La Cassazione annulla la decisione impugnata, ribadendo che l'onere relativo al pagamento del contributo unificato nel giudizio amministrativo grava sulla parte soccombente anche in assenza di statuizione, in quanto trattasi di un'obbligazione ex lege.
La società attrice chiedeva al Tribunale la revoca del decreto ingiuntivo ottenuto per il rimborso delle somme versate a titolo di contributo unificato per un ricorso incidentale e di appello proposti in un giudizio amministrativo. Il Tribunale dichiarava il difetto di giurisdizione ordinaria con pronuncia riformata dalla Corte...
Svolgimento del processo
la OPT S. s.r.l. conveniva in giudizio la M.I. S.p.a. chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo ottenuto per il rimborso delle somme versate a titolo di contributo unificato per un ricorso incidentale e di appello incidentale proposti in un giudizio amministrativo; il Tribunale, per quanto qui ancora rileva, dichiarava il difetto di giurisdizione ordinaria con pronuncia riformata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare, nel merito, il ricorso e appello in parola erano diretti, come nella struttura del processo amministrativo e in specie in quello in parola, a paralizzare l'impugnazione avversaria, sicché, in conformità alla previsione specifica di cui all'art. 13, comma 6-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, le somme a titolo di contributo unificato dovevano essere poste a carico della parte soccombente; avverso questa decisione ricorre per cassazione la OPT S. s.r.l., articolando due motivi; resiste con controricorso, corredato da memoria, la G.I., S.p.a., già M. I., S.p.a.; il Pubblico Ministero ha rassegnato conclusioni scritte; la trattazione in pubblica udienza è avvenuta ai sensi dell'art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge n.137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176 del 2020;
Motivi della decisione
con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 13, comma 6-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che il ricorso incidentale e l'appello incidentale in parola, proposti per la libera scelta di dedurre ragioni ulteriori a quelle di una mera difesa rispetto all'impugnazione principale dell'atto amministrativo, erano stati ritualmente dichiarati improcedibili per carenza d'interesse in ragione dell'accoglimento del ricorso principale, sicché non vi era stata alcuna propria soccombenza; con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., poiché l'assoluta novità della questione avrebbe imposto la compensazione delle spese processuali invece omessa dalla Corte di appello; la decisione dev'essere cassata senza rinvio perché la domanda non poteva essere proposta; va premesso che sulla giurisdizione ordinaria vi è giudicato; ciò posto, per completezza e chiarezza espositiva è opportuno ricordare f (con l'art. 13, comma 6-bis.l, del d.P.R. n. 115 del 2002, è stato stabilito che l'onere relativo al pagamento dei contributi e.ci. unificati, nel giudizio amministrativo, «è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza si determina con il passaggio in giudicato della sentenza. Ai fini del presente comma, per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove»; nel giudizio "a quo", sia il ricorso incidentale sia l'appello incidentale sono stati dichiarati, come prevede il rito amministrativo, improcedibili per carenza d'interesse, stante il rigetto del ricorso e appello principale; le domande incidentali erano svolte per paralizzare l'impugnativa principale: quest'ultima era diretta all'annullamento dell'aggiudicazione di alcuni lavori, le prime a sostenere la carenza di requisiti dell'offerta del ricorrente principale medesimo (in modo da privare lo stesso dell'idoneo interesse a ricorrere); ora, questa Corte ha chiarito che l'obbligazione di pagamento del contributo unificato è tale "ex lege" per un importo predeterminato, e dunque grava sulla parte soccombente anche in assenza di statuizione (Cass., 10/07/2019, n. 18529, evocata in memoria da parte controricorrente), senz'alcuna necessità di provvedere, in tesi, neppure al procedimento di correzione di errore materiale (Cass., 23/09/2015, n. 18828; conf. Cass., 20/11/2015, n. 23830); ed è stato ricordato e precisato (Cass., 12/12/2017, n. 29679) che, come affermato anche dal Consiglio di Stato, il contributo (nella misura prevista) è, nel processo amministrativo, oggetto di una obbligazione parimenti "ex lege" sottratta, d'altro canto, alla potestà del giudice, sia quanto alla possibilità di disporne la compensazione, sia quanto alla determinazione del suo ammontare, tanto da non richiedere alcuna pronuncia in merito da parte del giudice; in tale prospettiva, cioè, il legislatore, con l'espressione "in ogni caso", da un lato, si riferisce alla circostanza che l'obbligazione del rimborso a carico del soccombente deriva direttamente e automaticamente dalla legge per cui, sul punto, per ottenere la sua ottemperanza non è necessario l'inserimento di una specifica statuizione della sentenza, mentre, dall'altro, stabilisce, altresì, che tale obbligazione sussiste in capo alla parte soccombente anche quando questa non abbia resistito alla chiamata in giudizio (cioè non si sia costituita) oppure quando sia stata esonerata dal corrispondere le spese di lite alla controparte vittoriosa, avendo il giudice disposto la compensazione delle spese del giudizio tra le parti (l'arresto menzionato evoca, a pag. 6, Cons. Stato, n. 1160 del 2014, e Cons. Stato, n. 4167 del 2016, ma si tratta di principio stabile: Cons. Stato, n. 3517 del 2020, Cons. Stato, n. 938 del 2021, proprio in un caso di compensazione delle spese in appello, in giudizi riuniti); esistendo dunque già un titolo esecutivo implicito nella decisione del giudizio amministrativo, la domanda di rimborso non poteva essere proposta, per difetto d'interesse; questo, come osserva anche la giurisprudenza amministrativa appena ricordata, sia quando viene pronunciata condanna alle spese di lite, sia quando viene disposta la compensazione delle medesime spese, restando ferma l'individuazione della soccombenza (cfr., ad esempio, Cons. Stato, n. 938 del 2021, cit., § 3.); naturalmente, il diritto di far valere come titolo esecutivo la condanna della sentenza amministrativa, nascendo da una forma di "actio iudicati", rimane integro, in quanto la pendenza del processo fino al giudicato formale nascente dalla presente decisione è soggetta alla regola della permanenza dell'effetto interruttivo prescrizionale; l'applicazione dell'art. 382, terzo comma, ultima parte, cod. proc. civ., a séguito del rilievo della carenza d'interesse ad agire, è infine possibile, e dunque doverosa, in mancanza di giudicato interno ostativo (cfr., tra le altre, a paradigma della costanza dell'orientamento, Cass., 13/09/1974, n. 2491; Cass., 13/04/1987, n. 3670, e Cass., 29/09/2016, n. 19268); le spese del giudizio debbono essere compensate attesi i profili di novità della questione trattata, in uno alla marcata particolarità della vicenda processuale quale descritta;
P.Q.M.
La Corte cassa senza rinvio la decisione impugnata poiché la domanda non poteva essere proposta. Spese compensate.