Secondo la Cassazione, l'art. 1105, c. 4, c.c., dettato in tema di comunione ordinaria ma applicabile anche al condominio, esclude tale potere ma consente al singolo condomino di ricorrere davanti all'autorità giudiziaria per adottare i provvedimenti in sede di volontaria giurisdizione.
Parte attrice conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la società proprietaria del garage sottostante al suo appartamento, lamentando la vivibilità della propria abitazione a causa dell'emissione dei gasi di scarico delle autovetture provenienti dal garage. Nella stessa sede deduceva che nel corso dell'assemblea condominiale era stato concluso un accordo con la...
Svolgimento del processo
E.B. ha adito il tribunale di Roma, esponendo di esser proprietaria dell'appartamento, con annesso giardino terrazzato, sito in Roma, (omissis), su cui si aprivano luci finestrate di un sottostante garage di proprietà della P.M. s.r.l., costruttrice dell'edificio; che, attraverso dette aperture, si immettevano nel giardino e nell'appartamento di sua proprietà, i gas di scarico delle autovetture provenienti dal garage, impedendo il normale uso e vivibilità degli ambienti. Ha altresì dedotto che nell'assemblea condominiale 14.2.01 era stato concluso un accordo con la società convenuta per dirimere ogni possibile controversia, accordo che prevedeva l'eliminazione delle luci finestrate mediante la realizzazione di un muro, con accollo delle spese a carico dei condomini interessati, e che era stato approvato anche dall'assemblea condominiale, occorrendo modificare la facciata dell'edificio; che - nonostante i numerosi solleciti - le opere non erano state mai realizzate. Ha chiesto di dichiarare la sussistenza dell'obbligo della P.M. s.r.l. di chiudere le luci e di realizzare il muro, con onere dell'attrice di sostenere solo la metà delle spese necessarie per la realizzazione dei manufatti. La P.M. s.r.l., ritualmente costituita in giudizio, ha dedotto l'infondatezza della domanda, chiedendone l'integrale rigetto. Esaurita la trattazione, il tribunale ha respinto la domanda, regolando le spese processuali. Con sentenza n. 3549/2015 la Corte d'appello di Roma ha accolto l'appello proposto da E.B. e, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato "l'obbligo a carico della società appellata di eseguire la delibera condominiale per quanto concerne la chiusura delle luci ivi indicate, con il contributo economico ivi sancito". Secondo il giudice distrettuale, essendo in discussione l'accertamento di un obbligo gravante sulla convenuta di attuare la delibera nei confronti della sola B., non era necessario integrare il contraddittorio anche nei confronti degli altri condomini, poiché il giudicato non poteva che interessare i soli soggetti evocati in giudizio, discutendosi esclusivamente dei "limiti dell'obbligo sancito dalla delibera inter partes". La sentenza, dopo aver precisato che la suddetta delibera non conteneva alcun accordo tra le parti del giudizio, ha evidenziato che con la citazione introduttiva era richiesta anche l'esecuzione di quanto approvato dall'assemblea condominiale, che "inequivocabilmente aveva previsto la chiusura delle luci, senza però la realizzazione del muro", ritenendo la domanda meritevole di accoglimento limitatamente alla richiesta di chiusura delle luci finestrate. La cassazione della sentenza è chiesta dalla P.M. s.r.l. con ricorso in tre motivi. E.B. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 99, 112, 116 c.p.c., 1362, 1173, 1453 e 2697 c.c., ai sensi degli artt. 360, comma primo, nn. 3 e 4 c.p.c.. Si contesta alla Corte distrettuale di aver erroneamente ritenuto che la domanda fosse diretta anche a dare attuazione alla delibera condominiale, sebbene la lettura dell'atto di citazione mostrasse che la B. aveva in realtà proposto una domanda di adempimento contrattuale, intendendo ottenere l'esecuzione dell'accordo perfezionato tra le parti in occasione dell'assemblea condominiale del 14.2.2001. Non era perciò ammissibile dichiarare l'obbligo della ricorrente di provvedere alla chiusura delle luci in base ad un titolo diverso da quello allegato in giudizio. Il motivo è infondato. Dal contenuto dell'atto introduttivo, che è esaminabile direttamente da questa Corte, essendo denunciata una violazione processuale, si evidenzia che la B. aveva dedotto non solo l'avvenuto perfezionamento di un accordo nel corso della riunione condominiale del 14.2.2001, volto all'eliminazione della luci mediante la costruzione di un muro, ma anche che tale intervento era stato approvato dall'assemblea, all'unanimità dei presenti, stante la necessità di intervenire sulla facciata comune, e che sebbene la P.M. avesse espresso, tramite un proprio delegato, voto favorevole all'approvazione della delibera, si era immotivatamente rifiutata di darvi esecuzione, benché l'atto fosse definitivo oltre che "pienamente valido ed efficace"(cfr. citazione, pag. 4). La citazione precisa che l'approvazione assembleare era condizione indispensabile per conferire valore vincolante all'intesa raggiunta tra le parti, attribuendo altresì rilievo al voto favorevole espresso dalla convenuta e alla mancata impugnazione dell'atto, a dimostrazione del fatto che la resistente - oltre ad invocare l'adempimento contrattuale ex art. 1453 c.c. (cfr. citazione, pag. 5) - aveva inteso ottenere anche l'accertamento dell'obbligo della società di eseguire la delibera in modo che fossero eliminate le cause delle immissioni (cfr., citazione, pag. 2). Ne consegue che la Corte di merito, nel dichiarare che la ricorrente era tenuta ad eseguire la delibera, non è incorsa ne violazione denunciata, non avendo accolto la domanda sulla base di un titolo diverso da quello allegato.
2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1136, 1173, 1321, 1325, 1326, 1453, 2697 c.c., 116 c.p.c. e 111 Cost., ai sensi dell'art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 c.p.c.. Secondo la ricorrente, la sentenza avrebbe immotivatamente ritenuto che la delibera condominiale avesse natura contrattuale e contemplasse obbligazioni di natura correspettiva, tali da imporre obblighi di comportamento a carico dei singoli condomini, non considerando inoltre che, incidendo su diritti esclusivi dei singoli, essa doveva essere approvata con il consenso unanime di tutti condomini (- e non solo il voto favorevole dei partecipanti all'assemblea -), non potendo valere come semplice ratifica o approvazione di un accordo perfezionato solo tra le parti del presente giudizio. La censura è fondata. La Corte d'appello, dopo aver affermato che nella delibera del 14.2.2001 non si rinveniva alcun accordo in via autonoma con cui le parti si fossero impegnate a procedere all'eliminazione delle luci, ha accolto la domanda della B., rilevando che nella citazione era menzionata anche "una delibera che inequivocabilmente aveva previsto la chiusura delle luci senza realizzazione del muro dichiarando poi in dispositivo - "l'obbligo a carico della società appellata - nei confronti delle parti indicate nella delibera stessa - di eseguire la delibera condominiale per quanto concerne la chiusura delle luci, con il contributo economico ivi sancito". Così facendo il giudice territoriale ha erroneamente ritenuto che il singolo condomino avesse azione nei confronti di altro condomino per ottenere l'esecuzione di una delibera condominiale rimasta ineseguita, senza considerare che, ai sensi dell'art. 1105, comma quarto, c.c., dettato in tema di comunione ordinaria, ma applicabile anche al condominio, se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero, se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può solo ricorrere all'autorità giudiziaria, che provvede in camera di consiglio ad adottare i provvedimenti opportuni (potendo anche nominare un amministratore giudiziario). La norma esclude - in definitiva - che possa configurarsi un potere del condomino di ottenere l'esecuzione di una delibera assembleare ad opera di altro condomino (o dell'amministratore): la previsione del ricorso, da parte di ciascun partecipante, all'autorità giudiziaria per adottare gli opportuni provvedimenti in sede di volontaria giurisdizione (inclusi gli atti di conservazione), preclude al singolo partecipante alla comunione di rivolgersi al giudice, in sede contenziosa, per ottenere direttamente i provvedimenti relativi alla "res", ai fini della sua amministrazione o gestione nei rapporti interni tra i comunisti (Cass. 1818038/2020; Cass. 11802/2020; Cass. 8876/1998). Una volta escluso che le parti avessero raggiunto un accordo ( avente natura contrattuale ed effetti solo inter partes ai sensi dell'art. 1372 c.c.) - che impegnasse la P.M. s.r.l. all'eliminazione delle aperture da cui provenivano le immissioni, era preclusa la possibilità di dichiarare che la società fosse comunque tenuta ad eseguire la delibera condominiale.
3. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 102, 112 c.p.c. e 111 Cast., ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c. sostenendo che la Corte d'appello abbia immotivatamente ed erroneamente escluso che la domanda dovesse esser proposta nei confronti di tutti i condomini, sebbene le opere da eseguire comportassero una modifica delle parti comuni ed venissero ad incidere anche sulle porzioni esclusive di altra condomina (P.P.), parimenti rimasta estranea al giudizio. Il motivo è inammissibile, atteso che, per quanto detto, non si profila un problema di integrità del contraddittorio sulla domanda accolta dalla Corte di merito (essendo quella di adempimento contrattuale respinta con statuizione ormai definitiva e che la ricorrente non avrebbe comunque interesse ad impugnare, non essendo, riguardo ad essa, risultata soccombente), sussistendo a monte la radicale inammissibilità della domanda stessa, stante l'insussistenza del diritto del singolo condomino, azionabile in sede contenziosa, di ottenere l'accertamento dell'obbligo di altro condomino di dare esecuzione ad una delibera condominiale (cfr., in tal senso: Cass. s.u. 9685/2013, secondo cui, quando al bene della vita che la parte intendere non corrisponde una norma che gli dia fondamento, non deve essere disposta l'integrazione del contraddittorio, ma la domanda va rigettata, perché diretta a far valere un diritto inesistente). È quindi accolto il secondo motivo, è respinto il primo ed è dichiarato inammissibile il terzo. La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d'appello Roma, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.