La Corte ritiene che i raggiri finalizzati ad indurre in errore il compratore rilevano ai fini del reato di truffa anche se commessi nel momento di esecuzione del contratto di vendita.
I due imputati venivano condannati dal tribunale per il delitto di truffa, poiché avevano raggirato, all'atto di vendita di uno scooter, il terzo compratore ingannato. Nello specifico, i truffatori, attraverso l'utilizzo di una famosa piattaforma, avevano fatto apparire come seria l'offerta di vendita del motorino, ricevendo così dall'acquirente la somma richiesta, senza...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 11/10/2019 la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale di Foggia del 13/02/2018 in forza della quale P. g. e D. M. erano stati ritenuti colpevoli del delitto di truffa ai danni di Z. A. per avere, con artifici e raggiri consistiti nel fare apparire come seria I' offerta di vendita on fine tramite il sito subito.it di una Vespa Piaggio al prezzo di euro 400,00 facendosi accreditare dal!' acquirente la somma in suddetta su di un conto corrente bancario intestato alla D'Alessandro, indotto in errore la vittima, procurandosi un ingiusto profitto costituito dalla percezione della superiore somma senza provvedere alla consegna di alcun bene.
2. Avverso la suddetta sentenza gli imputati, con un unico atto ed a mezzo del medesimo difensore di fiducia, propongono ricorsi per cassazione deducendo, con un unico motivo, articolato in più censure violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta configurabilità del reato di truffa.
Osservano che la corte d'appello era pervenuta alla conferma dell' affermazione della responsabilità degli imputati con argomentazioni totalmente generiche e senza esaminare, in alcun modo, le censure proposte, limitandosi a richiamare integralmente e senza nulla aggiungere le motivazioni della sentenza di primo grado non considerando che nella specie non sussisteva alcuno degli elementi costitutivi della truffa in quanto la condotta decettiva era successiva alla stipula del contratto (concluso senza alcun artifici o raggiri) e, quindi, era da ritenere irrilevante in quanto finalizzare a celare l'inadempimento con la conseguenza che nella specie si verteva in una ipotesi mero inadempimento civilistico.
Con specifico riferimento alla posizione della D. M. la difesa rileva che quest' ultima era del tutto estranea alla vicenda e che la sua responsabilità non poteva discendere dal fatto che la stessa era intestataria del conto corrente sul quale erano state versate le somme, in difetto di ulteriori elementi di riscontro.
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono da ritenere inammissibili in ragione della manifesta infondatezza delle censure proposte.
2. Va premesso che la dinamica negoziale vive anche della sua esecuzione sicché è difficile postulare per essa una sorta di insensibilità a qualsiasi condotta artificiosa che generi danno con correlativo ingiusto profitto, anche nella prospettiva di frustrazione della azioni di risoluzione o annullamento che potrebbero, in ipotesi, altrimenti essere fatte valere.
Ben può accadere, del resto, che nel corso del rapporto una parte, in modo fraudolento, miri ad ottenere dall'altra parte contrattuale prestazioni che questa non avrebbe effettuato se non fosse rimasta vittima di attività fraudolenta nella fase esecutiva del negozio.
Invero la fraudolenza nella fase esecutiva di un rapporto contrattuale non esclude affatto la consumazione del reato di truffa visto che gli artifici possono riguardare non solo la fase negoziale vera e propria ma anche quella esecutiva.
2.1. Secondo la giurisprudenza di legittimità, condivisa da questo collegio, infatti, in materia di truffa contrattuale il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto inizialmente concordate con l'altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l'elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all'art. 640 c.p. (vedi Sez. 2, n. 41073 del 05/10/2004, Rv. 230689).
Invero nella truffa contrattuale l'induzione in errore mediante raggiro è ravvisabile anche quando l'attività fraudolenta dell'agente si manifesta successivamente alla stipulazione, nel corso dell'esecuzione contrattuale, in rapporto di causalità con il verificarsi del danno e dell'ingiusto profitto. Ma il raggiro deve, comunque, estrinsecarsi in un comportamento attivo dell'agente tale da indurre la vittima in errore e determinarla, mediante una falsa rappresentazione della realtà, all'atto di disposizione patrimoniale (vedi Sez. 2, n. 11406 del 08/02/1982 - dep. 27/11/1982, ZAZA, Rv. 15640601).
E' stato, pure, condivisibilmente affermato che nei contratti ad esecuzione istantanea configurano il reato di truffa gli artifici e raggiri che siano posti in essere al momento della trattativa e della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo, che viene indotto a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe prestato, sicchè, nel caso di contratto stipulato senza alcun artificio o raggiro, l'attività decettiva commessa successivamente alla stipula e durante l'esecuzione contrattuale è penalmente irrilevante, a meno che non determini, da parte della vittima, un'ulteriore attività giuridica che non sarebbe stata compiuta senza quella condotta decettiva (Sez. 2, n. 29853 del 23/06/2016 - dep. 14/07/2016, Prattichizzo, Rv. 26807301).
2.2. Nella fattispecie in esame i giudici territoriali, con una motivazione adeguata, priva di aporie e corretta in diritto, hanno ritenuto configurabile il reato di truffa in luogo di un mero inadempimento contrattuale, tenuto conto della complessiva condotta tenuta da P. g., sottrattosi più volte all' adempimento del contratto dopo avere incassato il prezzo del bene venduto e dopo averne artificiosamente assicurato in più occasioni telefonicamente la corretta esecuzione, ritenendo comprovato che I' annuncio, d' intesa con la moglie, fosse preordinato ad incamerare la somma nella consapevolezza di non avere il mezzo.
2.3. Rileva, altresì, la Corte che i giudici di merito, con argomentazioni che non appaiono né carenti né illogiche né contradittorie, hanno ritenuto comprovata anche la responsabilità della D. M. atteso che, in assenza del suo consenso ali' utilizzo del conto corrente a lei intestato sul quale è confluito il provento della truffa, il marito non avrebbe potuto porre in essere il disegno fraudolento, precisando che trattandosi di un conto corrente movimentato e che risultava indicata la causale del versamento della somma di euro 400,00 sul detto conto la predetta era certamente al corrente e ben consapevole delie condotta truffaldina del marito con cui aveva inteso deliberatamente cooperare.
Non può, del resto, sottacersi che la D'Alessandro con le sue tesi dirette ad escludere la sua condotta concorrente (prospettando di essere allo scuro della condotta del marito e del!' impiego del conto) mira a sollecitare in questa sede, in modo del tutto inammissibile, una lettura alternativa degli accadimenti, risultando, per contro accertato, con indagine in fatto non censurabile in questa sede, che I' imputata era perfettamente consapevole della condotta decettiva del coniuge e ne aveva condiviso gli intenti truffaldini.
Pertanto non essendo evidenziabile alcuno dei vizi motivazionali deducibili in questa sede quanto alla affermazione della penale responsabilità concorrente degli imputati in ordine al reato di truffa di cui sopra e non essendo configurabile, quindi, la dedotta contraddittorietà della motivazione anche tenuto conto dei poteri del giudice di merito in ordine alla valutazione della prova, tutte le censure in questione, essendo sostanzialmente tutte incentrate su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, appaiono del tutto infondate.
3. Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in euro tremila ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.