Per la Cassazione l'obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l'altro coniuge nella veste di debitore solidale. Nel caso di specie, non rileva il fatto che la moglie fosse proprietaria dell'immobile e presente durante l'esecuzione dei lavori.
Una società conveniva in giudizio dinanzi al
Svolgimento del processo/Motivi della decisione
1. La N.R. di C.M. e M & C. s.a.s. ha convenuto in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Rimini V.G. e R.E. perché fossero condannati, in solido, al pagamento della somma di € 2.280,00 quale corrispettivo per le opere in cartongesso realizzate nell'immobile sito in VV
alla via X di proprietà della convenuta. Si costituivano in giudizio i convenuti con separate comparse ed ognuno contestava di essere personalmente tenuto al pagamento della somma richiesta. Il Giudice di Pace di Rimini con la sentenza n. 877/2013 ha accolto la domanda, condannando i convenuti altresì al pagamento di un'ulteriore somma ex art. 96 c.p.c. Avverso tale sentenza hanno proposto appello principale V.G. ed appello incidentale R.E., cui ha resistito la società attrice. Il Tribunale di Rimini con la sentenza n. 809 del 14 giugno 2016 ha rigettato entrambi gli appelli, sia pure previa correzione della motivazione della sentenza di primo grado. Secondo il Tribunale era pacifico che la società avesse effettuato dei lavori in cartongesso all'interno dell'appartamento di proprietà della V., ma all'epoca dei fatti adibita a casa coniugale di entrambi i convenuti, ed emergeva altresì dalle prove raccolte che il R. aveva riconosciuto di essere stato lui ad incaricare l'impresa di procedere ai lavori. Le prove raccolte confortavano altresì il convincimento che durante i lavori l'appellante principale era presente all'interno dell'abitazione. Pur essendo stato il R. a chiamare l'impresa, la presenza nell'immobile della V. ed il fatto che i lavori riguardavano la casa coniugale, deponevano per la conclusione che l'incarico fosse stato in realtà conferito da entrambi i convenuti. Ciò determinava il rigetto di entrambe le impugnazioni anche per quanto concerneva la denuncia circa l'erroneità della condanna ex art. 96 c.p.c., posto che la condotta dei convenuti era intesa a creare confusione in ordine all'individuazione della parte debitrice, sebbene i lavori avessero riguardato quella che era all'epoca la casa familiare. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso V.G. sulla base di un motivo. L'intimata società resiste con controricorso ed ha depositato anche memorie in prossimità dell'udienza. RE non ha svolto difese in questa fase.
2. Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di valida procura per la sua proposizione, dovendosi ritenere che la sua apposizione su foglio congiunto ed apposto in calce al ricorso ne attribuisca la riferibilità al ricorso stesso, pur in assenza di una puntuale indicazione della sentenza impugnata. Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1372 e.e., quanto all'efficacia del contratto verso i terzi (nel combinato disposto con l'art. 143 e.e., che, pur in presenza di obbligazioni contratte da uno dei coniugi in nome proprio, per soddisfare gli interessi ed i bisogni familiari, esclude che l'altro coniuge assuma la qualità di debitore in solido). Si evidenzia che il Tribunale ha nella sostanza affermato che, sebbene l'incarico di eseguire lavori fosse stato affidato alla società attrice solo dal R , la V. fosse tenuta a rispondere delle relative obbligazioni, sol perché era presente nell'immobile e che quest'ultimo era di sua proprietà. La soluzione contrasterebbe con la giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità per le obbligazioni contratte separatamente da un coniuge al fine di far fronte ai bisogni familiari, nonché con il dettato dell'art. 1372 e.e. che prevede che il contratto produca effetti solo per le parti contraenti. In assenza di un contratto redatto in forma scritta, e pur avendo il Tribunale, sulla scorta delle prove raccolte, ritenuto che effettivamente fosse stato il R. ad incaricare la società (i cui soci erano anche conoscenti del convenuto), ha affermato la qualità di condebitrice della ricorrente solo perché presente nell'abitazione ove vennero eseguiti i lavori ovvero nell'avere offerto il pranzo al personale impegnato nell'attività edile, ma senza che fosse emersa alcuna specifica condotta tale da far ritenere che la stessa abbia assunto la qualità di committente. Il motivo è fondato. Costituisce principio reiteratamente ribadito nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui (cfr. Cass. n. 6118/1990) nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla legge 19 maggio 1975 n. 151, l'obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l'altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi, ed operando tale principio indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo dell'invocabilità da parte del creditore della garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 cod. civ. (conf. Cass. n. 3471/2007). Con la sola eccezione dei debiti contratti da un singolo coniuge al fine del soddisfacimento dei bisogni primari dei figli, per I quali si ritiene operante la solidarietà tra entrambi i coniugi (cfr. Cass. n. 25026/2008), resta fermo il principio per cui dell'obbligazione risponde solo quello tra i coniugi che l'ha contratta. Trattasi di piana applicazione del principio, pure invocato dalla ricorrente per cui (cfr. anche Cass. n. 3407/2007) la disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla legge 19 maggio 1975 n. 151, non contiene alcuna deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. È però in ipotesi consentito estendere la qualità di parte anche al coniuge che non abbia direttamente concluso il contratto ma nell'ipotesi in cui (cfr. Cass. n. 5063/1992) sovvenga l'apparenza del diritto, e cioè allorquando vi siano circostanze idonee ad indurre nel ragionevole convincimento della stipulazione del contratto anche in rappresentanza di detto altro coniuge, e, non essendo però sufficiente la sola sussistenza del rapporto coniugale e l'indicata destinazione del bene compravenduto (in termini si veda anche Cass. n. 7501/1995, che ricorda come accanto all'apparenza possa supportare la responsabilità solidale solo il conferimento, in forma espressa o tacita, una procura a rappresentarlo). È stato quindi ribadito il principio ora esposto pervenendosi alla conferma della sentenza di merito che, relativamente al contratto stipulato dalla resistente con un artigiano per un trasloco, aveva escluso la sussistenza di un obbligo del marito, non essendo emerso ne' che la moglie avesse assunto l'obbligazione in nome del coniuge, ne' che la stessa avesse da lui ricevuto mandato, ne' che sussistesse una situazione di apparenza giuridica che facesse ritenere che ella operasse per conto del marito, ne' infine che fosse emersa una responsabilità del coniuge ai sensi degli artt. 143 e 144 cod. civ. per obbligazioni relative all'indirizzo concordato (così Cass. n. 19947/2004). Viceversa, è stata affermata la responsabilità solidale per il credito vantato dalla collaboratrice domestica assunta dalla moglie, da cui promanavano le quotidiane direttive del servizio, anche in capo al marito, datore della provvista in danaro ordinariamente utilizzata per la corresponsione della retribuzione sì da ingenerare l'affidamento di essere l'effettivo datore di lavoro. (così Cass. n. n. 10116/2015). Poste tali coordinate giuridiche, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata sia incorsa nella falsa applicazione dei principi espressi da questa Corte. Come ricavato dal tenore dell'interrogatorio formale reso dal legale rappresentante della società attrice (che trova conforto anche nel contenuto in fatto dell'atto introduttivo del giudizio), è comprovato che l'intervento della società nell'abitazione oggetto di causa venne espressamente sollecitato dal R. (che peraltro non ha impugnato la sentenza di appello che ne ha confermato la condanna al pagamento del credito vantato dalla società), e di tanto ne dà contezza anche la sentenza impugnata che richiama il contenuto delle dichiarazioni rese dal R. in sede di interrogatorio formale. La conclusione per la corresponsabilità solidale della ricorrente per le obbligazioni derivanti dall'esecuzione dei lavori in cartongesso è collegata dal Tribunale alla sola presenza della medesima nell'abitazione durante l'esecuzione dei lavori ed alla titolarità dell'immobile in capo alla stessa. Tuttavia, una volta esclusa, per quanto sopra ricordato, la possibilità di fondare una solidarietà per la sola destinazione del bene al soddisfacimento dei bisogni familiari (e nella specie quindi non può assurgere ad elemento determinante la circostanza che l'abitazione, sebbene di proprietà esclusiva della convenuta, fosse adibita a casa familiare, ben potendo anche il coniuge non proprietario farsi carico degli obblighi manutentivi in vista del soddisfacimento dei bisogni del nucleo familiare), è la stessa destinazione a casa familiare che legittimava la presenza della V durante l'esecuzione dei lavori, di tal che tale circostanza non risulta connotata da elementi di significatività tali da legittimare un'apparenza circa l'assunzione della qualità di committente anche da parte sua.
3. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio al Tribunale di Rimini, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale di Rimini, in persona di diverso magistrato.