Nonostante in materia disciplinare forense non trovi applicazione il principio di stretta tipicità dell'illecito proprio del diritto penale, la condotta deve comunque rispettare i doveri fondamentali previsti, tra i quali emerge quello per cui la professione deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza.
Il Consiglio Nazionale Forense confermava il provvedimento con cui il COA di Torino aveva applicato all'avvocato la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione forense per 10 mesi, ritenendolo responsabile, tra le altre cose, di avere emesso due assegni bancari per conto del proprio assistito risultati poi privi di copertura.
Contro...
Svolgimento del processo
1 - Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 70 del 2021, confermò il provvedimento del Consiglio dell'ordine degli Avvocati di Torino che aveva applicato all'avv. (omissis) la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione forense per dieci mesi, ritenendolo responsabile dei fatti di cui alla contestazione disciplinare (violazione degli artt. 3 e 51 della I. 31 dicembre 2012 n. 247, in relazione ai canoni di cui all'art. 26 terzo comma del Codice Deontologico, per non aver adempiuto al mandato conferitogli da (omissis) dal mese di giugno 2009 per (omissis) l'accertamento della responsabilità del cedente - S.p.A.- o della casa costruttrice - (omissis) S.p.A.- in relazione a vizi dell'autovettura da lui acquistata, nonché delle stesse disposizioni, in relazione all'art. 9 del Codice Deontologico, per avere (omissis) indotto in errore il circa l'avvenuta conclusione di una (omissis) transazione con la società S.p.A. avente ad oggetto l'autovettura (omissis) di sua proprietà, consegnando al medesimo dapprima una scrittura privata apocrifa e, successivamente, con l'offerta di anticipare la somma oggetto di risarcimento, due propri assegni bancari a favore del cliente, risultati poi inesigibili per mancanza di fondi, oltre che per avere falsamente formato e consegnato al (omissis) una scrittura privata di transazione).
2 - Il Consiglio Nazionale Forense, per ciò che in questa sede interessa, respingeva la censura formulata dal ricorrente riguardo all'omessa audizione prima della decisione, osservando che "dagli atti (omissis) in possesso emerge che l'avv. era presente personalmente all'udienza dibattimentale dinnanzi al CDD e che lo stesso abbia preso la parola e concluso per il proscioglimento"; respingeva le censure di difetto di motivazione ed errata valutazione delle risultanze istruttorie, evidenziando la rilevanza del compendio probatorio consistente nelle concordi deposizioni testimoniali e nei documenti acquisiti (transazione, titoli), oltre che nella sentenza di condanna pronunciata nei confronti dell'avvocato dal Tribunale di Torino per il reato di cui agli artt. 81 cpv e 640 c.p.; riteneva i fatti integrare gli illeciti deontologici contestati e congrua la sanzione inflitta, rilevando che la fattispecie si connotava di estrema gravità anche in considerazione del rilievo penale della condotta. (omissis)
3 - Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione (omissis) sulla base di cinque motivi.
4 - L'intimato Consiglio Nazionale Forense non ha svolto attività difensiva in questa sede.
5 - Il rappresentante della Procura Generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1 - Con il primo motivo il ricorrente deduce incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge in riferimento al R.D. n. 37 del 1934, art. 63 e 64 e agli artt. 34, 36 e 37 I. 247 del 31 dicembre 2012 per mancanza di poteri in capo al Presidente firmatario dell'atto. Osserva che la sentenza nei suoi confronti, emessa il 12 dicembre 2019, è stata depositata il 31 marzo 2021 e che con ordinanza 25 settembre 2020 il Tribunale di Roma aveva dichiarato, in relazione alla elezione del 2018, ineleggibili alcuni componenti del collegio decidente per violazione dell'art. 34 della I. 247/2012. Tale ineleggibilità, risalendo ab originem perché motivata dalla mancanza dei requisiti per essere eletti, determinava la nullità della sentenza, che risultava firmata da un soggetto non avente funzioni per mancanza del requisito di cui all'art. 64 del RD 37 e adottata da soggetti estranei all'organo giudicante, in violazione di legge. Conclude affermando che il giudizio era affetto da nullità perché posto in essere anche da soggetti privi della qualifica di membri del Consiglio Nazionale Forense.
1. 2. Il motivo è infondato in base al principio in forza del quale «In tema di sanzioni disciplinari nei confronti degli avvocati, attesa la funzione giurisdizionale svolta dal Consiglio Nazionale Forense, il successivo accertamento dell'ineleggibilità di uno o più dei suoi componenti non influisce sulla validità originaria della pronuncia di tale organo, in quanto la decisione, se già pubblicata, resta a regolare la vicenda, mentre, in relazione a decisione adottata e non ancora depositata, il presidente ed il segretario mantengono il potere-dovere di provvedere alle debite sottoscrizioni ai fini della pubblicazione, in forza del principio di conservazione degli atti e, in particolare, dei provvedimenti giurisdizionali» (Cass. S.U. 30 marzo 2021 n. 8777).
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce eccesso di potere e violazione di legge (art. 34 e 35, 36 e 56 L 247/2012 e art. 111 c. sesto Cast., art. 112 c.p.c. art. 360 c. l n, 5 c.p.c.), in relazione a due profili. In primo luogo, il difensore aveva eccepito in sede di discussione l'intervenuta prescrizione dell'illecito disciplinare di cui al capo C, essendo i fatti riferiti alla data del 18 maggio 2012, e di cui al capo A, poiché il rapporto professionale sarebbe cessato in data 18 maggio 2012 e non in data 8 agosto 2012, questioni sulle quali era mancata la motivazione. In secondo luogo, la violazione di legge era ravvisabile anche in relazione all'art. 56 I. n. 31 dicembre 2012 n. 247, poiché alla data del 12 dicembre 2019 si era ampiamente maturata la prescrizione rispetto al capo C dell'impugnazione in base al disposto in forza del quale il termine di prescrizione dell'azione disciplinare di sei anni può essere interrotto e riprendere a decorrere ma in ogni caso complessivamente la prescrizione si compie comunque decorsi sette anni e mezzo dal fatto.
2.2. Il motivo è infondato. In relazione al primo profilo, premesso che resta estraneo all'ambito dell'impugnazione l'accertamento del fatto (Cass. n. 20344 del 31/07/2018), si osserva che non risulta specifica indicazione, trascrizione e documentazione riguardo alle presunte deduzioni attinenti alla prescrizione che si affermano formulate nella fase di merito, sicché la censura attinente a vizio di motivazione è inammissibile. Per quanto riguarda il secondo profilo, va rilevato che la disciplina applicabile al procedimento disciplinare, quanto al regime della prescrizione, è quella antecedente alla invocata legge n. 247 del 2012, entrata in vigore il 2/2/2013, che prevede un termine prescrizionale di cinque anni, suscettibile di aumento fino alla metà per effetto di eventi interruttivi, con la conseguenza che gli illeciti, datati al più all'B/8/2012, non potevano ritenersi prescritti (si veda Cass. S. U. del 28 febbraio 2020 n. 5596 e S.U. del 16 luglio 2021 n. 20383: «In tema di illecito disciplinare degli avvocati, il regime più favorevole di prescrizione introdotto dall'art.56 della I. n. 247 del 2012, il quale prevede un termine massimo di prescrizione dell'azione disciplinare di sette anni e sei mesi, non trova applicazione con riguardo agli illeciti commessi prima della sua entrata in vigore; ciò in quanto le sanzioni disciplinari contenute nel codice deontologico forense hanno natura amministrativa sicché, per un verso, con riferimento alla disciplina della prescrizione, non trova applicazione lo "jus superveniens", ove più favorevole all'incolpato, restando limitata l'operatività del principio di retroattività della "lex mitior" alla fattispecie incriminatrice e alla pena, mentre, per altro verso, il momento di riferimento per l'individuazione del regime della prescrizione applicabile, nel caso di illecito punibile solo in sede disciplinare, rimane quello della commissione del fatto e non quello della incolpazione»).
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 22 e 24 del regolamento 21 febbraio 2014 n. 2 e del diritto di difesa, oltre a falsa ed erronea motivazione, rilevando che è stato omesso l'adempimento essenziale dell'audizione del professionista, ancorché l'interessato ne avesse fatto espressa richiesta. Rileva che la motivazione del provvedimento del Consiglio Nazionale Forense sul punto, laddove evidenzia che la circostanza che l'avvocato fosse presente all'udienza e avesse discusso sul punto, non esime dalla violazione di legge, poiché i richiamati artt. 22 e 24 indicano due prerogative differenti: una cosa è il diritto di sottoporsi all'esame, momento che attiene al dibattimento, altra cosa è quello di avere la parola per ultimo nella discussione, a istruzione terminata.
3.3. Il motivo, privo delle necessarie allegazioni, mediante riproduzione e localizzazione dei verbali attinenti all'avvenuta richiesta di audizione in sede di istruttoria dibattimentale, è in ogni caso infondato, posto che dalla sentenza risulta che il ricorrente, assistito da difensore di fiducia, ha presenziato all'udienza dibattimentale nel corso della quale ha potuto esplicare la sua difesa e interloquire anche al termine del dibattimento, rassegnando le sue conclusioni.
4. Con il quarto motivo si deduce eccesso di potere e violazione di legge in relazione all'art. 36 c. 4 I. 247/2012 e 26 regolamento 21 febbraio 2014 n. 2, sostanzialmente lamentando il ricorrente il tardivo deposito della sentenza che ne avrebbe determinato la nullità.
4.2. La censura è priva di fondamento, poiché nella regolamentazione del giudizio disciplinare non è prevista alcuna sanzione, né tanto meno quella della nullità, per il caso di deposito in ritardo di una sentenza.
5. Con l'ultimo motivo il ricorrente deduce violazione di legge art. 3 c. 3 L. 247/2012 e art. 21 e 22 CDF 31 gennaio 2014 e art. 51 c. 1 L 31 dicembre 2012 n. 247, osservando che nella sentenza si legge, riguardo al secondo illecito, che correttamente era stato ritenuto che la condotta, seppur non tipizzata, integrasse illecito disciplinare, erroneamente affermandosi che non vi era tipizzazione delle fattispecie in ambito disciplinare, laddove il codice deontologico precisa i comportamenti degli avvocati indicandone le sanzioni e l'obbligo di indicare le norme violate è diretta conseguenza del principio di legalità e tassatività.
5.2. Il motivo è privo di fondamento. Secondo i principi generali che, in base alla giurisprudenza di queste Sezioni Unite (ex multis Cass. S.U. 04 luglio 2018 n. 17534), informano il nuovo codice deontologico forense, pur essendo presente un apparato sanzionatorio ispirato alla tendenziale tipizzazione delle sanzioni, tuttavia il principio di stretta tipicità dell'illecito, proprio del diritto penale, non trova per esso applicazione. Infatti, nella materia disciplinare forense non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, ma solo l'enunciazione dei doveri fondamentali, tra cui segnatamente quello di esercitare la professione forense "con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza" di cui all'art. 9 già artt. S e 6 del previgente codice deontologico forense. Il suddetto art. 9 costituisce una "norma di chiusura" che consente attraverso il sintagma «per quanto possibile», previsto nell'art. 3, comma 3, della legge n. 247 del 2012, di contestare l'illecito anche solo sulla sua base, onde evitare che la mancata "descrizione" di uno o più comportamenti e della relativa sanzione generi immunità (Cass. SU 29 dicembre 2017, n. 31227). Sulla scorta di questi rilievi emerge la correttezza della decisione del Consiglio Nazionale Forense nel punto in cui ha chiarito che l'inadempimento derivante dall'emissione di assegni privi di copertura, pur avendo i caratteri di un illecito comune, è, tuttavia, da ricondurre nell'alveo disciplinare perché idoneo per modalità e gravità a compromettere il rapporto di fiducia con il difensore per la stretta connessione con l'assolvimento dei propri doveri professionali.
6. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, rimanendo assorbita nella pronuncia l'istanza di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza impugnata.
7 - Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo l'intimato Consiglio dell'ordine svolto attività difensiva in questa sede.
8 - Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti processuali per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.