Inammissibilità dell'eccezione di difetto di giurisdizione proposta in appello dal ricorrente soccombente in primo grado, azione risarcitoria nei confronti della P.A. e responsabilità dell'Amministrazione per l'affidamento ingenerato nel destinatario di un provvedimento per sé favorevole poi annullato: questi i temi affrontati dall'Adunanza Plenaria nella sentenza n. 19/2021.
Con la sentenza n. 19 del 29 novembre 2021, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha espresso nuovi principi di diritto con riferimento a tre questioni rilevanti.
In merito alla prima, l'Adunanza Plenaria ha affermato che è inammissibile l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata proposta in sede...
Svolgimento del processo
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe la II Sezione di questo Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza plenaria alcune questioni in materia di responsabilità della pubblica amministrazione per l’affidamento suscitato nel destinatario di un provvedimento ampliativo illegittimamente emanato e poi annullato, sulle quali ha ravvisato ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm. orientamenti contrastanti della giurisprudenza amministrativa.
2. Le questioni deferite sono sorte in un contenzioso promosso dalla società Immobiliare Michelangelo a r.l. contro il Comune di Pescara dopo che la concessione edilizia da quest’ultimo rilasciata alla prima (n. 9 del 14 gennaio 1999 e successive varianti) per la realizzazione di un nuovo fabbricato in luogo di quello preesistente, situato in viale Riviera, è stata annullata in sede giurisdizionale amministrativa su ricorso di alcuni titolari di immobili situati nelle vicinanze (sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo - Sezione staccata di Pescara, 9 gennaio 2006, n. 11, confermata dal Consiglio di Stato, sez. IV, con decisione dell’11 aprile 2007, n. 1672, contro la quale con sentenza del 12 maggio 2008, n. 2166, la medesima Sezione dichiarava inammissibile il successivo ricorso per revocazione). L’annullamento è stato pronunciato perché il titolo ad edificare era stato rilasciato in violazione della distanza minima dagli edifici prospicienti stabilita dall’art. 7 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Pescara, pari alla semisomma tre le altezze di questi con quello da realizzare.
3. Nel presente giudizio, la società immobiliare ricorrente ha chiesto che il Comune di Pescara sia condannato al risarcimento dei danni conseguenti a tale annullamento, per la lesione derivatane al proprio affidamento sul fatto che l’unica distanza minima tra le costruzioni da rispettare fosse quello di 10 metri tra pareti finestrate stabilito dall’art. 9, n. 2), del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967). La Immobiliare Michelangelo ha dedotto al riguardo che l’affidamento sulla necessità di rispettare quest’unico limite si fonda sulla posizione assunta dall’amministrazione comunale nel rilascio di titoli ad edificare nella stessa zona omogenea (B2), e di avere sulla base di ciò presentato il proprio progetto edilizio nel lotto di terreno dell’estensione di 1310 mq circa appositamente acquistato. La ricorrente ha sottolineato sul punto che se avesse saputo dell’ulteriore limite poi posto a fondamento dell’annullamento in sede giurisdizionale della concessione edilizia rilasciata a proprio favore avrebbe previsto un diverso posizionamento del fabbricato avente la medesima cubatura di quello per il quale è stato rilasciato il titolo ad edificare annullato, o avrebbe potuto utilizzare un lotto di terreno ulteriore adiacente, dell’estensione di circa 500 mq.
4. La domanda risarcitoria fondata sulla causa petendi così sintetizzata è stata respinta in primo grado dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo - Sezione staccata di Pescara, con sentenza 20 giugno 2012, n. 293, oggetto del presente appello.
5. In quest’ultimo, per resistere al quale si è costituito il Comune di Pescara, la Immobiliare Michelangelo ha contestato:
- la statuizione affermativa della giurisdizione amministrativa sulla presente controversia, ricondotta alla materia dell’«urbanistica e edilizia» devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 133, lett. f), cod. proc. amm.;
- la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria, fondata sull’assenza tanto di un affidamento della società ricorrente ad ottenere il titolo ad edificare nondimeno rilasciato dal Comune di Pescara tutelabile ex art. 2043 del cod. civ., quanto di un comportamento colpevole di quest’ultimo.
6. Sui motivi d’appello della società immobiliare la Sezione rimettente ha ravvisato l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti relativi al primo motivo, così suddivisi:
- se sia ammissibile l’(auto)eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata cioè dalla parte che tale giurisdizione ha adito, e se, in caso negativo, il giudice «possa comunque affrontare la questione della giurisdizione in generale»;
- in quest’ultimo caso, «se sussista la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere una domanda del privato diretta ad ottenere la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento amministrativo ¿ emanato dalla medesima amministrazione ¿ favorevole all’interessato e, in particolare, di un titolo edilizio esplicito o implicito».
7. Nel merito della domanda risarcitoria, oggetto del secondo motivo d’appello, sono state deferite le ulteriori questioni se ed in che misura in una fattispecie avente le caratteristiche sopra descritte il privato possa in astratto vantare un legittimo e qualificato affidamento sul provvedimento amministrativo poi annullato.
Motivi della decisione
1. Sulla prima questione deferita, concernente l’ammissibilità dell’eccezione di difetto di giurisdizione proposta in appello dal ricorrente soccombente in primo grado, va confermato l’orientamento secondo cui essa è inammissibile, come affermato in modo ormai incontrastato sia dalla giurisprudenza amministrativa (tra le altre: Cons. Stato, Ad. plen., ord. 28 luglio 2017, n. 4; II, 18 giugno 2021, n. 4740, 6 maggio 2021, n. 3543, 8 marzo 2021, n. 1909, 24 dicembre 2020, n. 8330, 2 dicembre 2020, n. 7628, 20 dicembre 2019, n. 8630, 14 novembre 2019, n. 7811, 31 maggio 2019, n. 3654; III, 17 maggio 2021, n. 3822, 31 maggio 2018, n. 3272, 1° dicembre 2016, n. 5047, 26 ottobre 2016, n. 4501, 13 aprile 2015, n. 1855, 7 aprile 2014, n. 1630; IV, 24 luglio 2019, n. 5231, 22 maggio 2017, n. 2367, 21 dicembre 2013, n. 5403; V, 15 marzo 2021, n. 2164, 7 gennaio 2020, n. 75, 6 dicembre 2019, n. 8345, 19 settembre 2019, n. 6247, 28 maggio 2019, n. 3500, 13 agosto 2018, n. 4934, 27 marzo 2015, n. 1605, 7 febbraio 2012, n. 656; VI, 5 gennaio 2021, n. 151, 8 aprile 2015, n. 1778, 8 febbraio 2013, n. 703), sia dalla Corte di Cassazione (Cass., SS.UU., 20 ottobre 2016, n. 21260; seguita poi dalle sentenze 19 gennaio 2017, n. 1907, 25 maggio 2018, n. 13192, e 24 settembre 2018, n. 22439).
2. L’inammissibilità ha un duplice fondamento.
Presso questo Consiglio di Stato era prevalsa la tesi dell’abuso del processo e dalla violazione del dovere di cooperazione per la ragionevole durata del processo sancita dall’art. 2, comma 2, cod. proc. amm., tratta dall’ondivago e strumentale comportamento del ricorrente consistente nel contestare in appello la giurisdizione da lui stesso adita dopo l’esito sfavorevole del giudizio di primo grado, e dunque secundum eventum litis. La Corte di cassazione, nei suoi più recenti arresti, ha sottolineato il profilo di inammissibilità per difetto del requisito della soccombenza in primo grado sulla questione di giurisdizione, implicitamente risolta a favore dello stesso ricorrente; dal che ha fatto discendere l’assenza di un interesse ad appellare il capo autonomo di decisione concernente la questione pregiudiziale.
3. Dopo avere ripercorso l’evoluzione giurisprudenziale ora richiamata, la sopra citata ordinanza di questa Adunanza plenaria del 28 luglio 2017, n. 4, ha «riconferma(to) le conclusioni cui erano pervenute le sezioni semplici, pur con le puntualizzazioni della Corte di cassazione» ed affermato «ai sensi dell’art. 99, quinto comma, del codice del processo amministrativo il seguente principio di diritto: “la parte risultata vittoriosa di fronte al tribunale amministrativo sul capo di domanda relativo alla giurisdizione non è legittimata a contestare in appello la giurisdizione del giudice amministrativo”». Al principio di diritto già affermato in sede nomofilattica va quindi data continuità.
4. Si può aggiungere che il duplice fondamento dell’inammissibilità della questione di giurisdizione proposta in appello mediante (auto)eccezione del ricorrente soccombente in primo grado, trova ulteriore base giuridica nell’esistenza di un rimedio tipico per dirimere in via definitiva ed immodificabile i dubbi sulla giurisdizione, e cioè il regolamento preventivo di giurisdizione davanti alle Sezioni unite della Cassazione, ai sensi dell’art. 41 cod. proc. civ., che, secondo la giurisprudenza di quest’ultima, può essere proposto anche dall’attore a fronte dell’altrui contestazione (in questo senso, di recente: Cass., SS.UU., ord. 22 aprile 2021 n. 10742; 5 novembre 2019, n. 28331; 13 giugno 2017, n. 14653). Il mancato utilizzo dello strumento processuale appositamente previsto per risolvere la questione pregiudiziale di giurisdizione prima che la causa «sia decisa nel merito in primo grado» (così l’art. 41, comma 1, cod. proc. civ.) rende pertanto palese la strumentalità della sua riproposizione in appello da parte di colui che avrebbe potuto farlo già in primo grado e che su tale questione non abbia nondimeno riportato alcuna soccombenza.
5. L’ordinanza di rimessione si domanda nondimeno se la questione di giurisdizione possa essere affrontata «anche in caso di una declaratoria d’inammissibilità».
In linea di principio la risposta è negativa, dal momento che l’art. 276, comma 2, cod. proc. civ., richiamato dall’art. 76, comma 4, cod. proc. amm., prevede che il collegio giudicante «decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa». L’avverbio di modo «gradatamente» richiama l’ordine logico-giuridico secondo cui le questioni sono poste, tale per cui, una volta definita una questione avente carattere risolutivo del giudizio, il collegio è spogliato del potere di decidere. La motivazione della sentenza dovrebbe quindi costituire l’espressione del giudizio formulato in camera di consiglio secondo le modalità indicate dalle disposizioni processuali sopra richiamate. Nondimeno la prassi, formatasi in assenza di divieti sul punto, registra motivazioni di sentenze che, pur definendo questioni pregiudiziali risolutive, scendono anche nell’esame del merito, quando vi sia convergenza rispetto alla decisione assunta sulla questione pregiudiziale, e dunque in funzione rafforzativa di quest’ultima.
6. Peraltro, l’inammissibilità non sarebbe certamente d’ostacolo ad esaminare la questione nella presente sede nomofilattica, che il codice del processo amministrativo ha rafforzato con l’art. 99, comma 5, il quale prevede che l’Adunanza plenaria se reputa la questione «di particolare importanza (…) può comunque enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge». Nel caso di specie non induce tuttavia all’applicazione della disposizione in questione il fatto che la stessa questione di giurisdizione è posta alla decisione dell’Adunanza plenaria nel ricorso in appello iscritto al n. di r.g. 4605 del 2020, in forza dell’ordinanza di rimessione della IV Sezione in data 11 maggio 2021, n. 3701, assunta in decisione alla medesima udienza del 14 luglio 2021 in cui è passata in decisione anche la presente controversia.
7. Possono quindi essere esaminate le questioni di merito deferite dall’ordinanza, relative alla possibilità di configurare un «legittimo e qualificato affidamento sul provvedimento amministrativo annullato» in sede giurisdizionale che il suo destinatario possa azionare mediante una domanda risarcitoria nei confronti dell’amministrazione che ha emanato l’atto e, «in caso positivo», a quali condizioni ed entro quali limiti un simile affidamento può essere riconosciuto un risarcimento del danno «per lesione dell’affidamento incolpevole».
8. Con riguardo al primo ordine di questioni, relative all’an, la risposta è affermativa.
9. L’affidamento nella legittimità dei provvedimenti dell’amministrazione e più in generale sulla correttezza del suo operato è riconosciuto dalla risalente giurisprudenza di questa Adunanza plenaria come situazione giuridica soggettiva tutelabile attraverso il rimedio del risarcimento del danno. L’affermazione di principio può essere fatta risalire alla sentenza del 5 settembre 2005, n. 6, in un caso in cui l’impresa aggiudicataria di una procedura di affidamento di un appalto pubblico aveva chiesto la condanna al risarcimento dei danni nei confronti dell’amministrazione che aveva legittimamente revocato la gara. Sul presupposto che, nell’applicare le norme sull’evidenza pubblica, quest’ultima è anche soggetta alle «norme di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune», e malgrado la legittimità dell’intervento in autotutela, l’Adunanza plenaria ha riconosciuto il risarcimento per la lesione dell’affidamento maturato dall’aggiudicataria sulla conclusione del contratto, una volta che la sua offerta era stata selezionata in gara come la migliore ed era stato emesso a suo favore il provvedimento definitivo. Negli stessi termini l’Adunanza plenaria si è più di recente espressa con la sentenza 4 maggio 2018, n. 5.
10. Secondo i principi formulati nei precedenti ora richiamati le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l’altro concernente invece la responsabilità dell’amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi.
11. Più di recente la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, con affermazione di carattere generale, ha statuito che l’affidamento «è un principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività» (Cons. Stato, VI, 13 agosto 2020, n. 5011). Pur sorto nei rapporti di diritto civile, con lo scopo di tutelare la buona fede ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata (e di cui sono applicazioni concrete, tra le altre, la “regola possesso vale titolo” ex art. 1153 cod. civ., l’acquisto dall’erede apparente di cui all’art. 534 cod. civ., il pagamento al creditore apparente ex art. 1189 cod. civ. e l’acquisto di diritto di diritti dal titolare apparente ex artt. 1415 e 1416 cod. civ.), l’affidamento è ormai considerato canone ordinatore anche dei comportamenti delle parti coinvolte nei rapporti di diritto amministrativo, ovvero quelli che si instaurano nell’esercizio del potere pubblico, sia nel corso del procedimento amministrativo sia dopo che sia stato emanato il provvedimento conclusivo.
12. A conferma della descritta evoluzione si pone l’art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale dispone che: «(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede» [comma aggiunto dall’art. 12, comma 1, lettera 0a), legge 11 settembre 2020, n. 120; di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, recante «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali»]. La disposizione ora richiamata ha positivizzato una regola di carattere generale dell’agire pubblicistico dell’amministrazione, che trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.) e che porta a compimento la concezione secondo cui il procedimento amministrativo - forma tipica di esercizio della funzione amministrativa - è il luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo. Per il migliore esercizio della discrezionalità amministrativa il procedimento necessita pertanto dell’apporto dei soggetti a vario titolo interessati, nelle forme previste dalla legge sul procedimento del 7 agosto 1990, n. 241. Concepito in questi termini, il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha quindi portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata ed in ragione di ciò esso si rivolge all’amministrazione e ai soggetti che a vario titolo intervengono nel procedimento.
13. A fronte del dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede possono pertanto sorgere aspettative, che per il privato istante si indirizzano all’utilità derivante dall’atto finale del procedimento, la cui frustrazione può essere per l’amministrazione fonte di responsabilità. Inoltre la lesione dell’aspettativa può configurarsi non solo in caso di atto legittimo, come nella fattispecie decisa dall’Adunanza plenaria nelle sopra menzionate sentenze del 5 settembre 2005, n. 6, e del 4 maggio 2018, n. 5, ma anche nel caso di atto illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale. Anche in questa seconda ipotesi può infatti configurarsi per il soggetto beneficiario dell’atto per sé favorevole un’aspettativa alla stabilità del bene della vita con esso acquisito e che dunque può essere lesa dalla sua perdita conseguente all’annullamento in sede giurisdizionale.
14. Sulla base di tutto quanto finora considerato può dunque essere affermato il seguente principio di diritto: «nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti all’esercizio del pubblico potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica ora richiamati, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi».
15. Con riguardo all’ulteriore questione deferita nella presente sede nomofilattica, concernente i limiti entro cui può essere riconosciuto il risarcimento per lesione dell’affidamento, deve innanzitutto premettersi che l’affidamento tutelabile in via risarcitoria deve essere ragionevole, id est incolpevole. Esso deve quindi fondarsi su una situazione di apparenza costituita dall’amministrazione con il provvedimento, o con il suo comportamento correlato al pubblico potere, e in cui il privato abbia senza colpa confidato. Nel caso di provvedimento poi annullato, il soggetto beneficiario deve dunque vantare una fondata aspettativa alla conservazione del bene della vita ottenuto con il provvedimento stesso, la frustrazione della quale può quindi essere considerata meritevole di tutela per equivalente in base all’ordinamento giuridico. La tutela risarcitoria non interviene quindi a compensare il bene della vita perso a causa dell’annullamento del provvedimento favorevole, che comunque si è accertato non spettante nel giudizio di annullamento, ma a ristorare il convincimento ragionevole che esso spettasse.
16. Nella descritta prospettiva, il grado della colpa dell’amministrazione, e dunque la misura in cui l’operato di questa è rimproverabile, rileva sotto il profilo della riconoscibilità dei vizi di legittimità da cui potrebbe essere affetto il provvedimento. Al riguardo va ricordato che nel giudizio di annullamento la colpa dell’amministrazione è elemento costitutivo della responsabilità dell’amministrazione nei confronti del ricorrente che agisce contro il provvedimento a sé sfavorevole, sebbene essa sia presuntivamente correlata all’illegittimità del provvedimento, per cui spetta all’amministrazione dare la prova contraria dell’errore scusabile. Sulla base di questa presunzione, per il danno da lesione dell’affidamento da provvedimento favorevole, poi annullato, la colpa dell’amministrazione è invece un elemento che ha rilievo nella misura in cui rende manifesta l’illegittimità del provvedimento favorevole al suo destinatario, e consenta di ritenere che egli ne potesse pertanto essere consapevole.
17. Come infatti esposto in precedenza, la tutela di tale situazione soggettiva si fonda sui principi di corretta e buona fede che regolano l’esercizio del pubblico potere e che dunque postulano che l’aspettativa sul risultato utile o sulla conservazione dell’utilità si sia ottenuta in circostanze che obiettivamente la giustifichino. Secondo una regola di carattere generale in ambito civile la buona fede «non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave» (art. 1147, comma 2, cod. civ.), per cui un affidamento incolpevole non è pertanto predicabile innanzitutto nel caso estremo ipotizzato nell’ordinanza di rimessione, in cui sia il privato ad avere indotto dolosamente l’amministrazione ad emanare il provvedimento. In conformità alla regola civilistica ora richiamata altrettanto è a dirsi se l’illegittimità del provvedimento era evidente ed avrebbe pertanto potuto essere facilmente accertata dal suo beneficiario.
18. L’atteggiamento psicologico di quest’ultimo può dunque essere considerato come fattore escludente del risarcimento solo in queste ipotesi e non già ogniqualvolta vi sia un contributo del privato nell’emanazione dell’atto, come suppone l’ordinanza di rimessione. Non ogni apporto del privato all’emanazione dell’atto può infatti condurre a configurare in via di automatismo una colpa in grado di escludere un affidamento tutelabile sulla sua legittimità. Si giungerebbe altrimenti a negare sempre la tutela risarcitoria, tenuto conto che i provvedimenti amministrativi favorevoli, ampliativi della sfera giuridica del destinatario, sono sempre emessi ad iniziativa di quest’ultimo.
19. Va infatti considerato al riguardo che, sebbene al privato sia riconosciuto il potere di attivare il procedimento amministrativo e di fornire in esso ogni apporto utile per la sua conclusione in senso per sé favorevole, egli lo fa all’esclusivo fine di realizzare il proprio utile. E’ invece sempre l’amministrazione che rimane titolare della cura dell’interesse pubblico e che dunque è tenuta a darvi piena attuazione, se del caso sacrificando l’interesse privato; pertanto, se quest’ultimo trova soddisfazione è perché esso è ritenuto conforme alla norma e all’interesse pubblico primario dalla stessa tutelato. Malgrado gli istituti partecipativi introdotti con la sopra citata legge n. 241 del 1990, e la recente positivizzazione dei doveri di collaborazione e buona fede, il potere amministrativo mantiene infatti la sua tipica connotazione di unilateralità, che si correla alle sovraordinate esigenze di attuazione dei fini di interesse pubblico stabiliti dalla legge, di cui l’amministrazione è responsabile.
20. Nondimeno, con riguardo a gradi della colpa inferiore a quello «grave», non possono nemmeno essere trascurati i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio. Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui, ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm., l’azione deve essere proposta, e di difenderlo. La situazione che viene così a crearsi induce, per un verso, ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da lui avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso, porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio.
21. In conclusione, sulle ulteriori questioni deferite in sede nomofilattica può essere affermato il seguente principio di diritto: «la responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento».
22. Tutto ciò precisato, nel caso di specie il risarcimento dei danni per lesione da affidamento sul provvedimento favorevole poi annullato è domandato dalla Immobiliare Michelangelo sulla base del rilievo che il Comune di Pescara aveva rilasciato a suo favore diversi titoli a costruire nella stessa zona omogenea di piano regolatore generale nel solo rispetto della distanza minima tra costruzioni stabilita nel decreto del 2 aprile 1968, n. 1444, e non anche in quella prevista dalle norme tecniche di attuazione di piano. Alla statuizione di rigetto della domanda in primo grado, fondata sul fatto che nessuna colpa dell’amministrazione è ravvisabile per l’annullamento della concessione edilizia ciò nondimeno rilasciata, poiché il comportamento di quest’ultima «corrisponde alla convinzione della ditta di aver diritto ad ottenere la concessione edilizia», la società odierna appellante oppone l’assunto per cui compete in via esclusiva all’amministrazione interpretare ed applicare la normativa urbanistica ed edilizia applicabile. A fronte di ciò il privato richiedente il titolo a costruire «deve poter confidare che l’interpretazione della norma da parte dell’autorità preposta a tale compito non costituisca un inganno», per cui, in caso di errata interpretazione e conseguente illegittimità del provvedimento emesso, l’amministrazione è tenuta a risarcire il privato.
Nei propri scritti conclusionali la Immobiliare Michelangelo ha aggiunto, anche a confutazione delle tesi espresse dalla IV Sezione di questo Consiglio di Stato, con la sopra citata ordinanza di rimessione ex art. 99, comma 1, cod. proc. amm. dell’11 maggio 2021, n. 3701, che il rischio correlato all’esecuzione del provvedimento favorevole, e nello specifico di un titolo ad edificare, non può sempre essere assunto dal privato «in base ad un malinteso principio di autoresponsabilità». Secondo l’appellante, ad eccezione del caso in cui il privato «abbia proposto istanze infedeli», il rischio va invece posto a carico dell’amministrazione, nella sua qualità di «operatore qualificato» preposto all’interpretazione ed applicazione delle norme attributive del pubblico potere e responsabile dell’attuazione degli scopi di interesse pubblico stabiliti dalla legge.
23. Sulla prospettazione così sintetizzata la Sezione rimettente, cui il presente giudizio va restituito ai sensi dell’art. 99, comma 4, cod. proc. amm. secondo i principi di diritto sopra affermati, dovrà valutare se da essa emerga un affidamento dell’appellante sulla legittimità della concessione edilizia richiesta ed ottenuta, o piuttosto una pretesa a che l’amministrazione applichi correttamente le regole urbanistico-edilizie vigenti, anche a costo di respingere l’istanza di rilascio di un titolo ad edificare. Dovrà quindi essere verificato se a fondamento della domanda risarcitoria non sia stata dedotta un’aspettativa alla legittimità dell’azione amministrativa, indistinguibile da quella del quivis de populo; da questa, se non consegue con carattere di automatismo un rischio a carico del privato che abbia attivato il potere, nemmeno può per converso predicarsi con altrettanto automatismo un diritto al risarcimento del danno a favore di quest’ultimo, se non nei casi in cui sia allegata e dimostrata una convinzione non inficiata da colpa sulla legittimità dell’iniziativa intrapresa e del provvedimento favorevole ottenuto.
24. Sugli aspetti ora esaminati la Sezione rimettente, alla quale è rimessa anche la regolamentazione delle spese di giudizio, dovrà dunque svolgere i necessari accertamenti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, enuncia i principi di cui in motivazione e per il resto restituisce il giudizio alla Sezione rimettente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.