Secondo la Cassazione, la citazione del testimone avvenuta per mezzo di una email inviata all'azienda appellante non rispetta lo schema previsto dal codice di rito, e pertanto costituisce un'ipotesi di mancata intimazione del medesimo.
Il Giudice d'Appello respingeva l'impugnazione proposta da una società debitrice avverso la decisione del Giudice di Pace con cui era stata rigettata l'opposizione proposta dalla medesima contro il decreto ingiuntivo ottenuto dalla società creditrice.
A fondamento della sua decisione, il Giudice del gravame riteneva corretta la dichiarazione di...
Svolgimento del processo
1 Con sentenza 5.10.2016, il Tribunale di Savona ha respinto l'impugnazione proposta da S.C.A. di C.S. contro la decisione del locale Giudice di Pace che aveva a sua volta rigettato l'opposizione da essa proposta contro un decreto ingiuntivo di €. 3.808,27 ottenuto dalla società creditrice L.-M., quale corrispettivo per la fornitura di merce. Il giudice di appello ha fondato il suo convincimento sulle deposizioni rese dai testi indicati dalla società creditrice, aggiungendo che correttamente era stata dichiarata la decadenza dall'audizione del teste di parte debitrice, risultato assente nelle due udienze istruttorie e citato a mezzo di una mail inviata all'azienda appellante e quindi in modo non rituale rispetto al disposto dell'art. 250 cpc. Ha osservato inoltre che all'udienza la S.C.A., nonostante fosse la datrice di lavoro, non aveva fornito elementi di prova sulla mancata presenza del teste asserita mente dovuta a malattia. Secondo il Tribunale, infine, effettivamente era tardiva la contestazione dell'appellante sui capi di prova, che non potevano essere ritenuti generici in quanto riferiti alle fatture allegate al ricorso, nel quale le forniture erano indicate in dettaglio.
2 Contro tale sentenza la S.C.A. ricorre con quattro motivi illustrati da memoria, mentre la società creditrice è rimasta intimata.
Motivi della decisione
Col primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 244 cpc in relazione gli artt. 360 cpc comma 1 n. 3,4,5 per avere i giudici di merito fondato la loro decisione su deposizioni testimoniali rese su capitoli di prova generici in quanto privi di riferimento ad elementi specifici. Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni. Va subito chiarito che in tema di ricorso per cassazione, le sezioni unite v. (Sentenza n. 20867 del 30/09/2020) hanno chiarito che per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c. E ancora, la doglianza circa la violazione dell'art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. Si rivela, quindi, fuori luogo la deduzione della violazione degli artt. 115 e 116 cpc. Parimenti fuori luogo è la deduzione del vizio di cui all'art. 360 n. 5 cpc che si riferisce, come è noto, all'omesso esame di un fatto storico principale o secondario (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831), ipotesi qui di certo non ricorrente. In ogni caso, anche a voler inquadrare la doglianza nella violazione dell'art. 244 cpc (posto che si denunzia un errore sul modo di deduzione della prova), il motivo è comunque inammissibile perché, in violazione dell'onere di specificità imposto dall'art. 366 n. 6 cpc, la ricorrente omette perfino di trascrivere i capitoli di prova che si reputano generici, non essendo di certo sufficiente il richiamo a qualche isolata frase (v. pag. 4 del ricorso), dovendo invece la Corte essere in grado di verificare adeguatamente il contenuto dei capitoli. Del resto, secondo la giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui vengono denunciati errores in procedendo la Corte di cassazione è investita del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (cfr. SU 8077/2012 e cass. 23754/2018).
2 Col secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 320 comma 3 e 4 cpc e 132 n. 4 cpc in relazione all'art. 360 cpc comma 1 n. 1, 4 e 5 censurandosi il giudizio di tardività dell'eccezione di inammissibilità della prova per testi. Sostiene di avere dedotto l'inammissibilità nella memoria ex art. 320 cpc, a sua volta richiamata nell'udienza di scambio delle memorie. Osserva che l'art. 320 cpc prevede la possibilità di depositare un'unica memoria nella quale non si può far altro che eccepire anticipatamente e genericamente le deduzioni e richieste di controparte. Rimprovera altresì ai giudici di merito di non avere rilevato di ufficio l'inammissibilità dellé:1 prova. Il motivo è infondato. Le formalità relative alla deduzione ed all'assunzione della prova testimoniale, in quanto stabilite non per ragioni di ordine pubblico ma per la tutela degli interessi delle parti, danno luogo, per il caso di loro violazione, a nullità relative e, dunque, non rilevabili d'ufficio dal giudice, dovendo essere eccepite nella prima udienza successiva a quella in cui si sono verificate, ove la parte interessata non era presente all'udienza. Nel caso in cui, invece, quest'ultima era presente all'assunzione della prova ed aveva assistito all'atto istruttorio senza formulare opposizione, la nullità, ove esistente, deve considerarsi sanata (tra le varie, v. Sez. 1 -, Sentenza n. 24292 del 29/11/2016 Rv. 642802). Nel caso di specie, la ricorrente aveva l'onere di sollevare specifica eccezione all'udienza prima dell'assunzione della prova, a nulla valendo il mero richiamo fatto a verbale ad una mera eccezione di stile. Quanto alla valutazione della ammissibilità della prova per testi, tale attività rientra nelle prerogative del giudice di merito e nel caso di specie, la valutazione c'è stata seppur in senso contrario alle aspettative della odierna ricorrente (cfr. pag. 4 sentenza impugnata).
3 Col terzo motivo si denunzia violazione degli artt. 116 e 132 cpc nonché 2697 cc sempre in relazione all'art. 360 cpc comma 1 n. 1, 4 e 5 per avere il giudice d'appello attribuito valore probatorio alle bolle di accompagnamento non sottoscritte dall'appellante e per avere tratto conclusioni illogiche dalle deposizioni dei testi. Questo motivo è infondato. Richiamato quanto già esposto in ordine alla violazione dell'art. 116 cpc (cfr. primo motivo), va ulteriormente osservato che nel caso in esame non ricorre neppure la violazione dell'art. 2697 cc: secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, la violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c. si configura nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull'esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c. (cfr. Sez. L - , Sentenza n. 17313 del 19/08/2020 Rv. 6S8541; sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038; Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006 Rv. 592634). Nel caso in esame, la censura attinge la motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo della logicità (come si evince dal ripetuto riferimento alla incomprensione del percorso logico seguito dal giudice di appello: v. ricorso pagg. 7,8,10), cioè ad un vizio della sentenza non più denunziabile in sede di legittimità per espressa volontà del legislatore (cfr. la nuova formulazione dell'art. 360 comm1a 1 n. 5 cpc applicabile alla fattispecie) e sollecita una alternativa valutazione degli apprezzamenti in fatto riservati al giudice di merito, la cui rivisitazione è però preclusa in questa sede, a meno di non voler snaturare il giudizio di legittimità. Infatti, con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operata dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017 Rv. 646976; Sez. 5 -, Ordinanza n. 19547 del 04/08/2017 v. 645292). Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 331 del 13/01/2020 Rv. 656802; Sez. 2 -, Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019 Rv. 655229; Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017 Rv. 643792 ed altre).
4 Col quarto motivo la ricorrente denunzia, infine, violazione degli artt. 250 cpc e 104 disp. att. cpc in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3, e 5 criticando il giudizio di decadenza dalla "controprova" fondato su una mera irregolarità della intimazione, fatta via e-mail, e lamenta un pregiudizio al diritto di difesa. Ricorda che l'articolo 250 cpc non prevede sanzioni da applicare in caso di mancato rispetto delle prescrizioni circa l'intimazione, precisando che l'art. 104 delle disposizioni di attuazione commina la decadenza solo per l'ipotesi di omissione totale di intimazione. Rileva infine che il teste non era comparso per ragioni di salute. Questo motivo è infondato. L'articolo 250 cpc detta le formalità dell'intimazione ai testimoni, secondo una precisa scansione: richiesta di parte, intimazione dell'ufficiale giudiziario contenente determinati avvertimenti ed eseguita a mani proprie del destinatario o mediante il servizio postale; in alternativa, intimazione effettuata dal difensore attraverso l'invio di copia dell'atto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o mediante posta elettronica certificata o a mezzo telefax. In caso di spedizione dell'atto con raccomandata da parte del difensore, questi deve depositare in cancelleria copia dell'atto inviato attestandone la conformità all'originale e l'avviso di ricevimento. L'art. 104 delle disposizioni di attuazione sanziona con la decadenza dalla prova la parte che non fa chiamare i testimoni senza giusto motivo. Come si vede, l'intimazione dei testi, per la delicatezza del compito a cui gli stessi sono chiamati e per le sanzioni in caso di mancata comparizione degli stessi (cfr. art. 103 disp. att.), deve avvenire secondo lo schema previsto dal codice di rito. Nel caso in esame, dalla sentenza impugnata (v. pag. 3) risulta che il teste non comparve per due udienze e che la sua citazione era avvenuta "a mezzo di una email inviata all'azienda appellante di cui era evidentemente dipendente". Come si vede, trattasi di una modalità del tutto singolare, completamente diversa dallo schema legale, rappresentata dall'invio di una mail non già all'indirizzo del teste ma - particolare tutt'altro che secondario - all'indirizzo di un soggetto diverso (l'azienda appellante presso cui il teste era dipendente); inoltre non è dato neppure conoscere il contenuto della mail, né se fosse stata usata la posta certificata, posto che il ricorso tace del tutto, incorrendo ancora una volta nel difetto di specificità del motivo. Deve pertanto ritenersi corretta la conclusione a cui è pervenuto il giudice di merito, essendosi sostanzialmente in presenza di una mancata intimazione. Inoltre - e il rilievo tronca ogni ulteriore discussione - l'articolo 255 cpc, in caso di mancata comparizione del teste, concede al giudice istruttore il potere di "ordinare una nuova intimazione" o di "disporne l'accompagnamento all'udienza stessa o ad altra successiva", ma deve trattarsi, per espressa previsione legislativa, di testimone "regolarmente intimato", ipotesi qui di certo non ricorrente, come si è visto. In conclusione, il ricorso va respinto, una senza addebito di spese, in considerazione della mancanza di attività difensiva dell'altra parte. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio :2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.