Con la sentenza in commento, la Cassazione ripercorre la disciplina delle notifiche telematiche al fine di stabilire quando la notificazione della sentenza all'indirizzo PEC del difensore è idonea a far decorrere il termine breve ex art. 325 c.p.c..
In giudizio avente ad oggetto la richiesta di dichiarare l'inefficacia del recesso esercitato dalla società convenuta dal contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato con la parte attrice, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 39038 del 9 dicembre 2021, accoglie l'eccezione sollevata dalla controricorrente dichiarando...
Svolgimento del processo
Con sentenza non definitiva n. 154/2012, depositata in data 17.2.2012, il Tribunale di Nocera Inferiore, pronunciando sulle domande proposte nel giudizio civile iscritto al n. 2679/1990 R.G. (già processi riuniti iscritti ai nn. 2699/1990, 2785/1990 e 4622/1990), rigettava la domanda proposta dai coniugi A. B. e F. T. nella causa civile iscritta al n. 4622/1990 e volta a ottenere la declaratoria di nullità e di inefficacia di un contratto preliminare di compravendita immobiliare concluso il 19.10.1988 con la G. s.r.l.; dichiarava la legittimità del recesso operato dalla predetta società con riguardo ai contratti preliminari stipulati dalla stessa G. con i coniugi B.-T. in data 19.10.1988 e 20.10.1988 con diritto della società di ritenere la somma di f 100.000.000, corrisposta a titolo di caparra e con obbligo della società di restituire ai promissari acquirenti l'importo di € 17.512,83, oltre interessi legali a decorrere dal 13.6.1990; rigettava ogni ulteriore domanda avanzata dai B.-T.; condannava F. T., F. B., FA. B. e V. B. [gli ultimi tre in qualità di eredi di A. B. deceduto in corso di causa] al pagamento delle spese di lite e con separata ordinanza disponeva la rimessione della causa sul ruolo per la trattazione in prosieguo della controversia tra B. C., F. B. e G.
Avverso la sentenza proponevano appello F. T., F. B., FA. B. e V. B.. Gli appellanti convenivano dinanzi alla Corte d'Appello di Salerno B. C., F. B. e la G. s.r.l. affinché venisse dichiarata l'inefficacia del recesso esercitato dalla società appellata dal contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato il 9.4.1990 tra G. s.r.l. e B. C.; venisse dichiarata in via subordinata la simulazione di quest'ultimo contratto preliminare in danno di F. T. e A. B. e loro aventi causa; venisse riconosciuto il diritto degli appellanti a ottenere il trasferimento ex art. 2932 c. c. dell'immobile di cui al contratto preliminare previo versamento dell'eventuale differenza dovuta ovvero, in caso di impossibilità di trasferimento, venisse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dell'appellata con condanna della stessa alla restituzione della caparra e degli acconti ricevuti oltre rivalutazione monetaria e interessi legali nonché risarcimento dei danni; venisse dichiara la risoluzione del contratto preliminare di compravendita stipulato il 19.10.1988 per inadempimento della società promittente venditrice con condanna della stessa alla restituzione della caparra e degli acconti ricevuti oltre rivalutazione monetaria e interessi legali nonché risarcimento del danno ovvero, in caso di accoglimento delle altrui pretese, venisse pronunciata la condanna alla restituzione in favore dei B.-T. e loro aventi causa delle somme corrisposte pari a€ 140.549,61 o, quantomeno, ad€ 88.903,92, oltre rivalutazione monetaria e interessi.
Si costituiva in giudizio la G. s.r.l. contestando la fondatezza dei motivi articolati a sostegno del gravame e concludendo per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto dell'appello.
Non si costituivano in giudizio B. C. e F. B., dei quali veniva dichiarata la contumacia.
Con sentenza n. 59/2016, depositata in data 27.1.2016, la Corte d'Appello di Salerno rigettava il gravame e condannava gli appellanti alle spese di lite del grado di appello.
Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione F. T., F. B., V. B. e FA. B. in base a cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste la G. con controricorso illustrato da memoria. Nella camera di consiglio del 26 ottobre 2017 la Corte rimetteva la causa alla pubblica udienza della sezione semplice.
Motivi della decisione
1. - Preliminarmente la controricorrente G. s.r.l., eccepisce l'inammissibilità del ricorso, in quanto proposto oltre il termine di 60 giorni dalla notificazione della sentenza, previsto dall'art. 325, ultimo comma c.p.c. Infatti, la sentenza impugnata era stata notificata in data 1.3.2016 alle ore 18,34 con le modalità di legge, all'unico indirizzo di posta elettronica a.(omissis), indicato nell'atto di appello, appartenente all'avv. Antonio Giordano, uno dei procuratori nominati dai ricorrenti, e comunque attinto dai pubblici elenchi (INIPEC e R.). Pertanto, il termine per l'impugnazione scadeva in data 30.4.2016.
La notificazione della sentenza era idonea a far decorrere il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. in quanto: a) nell'ipotesi di più procuratori nominati dalla stessa parte , come nella fattispecie, ognuno di essi era legittimato a ricevere gli atti del giudizio, compresa la sentenza, per il combinato disposto degli artt. 170 e 285 c.p.c., quest'ultimo nella sua modifica effettuata dall'art. 46, comma 10 della L. n. 69/2009, per la quale, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione, la sentenza era notificata allo stesso modo degli altri atti, senza alcuna eccezione e ciò anche se la parte, come nella specie, aveva eletto domicilio presso uno solo di essi (Cass. n. 4933 del 2014); b) che ognuno di tali procuratori era legittimato a ricevere le notificazioni anche se il mandato, come nel caso in esame, era congiunto (Cass. n. 3020 del 2009; Cass. n. 12963 del 2006); c) che, proprio per la modifica dell'art. 285 c.p.c., era possibile la notificazione della sentenza con la consegna di una sola copia, anche se il procuratore era costituito per più parti; d) che queste Sezioni unite, con la sentenza Cass. n. 10143 del 2012, avevano riconosciuto di dover adeguare la vecchia norma sulla domiciliazione di cui all'art. 82 R.D. n. 37/1934 all'introduzione della notifica tramite PEC, e all'obbligo del difensore esercente extra districtum di indicare l'indirizzo di posta elettronica, previsto dall'art. 125 c.p.c., all'epoca di tale sentenza.
Tale riconoscimento restava, peraltro, valido nonostante l'abolizione dell'obbligo suddetto ad opera dell'art. 45 bis del D.L. n. 90/2014 di modifica dell'art. 125 c.p.c., in quanto lo stesso decreto, all'art. 52, inseriva nel D.L. n. 1279/2012, l'art. 16 sexies, intitolato "domicilio digitale", in cui si prevedeva che, salvo quanto stabilito dall'art. 366 c.p.c., la notificazione in cancelleria su istanza di parti private, ovviamente nel caso di mancata elezione di domicilio, poteva aversi solo quando non fosse possibile, per causa imputabile al destinatario, la notifica presso l'indirizzo PEC, risultante da INIPEC e R.. Pertanto, nel caso in esame, di difensore con PEC funzionante, la notifica poteva essere eseguita alternativamente presso il domicilio eletto o a mezzo PEC.
2.1. - Stabilito il principio per cui le sentenze possono essere notificate per via telematica anche ai fini del decorso del termine breve per l'impugnazione, trovano applicazione tutte le norme di cui alla L. n. 53/1994 e relative integrazioni e modifiche, e pertanto, si affermano i seguenti principi generali:
a.l.) i difensori possono eseguire le notificazioni anche a mezzo PEC come previsto dalla L. n. 183/2001, senza necessità di preventiva autorizzazione del Consiglio dell'Ordine di appartenenza, condizione eleminata dal D.L. n. 90/2014, convertito nella L. n. 114/2014; b.l.) come si desume dalle disposizioni in materia di comunicazioni e notificazioni telematiche (art. 16, comma 4 D.L. n. 179/2012; art. 149 bis, comma 2; art. 3 bis L. n. 53/1994) le notifiche al difensore devono essere eseguite all'indirizzo PEC risultante da pubblici elenchi, benché non vi sia più l'obbligo dello stesso di indicarlo nell'atto, ad eccezione di quanto previsto per il ricorso per cassazione dall'art. 366, comma 2 c.p.c.; c.l.) le notifiche telematiche tra avvocati devono essere eseguite con le modalità previste dall'art. 19 bis del provvedimento DGSIA del 16.4.2014 [tutte rispettate nel caso in esame].
Come si rileva dagli atti allegati: a.a.) l'oggetto del messaggio contiene la dizione "Notificazione ai sensi della legge n. 53/94 - Attenzione trattasi di notificazione ai sensi dell'art. 3 bis della L. 53/1994"; b.a.) la notificazione è stata eseguita mediante allegazione della sentenza, quale provvedimento giudiziale, che si trova all'interno del fascicolo digitale della cancelleria e da esso estratto; e.a.) vi è l'attestazione di conformità della sentenza al corrispondente atto contenuto nel fascicolo informatico, in uno alla relata di notifica, con firma digitale; d.a.) il messaggio "not. della sentenza n. 59/2016 della Corte di Appello di Salerno ex L. n. 53/1994 e succ. mod." ; e a lo stesso messaggio era stato consegnato nella casella di destinazione, come da ricevuta firmata digitalmente.
2.2. - Il relatore, nella sesta sezione, formulava proposta di decisione di inammissibilità del ricorso per tardività. Con memoria del 16.10.2017 i ricorrenti deducevano che del tutto inidonea alla decorrenza del termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. restava la notificazione della sentenza in oggetto all'indirizzo PEC dell'avv. Giordano in quanto tale PEC era stata indicata nell'atto di appello per le sole comunicazioni di cancelleria. Ciò escludeva ogni possibilità della parte notificante di avvalersi del mezzo di notificazione telematico per conseguire gli effetti di cui all'art. 325 c.p.c.
Si richiama la sentenza della Cass. n. 25215 del 2014, secondo la quale nel giudizio di cassazione, qualora il ricorrente non avesse eletto domicilio a Roma e avesse indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata "ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria", era valida la notificazione del controricorso presso la cancelleria della Corte di Cassazione, perché mentre l'indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni era idonea a far scattare l'obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto poteva affermarsi nell'ipotesi in cui l'indirizzo di posta elettronica fosse stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria.
Nella specie, la Suprema Corte dichiarava ammissibile il controricorso notificato presso la cancelleria sul presupposto della mancata elezione di domicilio e del riferimento alla PEC indicata in ricorso ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria.
La giurisprudenza di legittimità ha mantenuto fermo il suddetto orientamento precisandone la validità anche per il caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla Corte d'Appello e l'avvocato risulti essere iscritto all'Ordine di un Tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della Corte d'Appello, ancorché appartenente allo stesso distretto di quest'ultima, confermando che la domiciliazione presso la cancelleria consegue solo ove il difensore non abbia indicato l'indirizzo di PEC (Cass. n. 8870 del 2015; Cass. n. 7749 del 2016). Nella fattispecie, dove nell'atto di appello i procuratori degli appellanti hanno espressamente eletto domicilio e dove l'indicazione della PEC è stata fornita ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria, era preclusa alla controparte la possibilità di notificare la sentenza a mezzo PEC.
2.3. - E' stato di recente rilevato (Cass. n. 3865 del 2021) che le Sezioni unite avevano osservato che, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 cod. proc. civ., apportate dall'art. 25 della legge 12 novembre 2011, n. 183, esigenze di coerenza sistematica e d'interpretazione costituzionalmente orientata inducessero a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell'autorità giudiziaria innanzi alla quale era in corso il giudizio, ai sensi dell'art. 82 del r.d. n. 37 del 1934, conseguisse soltanto ove il difensore, non adempiendo all'obbligo prescritto dall'art. 125 cod. proc. civ. per gli atti di parte e dall'art. 366 cod. proc. civ., specificamente per il giudizio di cassazione, non avesse indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine (Cass. sez. Un., n. 10143 del 2012).
Del pari è altrettanto vero che successive pronunce di questa Corte abbiano tuttavia ridimensionato il rilievo della "elezione" (in senso improprio) del domicilio telematico, essendo stato affermato, infatti, che, mentre l'indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni era idonea a far scattare l'obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto poteva affermarsi nell'ipotesi in cui l'indirizzo di posta elettronica fosse stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria (Cass. n. 25215 del 2014; Cass. n. 2133 del 2016, in motivazione).
Tali conclusioni, però, non sono più attuali, in quanto la disciplina delle notificazioni telematiche è stata ulteriormente modificata. Anzitutto, l'art. 125 cod. proc. civ. è stato nuovamente rimaneggiato, ad opera dell'art. 45-bis, comma 1, del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. La modifica è consistita, per l'appunto, nella soppressione dell'obbligo di indicare negli atti di parte l'indirizzo PEC del difensore. Inoltre, il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha aggiunto al D.I. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221; e.ci. Agenda digitale), l'art. 16-sexies, intitolato «Domicilio digitale». Così, l'art. 125 cod. proc. civ. è stato allineato alla normativa generale in materia di domicilio digitale. Il difensore non ha più l'obbligo di indicare negli atti di parte l'indirizzo di posta elettronica certificata, né la facoltà di indicare uno diverso da quello comunicato al Consiglio dell'ordine o di restringerne l'operatività alle sole comunicazioni di cancelleria. Il difensore deve indicare, piuttosto, il proprio codice fiscale; ciò vale come criterio di univoca individuazione dell'utente SICID e consente, tramite il registro pubblico UNI-PEC, di risalire all'indirizzo di posta elettronica certificata. Laddove, resta invece fermo il contenuto dell'art. 366, c.p.c. che, limitatamente al giudizio di cassazione, che prevede la domiciliazione ex lege del difensore presso la cancelleria della Corte nel caso in cui non abbia eletto domicilio nel comune di Roma, né abbia indicato il proprio indirizzo di posta elettronica.
Poiché, oggi ciascun avvocato è munito di un proprio "domicilio digitale", conoscibile da parte dei terzi attraverso la consultazione dell'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) e corrispondente all'indirizzo PEC che l'avvocato ha indicato al Consiglio dell'ordine di appartenenza e da questi è stato comunicato al Ministero della giustizia per l'inserimento nel registro generale degli indirizzi elettronici, tale disciplina implica un considerevole ridimensionamento dell'ambito applicativo dell'art. 82 r.d. n. 37 del 1934. Infatti, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria è oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario. Nelle restanti ipotesi, ovverosia quando l'indirizzo PEC è disponibile, è fatto espresso divieto di procedere a notificazioni o comunicazioni presso la cancelleria, a prescindere dall'elezione o meno di un domicilio "fisico" nel comune in cui ha sede l'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa.
Ne consegue che (cfr. Cass. n. 12876 del 2018), la notificazione del decreto di fissazione dell'udienza camerale e della proposta del relatore è validamente effettuata all'indirizzo PEC del difensore di fiducia, quale risultante dal R., indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi dell'art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv., con modif., in I. n. 221 del 2012, non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato [in tal senso altresì le conclusioni scritte del Procuratore generale], non potendo quindi avere portata idonea ad escludere tale notificazione la limitazione della parte dell'indicazione del detto indirizzo per le sole comunicazioni.
P.Q.M.
3. - Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione ex art. 13, c. 1-quater, d.P.R. 115/2002.La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi € 7.500, di cui € 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex art. 13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115/2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.