado.
Gli originari attori riassumevano il giudizio, riproponendo la stessa domanda originaria, ed i convenuti si costituivano, egualmente formulando le stesse difese originariamente svolte dal solo D. S.
Con sentenza n. 313/2009 il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, dichiarando risolto il contratto preliminare per fatto e colpa dei convenuti, che condannava la pagamento del solo importo di € 7. 746,85 compensando le spese di lite.
Interponevano appello avverso detta decisione D. S. e A. M. e la Corte di Appello di Potenza, con la sentenza impugnata, n. 657/2019, emessa nella resistenza degli appellati, rigettava l'impugnazione.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione D. S. e A. M., affidandosi a due motivi.
Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell'adunanza camerale.
Motivi della decisione
Preliminarmente va esaminata, e respinta, l'eccezione di tardività della comunicazione dell'avviso di fissazione dell'odierna adunanza camere unite. L'art. 380 bis, secondo comma, c.p.c., infatti, applicabile al rito previsto dinanzi la sesta sezione di questa Corte, prevede che l'avviso di fissazione dell'adunanza delle camere vada comunicato ai difensori costituiti nel giudizio di legittimità almeno venti giorni prima, termine che, nel caso di specie è stato rispettato. Il più ampio termine di quaranta giorni è invece previsto dall'art. 380 bis. l, primo comma, c.p.c., soltanto in relazione al diverso rito applicabile al giudizio in camera di consiglio che si svolge dinanzi le sezioni semplici di questa Corte.
Passando all'esame del convenuto del ricorso, il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ.: "proposta di definizione ex art. 380-bis cod. proc. civ.”.
INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO.
Il Tribunale di Matera ha accertato la domanda proposta da C. S. e M. M. nei confronti di D. S. e M. M. Ma,- di risoluzione del contratto preliminare di compravenditi. immobiliare del 12.9.1995 intercorso tra le parti, e d. condanna dei convenuti al pagamento della somma di lire pari al doppio della caparra versata dai promissari acquirenti.
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Potenza ha rigettato l'appello interposto dc· D. S. e A. M. avverso detta decisione della Corte lucana ha ritenuto che gli appellanti non avessero fornito idonea prova della volontà dei promissari acquirenti di non voler più acquistare l'immobile e che la risoluzione del contratto fosse stata causata dalla mancata esecuzione, da parte della committente venditrice, dei lavori che, in base alla scrittura preliminare di cui è causa, avrebbero dovuto essere eseguiti sull’immobile compromesso in vendita.
Ricorrono per la cassazione di detta decisione il D. S. e la M. M. affidandosi a due motivi.
Con il primo di essi lamentano che il giudizio di prime cure si era svolto dinanzi il Tribunale di Matera, avanti al quale era stato riassunto (a seguito di una prima decisione della Corte potentina che aveva dichiarato nulla una prima sentenza del Tribunale resa a contraddittorio non integro) e non invece innanzi la sezione distaccata e Pisticci del medesimo ufficio giudiziario, di fronte alla quale il giudizio avrebbe dovuto essere riassunto. La censura è inammissibile. I ricorrenti, che non riportano il dispositivo del!. prima decisione di remissione al Tribunale della Corte di Appello di Potenza, con conseguente difetto di specificità della doglianza, non tengono comunque conto del principio per cui la violazione della regola di distribuzione territoriale delle controversie tra sede centrale e sedi distaccate del tribunale in imposizione monocratica non integra una nullità deducibile in appello ai sensi dell'art. 161, primo comma, c.p.c., sia che essa sia stata rilevata tempestivamente dalla parte e non sanzionata con il procedimento di cui all'art. 83 c.p.c., sia che, al contrario, sia stata accolta dal presidente del tribunale cui la decisione è stata rimessa, non poter o mai costituire motivo d'impugnazione della sentenza in primo grado" (Cass. Sez. 6- 3, Ordinanza n. 13200 del 161 J6/2011, Rv. 618298; nonché Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1929·, del 03/10/2005, Rv. 584416). Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dei criteri in tema di inadempimento, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente disposto la restituzione della caparra, non richiesta dagli originari attori, che avevano invocato soltanto .· riconoscimento del loro diritto ad ottenere il doppio della capa,. a medesima.
La censura è inammissibile, alla luce del principio secondo cui "Non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorché il giudice, a fronte di una richiesta di restituzione del deposito della caparra indebitamente cumulata con una domanda di risoluzione per inadempimento di un preliminare e conseguente risarcimento del danno, condanni la parte inadempiente alla restituzione di detta caparra, trattandosi del riconoscimento di un bene della vita omogeneo, seppure ridimensionato, rispetto a quanto "ab initio" richiesto e non sussistendo più alcun titolo della controparte a trattenere la somma versata".
Il Collegio condivide la proposta del Relatore.
La memoria depositata da parte ricorrente non offre elementi nuovi rispetto ai motivi di ricorso, essendo meramente reiterativa degli stessi.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Ricorrono i presupposti processuali di cui all'art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuti.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13 comma i-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma l-bis dello stesso art. 13, se dovuto.