La Corte d'Appello, a seguito di riassunzione della causa, confermava l'ordinanza di primo grado che condannava la società a corrispondere il compenso al rappresentante legale, a titolo di saldo di quello, minore, indicato nell'accordo transattivo intervenuto tra le parti, dato che tale somma residua era stata contestata in maniera generica dal soccombente attraverso un...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con sentenza n. 10177 del 2015 la Corte di Cassazione cassò la sentenza della Corte di appello di Trieste che aveva dichiarato illegittima, per abusivo frazionamento del credito, la domanda proposta dallo Studio TA nei confronti della s.r.l. RC per il pagamento del saldo di prestazioni professionali. Riassunta la causa dallo Studio TA, con sentenza n. 511 del 29. 7. 2016 la Corte di appello di Trieste, quale giudice di rinvio, decidendo nel merito, confermò l'ordinanza di primo grado che aveva condannato la s.r.l. RC al pagamento della somma dì euro 61.521,49. A sostegno della propria decisione la Corte giuliana affermò, per quanto qui ancora interessa, che tale importo era dovuto a saldo di quello, minore, indicato nell'atto di transazione intervenuto tra le parti e risolto di diritto in forza dell'inadempimento della committente, tenuto conto che a fronte della pretesa creditoria fatta valere nel suo confronti la RC si era limitata ad una contestazione del tutto generica, lamentandone l'esorbitanza, l'incongruenza e l'eccessività, ma senza enunciare ragioni specifiche anche con riferimento a determina i parametri. Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 28. 2. 2017, ricorre la s.r.l. RC, affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso e successiva memoria lo Studio TA. La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata. Il primo e secondo motivo di ricorso denunziano, rispettivamente ai sensi dell'art. 360 n. 4 e n. 3 cod. proc. civ., violazione degli artt. 383, 392 e 394 cod. proc. civ., assumendo la nullità della sentenza impugnata per non avere pronunciato sulla domanda di pagamento proposta originariamente dalla Studio TA, ma sulla sua richiesta di conferma della decisione di primo grado, confermando così un provvedimento che doveva reputarsi inesistente in quanto travolto dalla pronuncia di cassazione. La Corte non ha infatti considerato che la sentenza della Corte di Cassazione che annulla con rinvio la sentenza d'appello non determina la rinnovazione del grado di appello, ma annulla tutte le sentenze di merito. I motivi appaiono infondati. Condivisibile appare il rilievo del ricorrente in base al quale il giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della pronuncia di secondo grado per motivi di merito (giudizio di rinvio proprio) non costituisce la prosecuzione della pregressa fase di merito e non è destinato a confermare o riformare la sentenza di primo grado, ma integra una nuova ed autonoma fase che, pur soggetta, per ragioni di rito, alla disciplina riguardante il corrispondente procedimento di primo o secondo grado, ha natura rescissoria (nei limiti posti dalla pronuncia rescindente) ed è funzionale alla emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia, riformandola o modificandola, statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti (come si desume dal disposto dell'art. 393 cod. proc. civ., a mente del quale nell'ipotesi di mancata, tempestiva riassunzione del giudizio, non consegue il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, bensì la sua inefficacia). E tuttavia, come questa stessa Corte non ha mancato di rilevare in identiche fattispecie, la circostanza che la Corte di appello a conclusione del giudizio di rinvio si sia espressa nel formulare il dispositivo per la conferma della decisione del primo giudice non vale ad integrare la prospettata nullità, atteso che la Corte distrettuale ha proceduto ad un rinnovato esame del merito della controversia ed ha così ottemperato alle prescrizioni imposte dalla sentenza di cassazione (Cass. n. 15143 del 2021; Cass. n. 1824 del 2005). Il terzo motivo dì ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2702 e 2223 cod. civ. e dell'art. 115 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto provato il credito vantato dalla controparte, giudicando generica la contestazione sul quantum avanzata dalla convenuta. Si assume che, adottando tale conclusione, la Corte di appello ha fatto malgoverno del principio di non contestazione e della regola sull'onere della prova, finendo col gravare il committente di un onere di allegazione e di prova che, a fronte della contestazione sollevata, doveva porsi a carico del prestatore d’opera. Si assume, infine, che erroneamente il giudice a quo ha affermato, a sostegno del proprio convincimento, che la e-mail inviata dallo Studio TA il 31 agosto 2010, contenente il riepilogo e la quantificazione delle prestazioni, non fosse stata contestata dalla odierna ricorrente, atteso che proprio la transazione successivamente intervenuta tra le parti (in data 19. 5. 2011), con la quale il compenso per l'attività professionale era stato ridotto, testimoniava e dimostrava il contrario. Il motivo è infondato. In tema di contestazione sul quantum preteso a titolo di prestazioni professionali, va affermato il principio, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 2697 cod. civ. (onere della prova) e 115, comma 1, cod. proc. civ. (criterio di non contestazione), che il debitore ha l'onere di contestare in modo specifico la richiesta di compenso del professionista nel caso in cui essa muova da un conteggio preciso e dettagliato, mentre può limitarsi ad eccepire la mera esorbitanza del compenso richiesto solo laddove tale richiesta si limiti ad Indicarlo in un importo complessivo e globale, senza specificazioni, spettando in questo caso al creditore dimostrare, a fronte della contestazione dell'altra parte, la correttezza della propria pretesa sulla base di determinati parametri, che, vale a dire, l'importo richiesto è quello dovuto, sulla base della convenzione delle parti, delle tariffe professionali applicabili o degli usi, a mente dell'art. 2225 cod. civ. Tanto precisato, deve darsi atto che la corte territoriale ha fatto menzione, a sostegno della conclusione accolta, della e-mail inviata alla RC in data 31. 8. 2010, rappresentando che in essa lo Studio TA aveva riepilogato le prestazioni eseguite fino a quel momento e le aveva quantificate nell'importo di euro 147.906,00. Alla luce del rinvio al contenuto di tale documento deve allora ritenersi corretta la decisione del giudice a quo di rigettare la contestazione del quantum sollevata dalla RC, per avere essa opposto ragioni generiche, allegando la mera esorbitanza, incongruenza ed eccessività dell'ammontare richiesto, senza altresì contestare in modo specifico l'applicazione dei criteri di determinazione del compenso. L'espresso rifermento, nella motivazione della statuizione impugnata, alla e mail di riepilogo delle prestazioni eseguite e di quantificazione del compenso inviata dallo studio professionale depone infatti nel senso che la Corte distrettuale abbia compiuto la valutazione oggetto di censura proprio alla luce del contenuto di tale missiva e che, pertanto, abbia applicato correttamente la regola sull'onere della prova. Né in contrario parte ricorrente ha allegato, riproducendone il contenuto, tale documento non conteneva un conteggio dettagliato del dovuto, ma era del tutto indeterminato con riguardo ai criteri di calcolo utilizzati. Il ricorso va pertanto respinto. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la società ricorrerete al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 7.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali. Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore import previsto per il ricorso, se dovuto.