Secondo la Cassazione, se il paziente ha prestato il consenso ad un intervento già deciso e approvato, il differimento dell'operazione non giustifica una nuova consultazione del medesimo.
Un paziente conveniva in giudizio l'Asl e il medico che lo aveva operato, ritenendo che i due interventi ai quali si era sottoposto fossero stati eseguiti male per via dei postumi e della mancata guarigione.
I Giudici di merito rigettavano la domanda in quanto non era stato provato il nesso di causa tra i malesseri residuati e la condotta colpevole dei...
Svolgimento del processo
1.- LV si è sottoposto a due interventi chirurgici all'ulna destra, il primo consigliato da uno specialista, il dott. F, il secondo perché, nonostante il primo, persistevano dolori e disfunzioni dell'arto. Ritenendo che i due interventi fossero stati eseguiti male, ha citato in giudizio sia la ASL competente per i due ospedali che il dott. F, sul presupposto di una loro responsabilità per postumi derivati dall'intervento e per la mancata guarigione.
2.-Sia in primo che in secondo grado la domanda è stata rigettata: non è, stato provato il nesso di causa tra i malesseri residuati ed una qualche colpevole condotta dei convenuti. Inoltre, secondo i giudici di merito, non è stata neanche provata la rilevanza della mancata informazione circa il primo intervento.
3.-Ricorre il v con tre motivi. V'è costituzione della ASL che chiede il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
5.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia una non meglio specificata violazione di legge, nel senso che sembrerebbe lamentare una erronea qualificazione del titolo di responsabilità, ossia una erronea distinzione tra quella contrattuale e quella aquiliana, e di conseguenza una erronea decisione quanto all'onere della prova. Più precisamente, il ricorrente ricorda che mentre l'Ospedale risponde da contratto, il medico invece da fatto illecito, con diverse conseguenze quanto all'onere della prova: spettava all'Ospedale provare la non imputabilità a sé del danno, e non al paziente. Il motivo è inammissibile. Non coglie la ratio della decisione impugnata: la Corte di Appello, infatti, non nega che spettasse all'Ospedale la prova liberatoria, piuttosto ritiene che il danneggiato non ha offerto quella del nesso di causa, che spettava di certo a lui, e tale difetto è ricavato altresì dalle allegazioni generiche circa la condotta addebitata ai sanitari ed il danno conseguente. La decisione è dunque corretta, poiché sia nell'una che nell'altra ipotesi di responsabilità, la prova del nesso di causa spetta al ricorrente.
6.-Il secondo motivo fa valere sempre una non precisata violazione di legge, ossia erronea interpretazione delle regole sul nesso di causa. Il ricorrente si duole dell'accertamento in fatto che ha escluso il nesso causale e ripropone gli argomenti che, nel giudizio di merito, aveva offerto a sostegno di quel nesso. Il motivo è inammissibile. L'accertamento del nesso di causa, e segnatamente del nesso tra una condotta colpevole del medico ed il danno subìto, è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, e censurabile solo per difetto di motivazione. Qui invece se ne propone censura proprio quanto all'accertamento del fatto, che, secondo il ricorrente, andrebbe apprezzato diversamente da come ha ritenuto la corte di merito: il motivo si risolve, quindi, in una inammissibile censura sia della valutazione della CTU, che ha escluso il nesso causale, sia dell'accertamento delle altre prove su quel nesso.
7.-Il terzo motivo denuncia violazione delle regole in tema di consenso informato. La Corte di Appello ha escluso rilevanza alla omessa informazione, rectius all'acquisizione del consenso, ritenendo che il ricorrente non avesse provato cosa avrebbe deciso se fosse, per contro, stato informato adeguatamente. Questa ratio non è in realtà contestata quanto al principio di diritto: a ben vedere la doglianza si risolve nella mancata informazione del differimento dell'intervento previsto per il 24.9.2013. Infatti, il ricorrente scrive che "solo a fronte di detta informazione l'attuale ricorrente avrebbe dovuto dare il proprio consenso alla non esecuzione dell'intervento" (p. 12). Il motivo è inammissibile e comunque infondato. È inammissibile perché non specifico: non è chiaro il fatto, non si comprende per quali ragioni l'intervento non si è fatto: potrebbero essere ragioni che non richiedono consenso, risultando da fattori esterni (indisponibilità di medici o di altro, ad esempio). Ma anche a ritenerlo ammissibile, è infondato in quanto postula che vi sia diritto ad informazione per il differimento di un intervento: è atto, questo, che non implica trattamento sanitario, ma per l'appunto, un suo differimento. Né può dirsi, come ritiene il ricorrente, che vi sia diritto di dare consenso alla non esecuzione del trattamento, ossia che, pur avendo prestato il paziente consenso per l'intervento debba poi essere nuovamente consultato se si rende necessario differirlo o non eseguirlo: si tratta infatti di una decisione, quest'ultima, la quale, anche ove dipenda da scelta terapeutiche- ma non è dato qui saperlo- è rimessa alla scienza del medico. Il paziente può assentire o consentire ad un trattamento sanitario ma non già pretendere che ne venga effettuato uno ove ritenuto non necessario dal medico. Né ha senso un consenso informato al differimento di un intervento già deciso ed assentite. Infine, resta evidente che neanche qui il ricorrente ha chiarito cosa avrebbe deciso se avesse saputo preventivamente del differimento.
8.-Il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 4500,00 euro, oltre 200,00 euro di spese legali. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.