Il Consiglio di Stato ha stabilito che l'Autorità, ai fini dell'esercizio del suo potere autorizzativo, deve qualificare giuridicamente il contratto stipulato dall'intermediario finanziario.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7972 del 30 novembre 2021, si è pronunciato in materia di Autorità amministrative indipendenti, sentenziando in particolare sul potere di valutazione della Banca d'Italia sui contratti posti in essere dagli intermediari finanziari.
La Sezione Sesta della Corte richiama
prima facie
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Sulla base di tale dettato normativo, l'autorizzazione viene resa dall'Autorità tenuto conto dalla causa del contratto, che nel caso di specie attiene all'attività negoziale di un intermediario, intesa dall'orientamento giurisprudenziale più recente come funzione economico-individuale o, meglio, come ragione pratica dell'affare.
Diventa dirimente, dunque, nell'individuazione dell'area di competenza dell'Istituto, l'inquadramento del singolo contratto nel tipo legale o, in assenza, nell'ambito dell'atipicità.
In conclusione, secondo quanto sancito da questo Giudice, la Banca d'Italia deve operare una valutazione sull' atteggiarsi del rapporto contrattuale in capo all'intermediario finanziario, qualificazione finalizzata a stabilire se il contratto rientri nell'alveo del suo potere autorizzativo.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza (ud. 14 ottobre 2021) 30 novembre 2021, n. 7972
Svolgimento del processo
1.- G. s.p.a. (d’ora innanzi solo “Società”) è una società di intermediazione finanziaria specializzata nell’acquisto di crediti iscritta nell’elenco generale di cui al previgente art. 106 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).
La Società ha presentato alla Banca d’Italia, in data 12 febbraio 2016, istanza per l’iscrizione nel nuovo Albo degli intermediari finanziari.
La Banca d’Italia, dopo avere comunicato il preavviso di rigetto e ritenute non meritevoli di condivisione le osservazioni della Società, ha adottato il provvedimento 10 gennaio 2017 di rigetto della domanda per le seguenti ragioni: mancanza dei requisiti di qualità e di solidità finanziaria del soggetto al vertice della catena partecipativa; esercizio abusivo dell’attività soggetta a riserva; mancanza di correttezza nelle relazioni d’affari e di trasparenza nei confronti dell’organo di vigilanza; opacità e complessità dell’articolazione del gruppo di appartenenza che non consentirebbero un efficace esercizio dell’attività di vigilanza; inattendibilità del programma di attività.
2.- La Società ha impugnato tale provvedimento innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, per le ragioni riprodotte in sede di appello e riportate nei successivi punti.
3.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 4 settembre 2019, n. 10735, ha rigettato il ricorso.
4.- La Società ha proposto appello.
5.- Si è costituita in giudizio Banca d’Italia, chiedendo il rigetto dell’appello.
6.- La difesa dell’appellante ha prodotto in giudizio, prima dell’udienza pubblica, il decreto di archiviazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cassino relativo al procedimento penale avviato nei confronti del sig. De Angelis Claudio, in qualità di amministratore unico della Società appellante.
6.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 14 ottobre 2021.
Motivi della decisione
1.- La questione all’esame della Sezione attiene alla legittimità del provvedimento della Banca d’Italia di rigetto della domanda di iscrizione, presentata dalla Società appellante, all’albo degli intermediari finanziari.
2.- L’appello è fondato.
3.- Con un primo motivo si assume l’erroneità della sentenza e l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui ha ritenuto che la Società avrebbe svolto attività non consentita di rilascio di garanzie fideiussorie. In particolare, si afferma che, invero, la Società si sarebbe limitata a stipulare contratti di cessione di crediti costituiti dal canone di contratti di locazione.
Il motivo è fondato.
L’art. 106 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) prevede che «l'esercizio nei confronti del pubblico dell'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d'Italia».
L’art. 107 dello stesso decreto dispone che la Banca d'Italia autorizza gli intermediari finanziari ad esercitare la propria attività al ricorrere di specifiche condizioni che, nel loro complesso, devono garantire «la sana e prudente gestione» (cfr Cons. Stato, sez. VI, 30 aprile 2019, n. 2826).
Il decreto ministeriale 17 febbraio 2009, n. 29 (Regolamento in materia di intermediari finanziari) prevede l’obbligo di iscrizione in un elenco speciale per gli intermediari finanziari che intendono svolgere attività di rilascio di garanzie nei confronti del pubblico. Agli intermediari iscritti nell’elenco generale è vietato svolgere tale attività in via esclusiva o prevalente (art. 11) ed è consentito, invece, svolgere attività di «acquisto di crediti».L’attività di valutazione della Banca d’Italia ha avuto ad oggetto lo svolgimento di attività negoziale dell’intermediario il che impone di delineare la distinzione tra contratto di garanzia fideiussoria e di cessione di credito.
L’attività di qualificazione giuridica deve essere svolta muovendo dalla causa del contratto. L’orientamento costante della giurisprudenza più recente è nel senso che la causa deve essere intesa come funzione economico-individuale del contratto o, con altra terminologia, come causa concreta o ragione pratica dell’affare, il che impone di avere riguardo all’assetto reale degli interessi programmato dalle parti per stabilire quale sia la “funzione” ovvero il “senso” dell’operazione economica (tra la altre, Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490). Una volta definita tale funzione si può procedere all’inquadramento del singolo contratto nell’ambito dei tipi legali, se previsti, ovvero, in assenso di una specifica disciplina, qualificare il contratto come atipico (art. 1322 cod. civ.).
Il contratto di fideiussione è un contratto tipico ad effetti obbligatori disciplinato dagli artt. 1936 -1957 cod. civ, che si può perfezionare anche con la sola proposta del fideiussore non rifiutata dal creditore secondo il meccanismo dell’art. 1333 cod. civ. L’art. 1936 prevede che «è fideiussore colui che, obbligandosi personalmente, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui». Si tratta di una forma di garanzia personale dell’adempimento dell’obbligazione che si caratterizza per il fatto che si aggiunge alla garanzia generica costituita dal patrimonio del debitore principale la garanzia generica costituita dal patrimonio del garante (art. 2740 cod. civ.). Il debitore principale e il garante sono obbligati in solido, con possibilità anche di stabilire che il fideiussore non sia tenuto a pagare prima dell’escussione del debitore principale (art. 1944 cod. civ.). Si tratta di una obbligazione solidale unisoggettiva perché prevista nell’interesse esclusivo del debitore principale.
La cessione di credito è un contratto ad effetti reali disciplinato dagli artt. 1260 - 1267 cod. civ. che realizza, ai sensi dell’art. 1376 cod. civ, una vicenda traslativa del credito e, in particolare, il trasferimento a titolo particolare del credito che si perfeziona con il consenso del cedente (l’originario creditore) e del cessionario (nuovo creditore). Si tratta di uno schema negoziale generale che non identifica uno specifico tipo contrattuale ed, in quanto tale, è compatibile con diverse funzioni economico-individuali. In particolare, la ragione pratica dell’affare può essere variabile nel senso che la finalità che le parti intendono perseguire può consistere in una vendita di credito, in una cessione di pagamento e anche in una cessione a causa di garanzia (Cass. civ, sez. I, 16 novembre 2018, n.29608; Cass. civ., sez III, 3 aprile 2009, n. 8145). La cessione può essere pro solvendo o pro soluto: nel primo caso il cedente risponde della solvenza del debitore, nel secondo caso tale garanzia non è prevista (art. 1267 cod. civ.). In presenza di una cessione pro solvendo, il cedente assume la qualifica di fideiussore o di garante autonomo nei confronti del ceduto.
Nel riportato contesto, la Banca d’Italia svolge una valutazione peculiare che ha ad oggetto le modalità di svolgimento e la qualificazione giuridica di una particolare attività negoziale da parte degli intermediari finanziari. Il sindacato giurisdizionale su tali provvedimenti si atteggia anch’esso in modo peculiare perché impone di stabilire se tale valutazione sia fondata su presupposti di fatto corretti e se la stessa qualificazione giuridica della vicenda negoziale risulti conforme alle regole civilistiche.
Nella fattispecie in esame, risulta che la Società abbia stipulato tre modelli contrattuali denominati: “Affitto si”, “Affitto certo”, “Affitto assicurato”.
Nel primo modello, la Società e i locatori prevedono una cessione di credito pro solvendo, finalizzata a svolgere una vera e propria attività di recupero del credito, con previsione di un corrispettivo determinato in una percentuale delle somme recuperate.
Nel secondo modello, in aggiunta a quanto già contenuto nel primo, si dispone che, nel caso di mancato recupero dei crediti, la Società formula una proposta di acquisto dei crediti non riscossi secondo la modalità “pro soluto”.
Nel terzo modello (cui sembra fare riferimento, in particolare, la Banca d’Italia) è prevista una cessione di credito pro soluto.
Nel provvedimento impugnato, Banca d’Italia ha contestato alla Società di avere stipulato con i locatori di immobili contratti che «presentavano le caratteristiche tipiche dei contratti di tipo fideiussorio», aggiungendo che «nei preliminari di acquisto degli eventuali crediti derivanti da contratti di locazione di immobili che la Società stipula con la formula pro soluto, in caso di morosità il locatore si deve adoperare affinché il locatario adempia alle proprie obbligazioni contrattuali e solo successivamente ricorre a G.». «Nella sostanza», si conclude, «l’intermediario paga il locatore e subentra nelle ragioni di questo nei confronti del conduttore, rendendo l’operazione sostanzialmente assimilabile a un rilascio di garanzia».
Le singole operazioni negoziali poste in essere rispondono, avuto riguardo alla causa in concreto, a contratti tipici e atipici non riconducibili al contratto di fideiussione.
I primi due modelli sono contratti atipici in quanto accanto alla funzione della cessione del credito vi è l’attività di servizi consistente nel recupero dei crediti stessi, che rende l’operazione negoziale non riconducibile al tipo legale quale definito dagli artt. 1260 – 1267 cod. civ.
Il terzo modello è riconducibile alla cessione di credito.
Non sussiste alcun elemento strutturale e funzionale che possa assimilare tali modelli al contratto di fideiussione. Quest’ultimo, si ribadisce, è un contratto che si caratterizza per il fatto di aggiungere ad un debitore un altro debitore accessorio con la nascita di una obbligazione solidale unisoggettiva. I contratti in esame hanno quale finalità quella di realizzare una cessione del credito del locatore con l’aggiunta di finalità ulteriori di natura recuperatoria. E’ sì vero che anche la cessione del credito può perseguire in senso lato finalità di garanzia ma si tratta di un aspetto non in grado da solo di consentire la qualificazione giuridica dell’operazione negoziale quale contratto di fideiussione.
La valutazione amministrativa della Banca d’Italia è, pertanto, illegittima per errore qualificazione giuridica della vicenda negoziale che ha costituito il presupposto per l’adozione del provvedimento negativo oggetto di impugnazione.
Nè varrebbe rilevare, come fa la difesa di Banca d’Italia, che nel provvedimento impugnato il riferimento al contratto di garanzia non sarebbe un riferimento tecnico e che la contestazione avrebbe avuto ad oggetto la stipulazione di operazioni negoziali di garanzia. Deve, infatti, ritenersi che Banca d’Italia ha un obbligo, quando adotta provvedimenti che incidono negativamente nella sfera giuridica del soggetto vigilato, di qualificare in modo preciso le condotte e, nella specie, ha qualificato il contratto come contratto di fideiussione. Si deve tenere conto, inoltre, del fatto che il decreto ministeriale n. 29 del 2009 consente, per chi è iscritto nell’elenco generale, di stipulare “cessioni di credito”, il che esclude la possibilità di valorizzare la finalità di garanzia in senso lato perseguita dallo stesso contratto di cessione di credito.
La fondatezza del motivo di ricorso esaminato è già di per sé sufficiente a determinare l’invalidità del provvedimento adottato da Banca d’Italia, in quanto la decisione finale è stata il risultato difficilmente scindibile di tutte le singole contestazioni che hanno integrato ciascuna frammenti di motivazione. In ogni caso, il Collegio ritiene opportuno esaminare anche gli altri motivi di appello.
4.- Con un secondo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui si è ritenuta accertata la «mancanza di correttezza nelle relazioni di affari e di trasparenza nei confronti dell’organismo di vigilanza», in quanto «a fronte della prospettazione di una modesta esposizione a rischio di credito, emergeva un massimale garantito, per i cosiddetti contratti pro-soluto, di euro 39,6 milioni e che da gravi carenze documentali era affetta la modalità di formazione del capitale sociale, in particolare sulla capitalizzazione di un avanzo di fusione di euro 0,9 milioni derivante dalla rinuncia di un credito di altra Società». In particolare, l’appellante ha dedotto che per le ragioni indicate nel primo motivo, non sarebbe vero che l’appellante avrebbe «tenuto nascosto» alla Banca d’Italia un abusivo esercizio di attività soggetta a riserva. Inoltre, la rinuncia al credito sarebbe avvenuta in modo legittimo, attesa la legittimità della procura rilasciata al sig. Raffaele Umbriano, quale rappresentante della società creditrice “Expansion Reale Estate”.
Il motivo è fondato.
Per quanto attiene al profilo attinente all’attività di garanzia, valgono le considerazioni sopra svolte.
Per quanto attiene alla regolarità della rinuncia al credito e, dunque, alle modalità di formazione del capitale sociale, nel provvedimento impugnato si afferma che: i) «G. non aveva appurato i reali poteri di rappresentanza del sig. Raffaele Umbriano, il quale aveva sottoscritto la dichiarazione di rinuncia per la “Expansion Real Estate»; ii) «la rinuncia al credito vantato dalla controparte non risultava convalidata dalla società di revisione dell’intermediario»; iii) «il Collegio Sindacale della finanziaria non aveva effettuato alcuna verifica della vicenda».
Il fatto posto a base della contestazione – la mancanza di legittimi poteri rappresentativi per la rinuncia al credito – non è stato provato nei termini esposti. L’Autorità avrebbe dovuto dimostrare che il sig. Umbriano fosse una falsus procurator, avendo agito senza poteri o eccedendo dai poteri di rappresentanza. Tale elemento non risulta dagli atti né emergono elementi volti a dimostrare che si sia trattato di una operazione fittizia, non bastando mere ipotesi prive di un quadro probatorio certo.
5.- Con un terzo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui, con riguardo ai requisiti di qualità e solidità finanziaria del soggetto al vertice della catena partecipativa, il Tribunale amministrativo si sarebbe limitato ad affermare che le Società del gruppo «o non apportano utili significativi, perché destinate ad altri impieghi, o sono in perdita». L’appellante ha dedotto come, invero, Banca d’Italia si sia limitata a valutare la situazione del sig. De Angelis e non quella dell’intero gruppo societario.
Il motivo è fondato.
L’Autorità ha svolto la contestazione in esame avendo riguardo, come risulta dalla motivazione, alla situazione patrimoniale della capogruppo “World Expansion” e del sig. De Angelis, senza considerare la situazione complessiva del gruppo nella sua interezza. Tale valutazione limitata comporta l’inadeguatezza anche sotto tale profilo della motivazione adottata.
6.- Con un quarto motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui, con riguardo alla opacità e complessità dell’articolazione del gruppo di appartenenza, si sarebbe limitata ad affermare che «dalla serie di innumerevoli operazioni che hanno interessato il gruppo medesimo appare difficile scorgere una chiara logica imprenditoriale e che in particolare il ripetersi di operazioni di nuova costituzione e di successiva messa in liquidazione di Società rendeva più complessa la struttura del gruppo, senza apparenti ragioni economiche». L’appellante ha dedotto come manchi una motivazione adeguata volta a dimostrare come sussistano stretti legami societari che rendano difficile l’esercizio del potere di vigilanza. Sotto altro aspetto, sarebbe stato violato il principio di proporzionalità in quanto l’appellante aveva dichiarato di essere disponibile a semplificare il quadro della propria compagine organizzativa.
Il motivo è fondato.
Banca d’Italia ha contestato lo svolgimento da parte del sig. De Angelis di operazioni poste in essere nell’ultimo quinquennio che non presentavano una evidente logica imprenditoriale. In particolare «al sig. De Angelis sono risultate riconducibili diverse società apparentemente operanti nel settore finanziario, spesso di breve esistenza e cessate per liquidazione volontaria». Si afferma, inoltre, che «le operazioni prospettate dalla società per ridurre la complessità del gruppo non risultano al momento ancora realizzate».
L’affermazione non è supportata da una motivazione specifica, non potendo la motivazione essere integrata con i rilievi difensivi svolti nel presente processo. Ma soprattutto ciò che risulta è, con riguardo a questa specifica contestazione, la violazione del principio di proporzionalità, non risultando che sia stata data alla Società la concreta possibilità di adottare misure di semplificazione societaria finalizzate a ridurre le criticità evidenziate.
7.- Con l’ultimo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui, con riguardo al programma di attività, ha rilevato che «in luogo dell’attività di cessione di crediti sia stata in realtà svolta attività di garanzia e rilevato che le stime previsionali, data l’istanza di autorizzazione del 2016, avrebbero dovuto comprendere il triennio 2016-2018». L’appellante ribadisce di non avere svolto attività di garanzia fideiussoria
Il motivo è fondato.
La valutazione svolta da Banca d’Italia relativamente al programma di attività è inficiata
dal presupposto erroneo relativo alla reale natura dell’attività svolta. Il Collegio ritiene, pertanto, non necessario valutare gli altri aspetti relativi alla programmazione proprio in ragione di una ancora maggiore incidenza determinata su tale aspetto dalla qualificazione dell’attività svolta.
8.- L’accoglimento del ricorso in appello per le ragioni indicate esclude la necessità che il Collegio esamini la questione relativa alla conformità della normativa nazionale a quella europea.
9.- La domanda di risarcimento proposta dall’appellante - per il danno derivante dall’adozione del provvedimento impugnato che avrebbe impedito alla Società di continuare la propria attività di cessione dei crediti incrementando il proprio stato patrimoniale – non è fondata.
La responsabilità della pubblica amministrazione presuppone l’accertamento non solo dell’esistenza di una condotta contraria alle regole di validità ma anche di una condotta illecita perché sorretta dall’elemento soggettivo del dolo o della colpa.
La giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare che l’illegittimità dell’atto amministrativo fa presumere la sussistenza della colpa (Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2018, n. 2197).
Tale presunzione può essere superata qualora ricorrano gli estremi del cd. errore scusabile. La stessa giurisprudenza ha contribuito a tipizzare alcune situazioni la cui ricorrenza può indurre a ritenere che l’emanazione dell’atto illegittimo sia stata determinata da un errore scusabile. In particolare, si ritiene costantemente che integri gli estremi dell’esimente da responsabilità l’esistenza di: i) una formulazione incerta di disposizioni da poco entrate in vigore; ii) contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una disposizione; iii) una rilevante complessità del fatto; iv) una illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (Cons. Stato, sez. IV, n. 909 del 2020, cit.; Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2013, n. 798; Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1114).
Per i provvedimenti adottati dalla Banca d’Italia (nonché da altre Autorità indipendenti) nell’esercizio delle funzioni di controllo, l’art. 24, ultimo comma, della legge 28 dicembre 2005, n. 262 prevede che la responsabilità opera solo per «danni cagionati da atti o comportamenti posti in essere con dolo o colpa grave».
Nella fattispecie in esame, dalla ricostruzione sin qui svolta emerge con chiarezza come la vicenda amministrativa oggetto di valutazione da parte della Banca d’Italia sia stata caratterizzata da rilevante complessità che impedisce di ritenere sussistente l’elemento soggettivo della colpa grave.
10.- La natura della controversia, connotata dalla suddetta complessità, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) accoglie l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, accoglie il ricorso di primo grado quanto alla domanda di annullamento del provvedimento 10 gennaio 2017 adottato da Banca d’Italia, respingendolo quanto alla domanda risarcitoria;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.