Ecco perché l'allegazione nel giudizio di rivendicazione di un immobile acquisito per usucapione di un titolo diverso rispetto a quello originariamente posto alla base della domanda non implica la proposizione di una domanda nuova.
La Corte d'Appello di Bologna respingeva il gravame proposto da una società contro la decisione del Tribunale con la quale era stata respinta la sua domanda di accertamento della proprietà e di rilascio di un immobile ed era stata accolta, invece, la domanda riconvenzionale della controparte tesa al riconoscimento dell'avvenuto acquisto per usucapione del medesimo...
Svolgimento del processo/Motivi della decisione
La proposta depositata dal Presidente-relatore è del seguente tenore: "La Corte d'Appello di Bologna con sentenza n. 3225/2019 ha respinto l'appello proposto da MSL S. Immobiliari avverso la sentenza con cui il Tribunale di Piacenza aveva respinto la domanda principale di accertamento della proprietà e rilascio di un immobile e accolto invece la riconvenzionale spiegata dalla convenuta Immobiliare A. srl, riconoscendo l'avvenuto acquisto per usucapione in favore della medesima. Per quanto qui interessa, ha rilevato che per il principio di autodeterminatezza del diritto di proprietà e degli altri diritti reali il riconoscimento dell'acquisto per usucapione in favore della convenuta doveva ritenersi rituale; che la situazione di fatto risultava immutata dal 1982; che il decreto del 14.11.2003 rappresentava un titolo idoneo per il trasferimento della proprietà in favore dell'appellata. Ricorre MSL S. Immobiliari con tre motivi, mentre la Immobiliare A. srl resiste con controricorso. Col primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 cpc per avere la Corte d'Appello riconosciuto l'acquisto della proprietà in forza di usucapione in assenza di domanda, posto che la riconvenzionale si fondava sul titolo (decreto di trasferimento del Tribunale di Piacenza emesso in data 14.11.2003). La Corte di merito avrebbe fondato l'avvenuto acquisto per usucapione su una situazione di fatto ricostruita nel giudizio di primo grado dal CTU senza che la convenuta avesse mai dedotto gli elementi di fatto e di diritto a sostegno dell'acquisto per usucapione. Col secondo motivo si denunzia violazione dell'art. 345 cpc per non avere la Corte d'Appello ritenuto nuova la domanda dell'acquisto della proprietà per usucapione sollevata dalla appellata per la prima volta in sede di costituzione nel giudizio di appello. I due motivi sono manifestamente infondati per il principio della autodeterminatezza dei diritti reali (tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 22598 del 05/11/2010 Rv. 614825 - 01; Sez. 2 - , Sentenza n. 23565 del 23/09/2019 Rv. 655355). Col terzo motivo si denunzia infine la violazione degli artt. 115 cpc e 269 7 cc. Innanzitutto, si rileva che il titolo non aveva trasferito alla convenuta l'immobile in questione; inoltre, si sostiene che il giudice di prime cure avrebbe dovuto respingere la domanda anziché adagiarsi sulle posizioni del CTU in tal modo sovvertendo il principio dispositivo. Analoghi errori avrebbe compiuto la Corte d'Appello. Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni. Innanzitutto, non ricorre né la violazione dell'art. 115 cpc né la violazione dell'art. 2697 cc (cfr. al riguardo (Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020 Rv. 659037; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892). Nel caso in esame la Corte d'Appello (v. pag.10) ha valorizzato lo stato di fatto delle particelle perdurante dal 1982 (circostanza dedotta dall'appellata: v. pag. 8 sentenza). La consulenza tecnica è stata richiamata solo per stabilire la data di costruzione del capannone e del piazzale, accertamenti senz'altro demandabili al CTU. La corte di merito ha poi accertato, ai fini dell'accessione nel possesso, che sussisteva un titolo idoneo al trasferimento della proprietà. Trattasi di apprezzamenti in fatto. Per il resto l'inammissibilità sta nel fatto che in parte censura a sentenza di primo grado, in parte contiene il richiamo alla relazione peritale senza neppure trascrivere i passaggi, a suo dire, rilevanti e per il resto, si risolve in una alternativa ricostruzione della situazione di fatto". Il Collegio, preso atto del deposito di memorie da entrambe le parti, ritiene di condividere la proposta rilevando che la memoria depositata dalla ricorrente non offre elementi per opinare diversamente. Ed infatti, nella prima parte della memoria, la ricorrente, insistendo ancora sulla mancata proposizione, in primo grado, di rituale domanda di accertamento della proprietà per usucapione, mostra ancora una volta di non confrontarsi col principio della autodeterminatezza dei diritti reali ed i Collegio al riguardo ritiene opportuno aggiungere alle pronunce richiamate nella proposta, anche l'ordinanza Sez. 6 - 2, n. 24435 del 17/10/2017 Rv. 646813 ove è stato ribadito che i diritti reali si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto (ossia il bene che ne forma l'oggetto) e non al titolo che ne costituisce il fondamento, sicché l'allegazione nel giudizio di rivendicazione, in primo come in secondo grado, di un titolo diverso rispetto a quello originariamente posto a base della domanda rappresenta solo un'integrazione delle difese sul piano probatorio, non implicando la proposizione di una domanda nuova né la rinunzia alla valutazione del diverso titolo dedotto in precedenza. Pertanto, decisa la controversia sulla base di uno dei titoli suddetti, al giudice dell'impugnazione non è preclusa la decisione sulla base dell'altro o di entrambi i titoli dedotti, anche se la parte interessata non abbia proposto alcuna specifica doglianza ed istanza in tal senso, giacché l'art. 346 c.p.c. attiene alle domande ed eccezioni non accolte nella sentenza appellata e non riproposte in appello, non agli elementi di prova che, acquisiti al giudizio ma pretermessi dal primo giudice, il secondo ritenga, invece, rilevanti ai fini dell'esatta definizione della controversia. Dello stesso tenore è la Sentenza n. 40 del 08/01/2015 Rv. 633805 ove si afferma che in tema di limiti alla proposizione di domande nuove in appello, non viola il divieto di "ius novorum" la deduzione, da parte del convenuto dell'acquisto per usucapione, ordinaria o abbreviata, della proprietà dell'area rivendicata da controparte qualora già in primo grado egli abbia eccepito ad altro titolo la proprietà dell'area medesima, in quanto la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell'eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova. Nella seconda parte della memoria la società ricorrente contesta la valutazione del giudice di merito sulla prova del possesso ad usucapione, osservando che la Corte d'Appello ha tratto argomenti di prova unicamente dalle risultanze peritali violando così il principio di disponibilità delle prove, non risultando mai dedotto né provato il possesso; in tal modo la Corte d'Appello ha accordato alla CTU un ruolo decisivo ai fini probatori. Rileva poi di avere contestato integralmente la relazione di consulenza. Anche tale rilievo non coglie nel segno posto che, come già evidenziato nella proposta, la Corte d'Appello (v. pag.10) ha valorizzato lo stato di fatto delle particelle perdurante dal 1982 (circostanza - si badi bene -dedotta dalla parte convenuta e non dal consulente tecnico: v. pag. 8 sentenza), mentre le risultanze peritali sono state richiamate solo per stabilire la data di costruzione del capannone e del piazzale, accertamenti senz'altro demandabili al CTU. Le contestazioni alla consulenza devono comunque essere specifiche, non essendo consentito alla parte addossare al giudice il compito di ricercare le lacune all'interno dell'elaborato Ulteriore rilievo che la ricorrente muove con la memoria riguarda la ritenuta assenza di contestazione in ordine alla usucapione: si sostiene che la mancanza di contestazioni si spiegava con la mancanza di una tempestiva domanda, ma per replicare a tale rilievo è sufficiente osservare che la Corte d'Appello si riferiva all'assenza di specifiche contestazioni in ordine allo stato di fatto rimasto immutato dal 1982 e in particolare alla contestuale realizzazione del capannone particella 284 e del piazzale di servizio (v. pag.10 sub. 12.3 della sentenza impugnata) e che specifiche contestazioni al riguardo ben potevano essere mosse in replica alla formulazione della domanda di usucapione anche nel giudizio di appello in sede di conclusioni con adeguato approfondimento in comparsa conclusionale. L'eccezione di nullità della consulenza tecnica - che pure viene riproposta in memoria - integra una questione di diritto assolutamente nuova e come tale inammissibile in questa sede non risultando la rituale proposizione nel giudizio di merito. In conclusione, il ricorso va respinto con inevitabile condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Sussistono le condizioni per il versamento dell'ulteriore contributo unificato ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12, se dovuto".
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in€. 1.200,00, di cui€. 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15%. Sussistono a carico della corrente presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.