Il Tribunale dichiarava il diritto di proprietà dell'attore sulle particelle catastali contestate e condannava il convenuto. Quest'ultimo si costituiva eccependo l'estinzione del giudizio, sostenendo che si trattava di una causa già promossa in passato con atto di citazione della stessa controparte.
Soccombente anche in sede di gravame, il convenuto adisce la...
Svolgimento del processo
1. M.C. conveniva in giudizio dinanzi il Tribunale di Lagonegro, G.I., A.R., B.R., C.C., S.L.C., C.L.C., M.L.C., A.F. e R.L.C., chiedendo che fosse accertato il suo diritto di proprietà sulle particelle 32, 33 e 34 in possesso di G.I., con condanna di quest'ultimo al rilascio delle medesime e al pagamento dei frutti, chiedeva inoltre l'accertamento del confine tra le particelle 89 e 33 con l'apposizione dei relativi termini. L'attore esponeva che, con atto pubblico del 29 aprile 1976, aveva acquistato da A. e M.R. alcuni terreni siti in Carbone, contrada Sughero, distinti in catasto al foglio 43 particelle 32, 33, 34, 42, 95 97. Con atto pubblico del 22 febbraio 1965 G.I. aveva acquistato da N.R. il terreno sito in Carbone, contrada Sughero, distinti in catasto al foglio 43 particelle 89. Le particelle 32., 33 e 34 erano in possesso dello I. mentre egli era in possesso della metà della particella 89. Non erano ben delineati i confini tra le particelle 89 e 33.
1.1 Si costituiva G.I. che eccepiva l'estinzione del giudizio, trattandosi di prosecuzione di un giudizio precedentemente introdotto con atto di citazione del 3 marzo 1988 e rimesso dalla Corte d'Appello di Potenza al giudice di primo grado con sentenza del 16 febbraio 1999 senza che successivamente fosse intervenuta riassunzione nel termine semestrale. Nel merito chiedeva il rigetto della domanda perché infondata.
1.2 Non si costituiva alcuno degli altri convenuti.
2. Il Tribunale di Lagonegro preliminarmente estrometteva dal giudizio A.R., B.R., C.C., S. L C., C.L.C., M.L.C., A.F. e R.L.C., ritenendoli estranei al giudizio avente ad oggetto l'accertamento della proprietà dei terreni e la definizione dei confini, questioni che interessavano esclusivamente gli attuali proprietari degli immobili e non i rispettivi danti causa. Nel merito il Tribunale rigettava tutte le domande e dichiarava M.C. proprietario dei fondi siti in agro di Carbone contrada Sughero, identificato al foglio 43 particelle 32, 33, 34 e condannava G.I. all'immediata restituzione degli stessi, dichiarava che il confine tra le particelle identificate al foglio 43 n. 89 e 33 era quello risultante dalle mappe catastali in assenza di diversi elementi in atti.
3. Avverso detta sentenza G.I. proponeva appello.
4. La Corte d'Appello di Potenza rigettava il gravame. In particolare, la Corte d'Appello evidenziava che il motivo di appello relativo al difetto di motivazione della sentenza di primo grado era inammissibile posto che l'appellante si era limitato a dedurre che il giudice non aveva compreso la materia del contendere senza offrire un'argomentazione alternativa e una propria qualificazione della materia. Anche il secondo motivo relativo al valore confessorio dell'atto di citazione di C. non poteva trovare accoglimento. Secondo la Corte d'Appello, se pure la confessione stragiudiziale astrattamente rappresentava un elemento valutabile, nella specie l'atto di citazione non era stato sottoscritto personalmente dalla parte, e non era stata conferita al difensore alcun tipo di procura speciale. In ogni caso, al presunto riconoscimento del diritto di proprietà non poteva attribuirsi alcun effetto posto che la confessione doveva avere ad oggetto un fatto mentre nella specie riguardava un diritto che, peraltro, per sorgere aveva bisogno di un atto scritto ad substantiam. Nel caso concreto vi era prova in atti che con atto pubblico del 22 febbraio 1965 G I. aveva acquistato da N.R. il terreno sito in agro di Carbone, contrada Sughero, identificato al foglio 43 particelle 89 e con atto successivo aveva acquistato da M. e A.R. i terreni identificati ai fogli 43 particelle 32, 33 e 34. Dunque, l'atto di acquisto era idoneo e sufficiente ad attestare il diritto di proprietà in capo all'appellato essendoci un comune dante causa per entrambi i terreni, riconosciuto anche dall'appellante G.I. controparte. Quanto alla domanda di regolamento di confini in assenza di altri elementi circostanze il giudice di primo grado aveva correttamente fatto riferimento alle risultanze delle mappe catastali.
5. G.I. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.
6. M.C. ha resistito con controricorso e in prossimità dell'udienza ha depositato memoria con la quale ha insistito nella richiesta di inammissibilità o rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell'articolo 112 c.p.c. per errar in procedendo riconducibile all'art. 360, n.4, c.p.c. Il ricorrente riporta il motivo formulato nell'atto di appello del 15 marzo 2006 con il quale aveva dedotto l'errore del giudice di primo grado nel non aver tenuto conto della citazione di M.C. del 3 marzo 1988 con la quale questi chiedeva dichiararsi G.I. unico proprietario delle particelle numero 32, 33 34 del foglio mappale numero 43 che, per mero errore materiale, non erano state riportate nell'atto pubblico di compravendita (rogito notar Pelosa del 22/2/1965) ed erano state invece intestate al C. con atto di compravendita successivo. Secondo il ricorrente costituirebbe confessione stragiudiziale con effetto nei confronti di colui al quale l'atto è stato notificato anche in giudizio diverso. In presenza di siffatta situazione processuale il Tribunale di Lagonegro avrebbe dovuto rigettare la domanda del C. tesa ad ottenere l'assegnazione in suo favore delle particelle numero 32, 33 e 34. Il successivo atto di citazione del 20 marzo 2000 non costituirebbe valida revoca della confessione non essendo provato l'errore di fatto o la violenza. Infine, secondo il ricorrente, la Corte d'Appello di Potenza nel rigettare il motivo di appello avrebbe fatto riferimento all'atto di citazione del 26 settembre 1985 e non a quello del 3 marzo 1988 indicato nell'atto di citazione del 20 marzo 2000.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 2730, 2733, 2735 c.c.e 229 c.p.c. La censura attiene ancora al valore di confessione stragiudiziale dell'atto di citazione di M.C. del 3 marzo 1988 con il quale questi aveva riconosciuto tutte le particelle numero 32, 33 e 34 del mappale numero 43 del Comune di Calvera ancorché riportate nell'atto pubblico di compravendita non erano state da lui acquistate e non gli appartenevano in quanto acquistate da G.I. il quale si era immesso nel loro possesso dalla data dell'acquisto. Inoltre, vi sarebbe violazione dell'art. 2730 c.c. in quanto la confessione, pur dovendo ricadere esclusivamente su fatti, può estendersi anche a situazioni giuridiche rilevanti come nel caso di specie rispetto al contratto di compravendita.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 2700, 2730, 2733 e 2735 c.c. L'atto di citazione del marzo del 1988 avente valore di confessione stragiudiziale renderebbe privo di ogni valore probatorio tutte le prove documentali, testimoniali o presuntive con esso contrastanti. Di conseguenza sarebbe privo di valore probatorio l'atto pubblico di compravendita del 29 aprile 1976 e, per ammissione del C., risulterebbe provato l'errore ivi contenuto concernente l'indicazione catastale di particelle diverse da quelle compravendute e che erano state acquistate da G.I. e da lui possedute sin dalla data del suo acquisto.
4. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono in parte inammissibili in parte infondati. La censura relativa al valore di confessione stragiudiziale dell'atto di citazione del 3 marzo 1988 è infondata in quanto, come ammesso dallo stesso ricorrente, non sottoscritta dalla parte personalmente. Deve premettersi che, nel caso di specie, si deve far riferimento alla disciplina della confessione giudiziale piuttosto che a quella stragiudiziale, trattandosi di un atto processuale. Infatti, le ammissioni contenute in un atto di citazione anche se proposto in un diverso giudizio tra le medesime parti possono assumere il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c.. Tuttavia, a questo fine è necessario che l'atto, affinché possa produrre tale efficacia probatoria, sia sottoscritto dalla parte personalmente, con modalità tali che rivelino inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli contenute nell'atto. Conseguentemente, è inidonea a detto scopo la mera sottoscrizione della procura scritta a margine o in calce che, anche quando riportata nel medesimo foglio in cui è inserita la dichiarazione ammissiva, costituisce atto giuridicamente distinto, benché collegato (ex plurimis Cass. n. 20701 del 2007, Cass. n. 26686 del 2005; n. 7492 del 1996; n. 12096 del 1995; n. 12830 del 1992). Dunque, le ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem non hanno valore confessorio, ma costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento (Cass. n. 319 del 2004; n. 15760 del 2001). La confessione stragiudiziale, invece, è quella resa al di fuori del processo e in base all'art. 2735 c.c. non si richiedono particolari formalità per il suo perfezionamento, fermo restando che, in ogni caso, la confessione, sotto il profilo soggettivo della legittimazione attiva, deve provenire personalmente dal suo autore. Peraltro, le ammissioni del difensore della parte che hanno valore indiziario sono soltanto quelle contenute negli scritti difensivi, e non quelle eventualmente contenute in atti stragiudiziali (Cass. n. 3686 del 1987). Deve, pertanto, darsi continuità al seguente principio di diritto: «Le ammissioni contenute negli scritti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem, costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento. Esse, tuttavia, possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c., qualora l'atto sia stato sottoscritto dalla parte personalmente, con modalità tali che rivelino inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli in esso contenute» (Sez. 2, Ord. n. 23634 del 2018). In conclusione, la sentenza impugnata è immune dalle censure di violazione dell'art. 2700, 2730, 2733 e 2735 in quanto l'atto di citazione del 3 marzo 1988 non è stato sottoscritto personalmente dal C., sicché non può assumere rilevanza né come confessione giudiziale né come confessione stragiudiziale, provenendo da un soggetto terzo e senza neanche un esplicito mandato a disporre del diritto. Infine, dalla lettura complessiva della sentenza, in particolare a pag. 4 dove la Corte d'Appello esplicitamente fa riferimento alla citazione del 3 marzo 1988, si comprende che il riferimento alla diversa citazione del 26 settembre 1985 è un mero errore materiale, sicché risulta infondata anche la violazione dell'art. 112 c.p.c. dedotta con il primo motivo. Peraltro, giova ripetere, che lo stesso ricorrente, nel riportare integralmente la citazione del 6 marzo 1988, non deduce che questa sia stata sottoscritta personalmente dal C., il che rende anche inammissibile la censura.
5. Il ricorso è rigettato.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
7. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della parte resistente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3200, più 200 per esborsi; ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.